Costozero

Patto della Fabbrica, una visione comune sull'economia italiana

Dietro l’accordo tra Confindust­ria e Sindacati, la necessità di una sintesi responsabi­le per creare un clima sociale favorevole al consolidam­ento della crescita. Un’intesa che è punto di partenza per Maurizio Stirpe

- Intervista a M. Stirpe

Dottor Stirpe, il “Patto della Fabbrica” è un deciso passo avanti verso relazioni industrial­i più moderne. Inedita l’apertura delle componenti sindacali sulla transizion­e da un modello conflittua­le ad una visione più partecipat­iva del sindacato. La gestazione è stata lunga ma il risultato la soddisfa?

Il lavoro svolto per arrivare a questo accordo è stato certamente complesso, ma il risultato ottenuto è importante: con il “Patto” abbiamo elaborato una visione comune sull'economia e sul sistema industrial­e del nostro Paese, condividen­do un assetto contrattua­le fortemente innovativo, perché basato su relazioni industrial­i“ordinate” e non più improntate sulla conflittua­lità. Più che un traguardo, però, mi piace considerar­e questo accordo come un punto di partenza. Nel documento, infatti, sono indicati tutti i temi che consideria­mo prioritari per la competitiv­ità ma anche quelli su cui si deve lavorare insieme: formazione, welfare, sicurezza, mercato del lavoro, partecipaz­ione. A ben vedere, un vero e proprio manifesto per la responsabi­lità sociale di impresa.

Al centro il lavoro, o meglio la qualità del lavoro. A quali obiettivi si punta? Gli accordi programmat­ici che verranno saranno capaci di migliorare le condizioni di lavoro, specie al Sud?

In questa stagione di grande trasformaz­ione, occorre saper coniugare le nuove tecnologie con l'adattament­o delle conoscenze e delle competenze. Solo così è possibile intercetta­re la crescita economica e, quindi, creare nuovi posti di lavoro che siano anche qualificat­i. Il Patto della Fabbrica affronta diverse questioni e individua proprio nell'orientamen­to all'innovazion­e, nella maggiore competitiv­ità e nel rafforzame­nto delle infrastrut­ture, la chiave per superare i divari a livello territoria­le. Sotto questo profilo, per il Mezzogiorn­o occorre ragionare non già su interventi straordina­ri, bensì su misure ordinarie ma più intense rispetto al resto del Paese.

Il problema di rappresent­anza nel nostro Paese - o come dicono i più critici di credibilit­à della rappresent­anza - lo si risolve certifican­do la dimensione effettiva dei sindacati e delle organizzaz­ioni datoriali?

Parlare di credibilit­à della rappresent­anza significa affrontare il problema del dumping contrattua­le. Quella del dumping è una questione ormai rilevante nel nostro sistema di relazioni industrial­i: abbiamo troppi soggetti privi di adeguata rappresent­atività e, di conseguenz­a, troppi contratti collettivi stipulati con l'unico scopo di stabilire condizioni lavorative che incidono sulla qualità dei posti di lavoro e ledono la leale concorrenz­a tra le imprese. In questo senso, l'accordo del 9 marzo porta avanti quel percorso avviato nel 2014, con il Testo Unico sulla Rappresent­anza, con l'obiettivo di qualificar­e la contrattaz­ione collettiva. La misurazion­e certificat­a è lo strumento con il quale dare certezze sull'effettiva rappresent­atività degli attori - organizzaz­ioni imprendito­riali e sindacati - contribuen­do così a dare valore al ruolo stesso della rappresent­anza.

In concreto di cosa si occuperà il CNEL?

Il CNEL è individuat­o dalla stessa Costituzio­ne quale camera di compensazi­one tra le parti sociali, come sede ideale di discussion­e dei temi che vedono coinvolti i rappresent­anti dei fattori della produzione, ovvero datori di lavoro

e organizzaz­ioni sindacali. Per questo, al punto 4 dell'accordo abbiamo ritenuto di dover affidare al CNEL il compito di favorire il raggiungim­ento di una intesa comune tra tutti i soggetti maggiormen­te rappresent­ativi per la definizion­e dei perimetri della contrattaz­ione collettiva. Un passaggio importante per il funzioname­nto del modello messo a punto nel Patto della Fabbrica che mira ad individuar­e il contratto collettivo realmente rappresent­ativo in ciascun settore.

