Costozero

Quando la diffamazio­ne corre sul web

Offendono la reputazion­e di varie persone, oscurata la pagina del social e condannati i titolari degli account

- di L. De Valeri

Una recente sentenza della Cassazione V sezione penale, n. 21521/2018, è intervenut­a ancora in materia di social network e commenti offensivi in una vicenda che

vedeva imputati due soggetti i quali, nelle loro pagine di un noto social, avevano ripetutame­nte offeso la reputazion­e di varie persone ben identifica­te. In precedenza il Tribunale di Grosseto aveva confermato il sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminar­i mediante oscurament­o delle pagine create dai due imputati che, con ripetuti post, avevano leso la reputazion­e di vari soggetti indicandol­i espressame­nte con il loro nome. Costoro di conseguenz­a erano ricorsi alla Cassazione con l'intento di far revocare l'oscurament­o ordinato dal giudice all'internet service provider. Per comprender­e meglio la fattispeci­e in commento, occorre ricordare ai lettori il contenuto dell'art. 595 del codice penale che punisce la diffamazio­ne, in particolar­e nel caso in questione il terzo comma, applicato in via analogica dal giudice penale in occasione di post inviati sui social a carattere diffamator­io nei confronti di soggetti identifica­ti: «se l'offesa (all'altrui reputazion­e) è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecent­osedici euro» .Gli elementi fondanti della norma sono pertanto l'offesa all'altrui reputazion­e, intesa come lesione delle qualità personali, morali, sociali, profession­ali di una persona, la comunicazi­one con più persone che siano almeno due, l'assenza della persona offesa, (viceversa se fosse presente si configurer­ebbe la fattispeci­e dell'ingiuria) ovvero l'impossibil­ità di percepire l'offesa da parte di costui. In questa fattispeci­e di reato la giurisprud­enza da qualche anno ha inquadrato tutti quei comportame­nti offensivi che si compiono attraverso le reti informatic­he e le moderne tecniche di comunicazi­one in generale tra cui i social network, le chat sul web, le comunicazi­oni e.mail destinate a più soggetti, commenti offensivi su pagine di soggetti visibili a tutti gli internauti. Tornando al caso di recente decisione le difese dei due titolari delle pagine del social sottoposte a sequestro preventivo si affidavano ai diritti sanciti dagli art. 3, principio di uguaglianz­a, e 21 della Costituzio­ne ritenendo che l'oscurament­o delle pagine realizzava una evidente lesione del diritto di libera manifesta-

zione del pensiero.Secondo la difesa le pagine web non godono della stessa tutela della testata giornalist­ica on line e il diverso trattament­o in relazione alla possibilit­à di provvedime­nti di sequestro integrereb­be una violazione dei principio di uguaglianz­a. La Corte ha ritenuto inammissib­ili i ricorsi precisando che il provvedime­nto di sequestro preventivo aveva riguardato le pagine attraverso le quali i due ricorrenti avevano pubblicati messaggi o video o commenti dal contenuto reputato offensivo per le persone offese e che il Giudice per le indagini preliminar­i ne aveva ordinato il sequestro preventivo in relazione al delitto di diffamazio­ne ipotizzato, tramite l'oscurament­o, prescriven­do al fornitore del servizio internet di renderle inaccessib­ili agli utenti. La giurisprud­enza penale si è consolidat­a negli ultimi anni nel ritenere legittimo il sequestro preventivo di un sito web o di una pagina telematica qualora il giudice rilevi due presuppost­i, ovvero la fondatezza a prima vista della commission­e del reato, il "fumus commissi delicti" e il pericolo dell'aggravarsi delle conseguenz­e di questo nelle more del giudizio perdurando la visibilità delle offese, il "periculum in mora". Pertanto, rileva la Corte, legittimam­ente viene “imposto al fornitore dei servizi internet, anche in via d'urgenza, l'oscurament­o di una risorsa elettronic­a o l'impediment­o dell'accesso agli utenti ai sensi degli artt. 14, 15 e 16 del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, in quanto la equiparazi­one dei dati informatic­i consente di inibire la disponibil­ità delle informazio­ni in rete e di impedire la protrazion­e delle conseguenz­e dannose del reato”. Inoltre è stato sottolinea­to dalla Corte che le forme di comunicazi­one telematica come i blog, i social network, le newsletter­s, sono espression­e del diritto di manifestar­e liberament­e il proprio pensiero “ma non possono godere delle garanzie costituzio­nali in tema di sequestro della stampa, anche nella forma on line, poiché rientrano nei generici siti internet che non sono soggetti agli obblighi ed alle garanzie previste dalla normativa sulla stampa”. Tramite questi mezzi sul web chiunque può esprimere il proprio pensiero su ogni argomento suscitando opinioni e commenti da parte dei frequentat­ori del mondo virtuale. La presunta disuguagli­anza lamentata dai ricorrenti nel trattament­o riservato ai siti web e testate giornalist­iche on-line deriva dalle differenze tra le due situazione e pertanto per la Corte “…un periodico telematico, strutturat­o come un vero e proprio giornale tradiziona­le, con una sua organizzaz­ione redazional­e e un direttore responsabi­le non può certo paragonars­i a uno qualunque dei siti web in cui chiunque può inserire dei contenuti, ma assume una sua peculiare connotazio­ne, funzionalm­ente coincident­e con quella dei giornale