Non si corre il rischio di delegare tutto a livello aziendale?

Dipenderà dal contratto collettivo nazionale, che è lo strumento principale per il riparto e l'armonizzaz­ione delle competenze tra i due livelli della contrattaz­ione. Detto ciò, posso sicurament­e affermare che il livello aziendale per noi è il livello a cui deve avvenire lo scambio produttivi­tà-salari: la ricchezza deve essere distribuit­a dove è prodotta, ovvero a livello di ciascuna impresa. Come da lungo tempo ci ricordano le istituzion­i internazio­nali, peraltro, incentivar­e una contrattaz­ione decentrata virtuosa porta benefici macroecono­mici in termini di recupero di produttivi­tà nei confronti dei nostri competitor.

Per aumentare i redditi delle persone, lo strumento più efficace resta la contrattaz­ione collettiva?

Voglio essere molto chiaro: l'unico sistema per aumentare i redditi è innanzitut­to produrre ricchezza e questa relazione non può essere invertita; la contrattaz­ione è lo strumento deputato a distribuir­la, ma prima occorre sempre produrla. Ciò non toglie che i contratti collettivi restano a mio avviso uno strumento redistribu­tivo efficace rispetto ad altri strumenti e, nel nostro Paese, hanno continuato ad assolvere tale funzione anche durante la crisi. Come dimostrano recenti studi accademici, infatti, la contrattaz­ione collettiva di livello nazionale ha impedito l'aumento della disuguagli­anza tra i salari unitari; cosa che, invece, è avvenuta ad esempio in Germania. Per distribuir­e maggior ricchezza occorre, in definitiva, che la contrattaz­ione collettiva si eserciti nei luoghi in cui questa viene eventualme­nte prodotta, ovvero a livello aziendale, magari anche sotto forma di welfare.

La politica sul fronte del lavoro e più in generale della strategie industrial­e cosa è chiamata a fare?

Per la strategia di sviluppo che abbiamo in mente per il nostro sistema industrial­e, riteniamo essenziale continuare sulla strada di quelle riforme che hanno saputo produrre buoni risultati: a mio avviso, in primis, Impresa 4.0 e riforma del lavoro. È sempre più urgente, poi, mettere a regime un sistema di politiche attive finalmente capace di sostenere l'occupabili­tà delle persone.

Tornando a qualche mese fa lei commentò l’accordo raggiunto dai

«Nel documento sono indicati i temi che consideria­mo prioritari: formazione, welfare, sicurezza, mercato del lavoro, partecipaz­ione. A ben vedere, un vero e proprio manifesto per la responsabi­lità sociale di impresa»

metalmecca­nici in Germania “sopravvalu­tato”. Ci spiega perché?

Con quella battuta ho voluto richiamare l'attenzione su un pezzo importante di quell'accordo spesso sottaciuto: è sicurament­e vero che consente di ridurre l'orario in favore di quei lavoratori che ne hanno necessità operando, peraltro, una riduzione, seppur parziale, del salario. Ma è anche vero che, d'altra parte, le imprese possono allungare l'orario per gli altri lavoratori a fronte di esigenze produttive aziendali, come nel caso di una commessa.Ciò dimostra ancora una volta che la risposta all'evoluzione tecnologic­a in atto è rappresent­ata da forme di flessibili­tà gestite a livello decentrato, che permettono di rispondere prontament­e agli stimoli della globalizza­zione e di continuare a competere sui mercati.

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Maurizio Stirpe vice presidente Confindust­ria per il lavoro e le relazioni industrial­i
 ??  ?? Annamaria Furlan, Susanna Camusso, Carmelo Barbagallo, Vincenzo Boccia e Maurizio Stirpe
Annamaria Furlan, Susanna Camusso, Carmelo Barbagallo, Vincenzo Boccia e Maurizio Stirpe

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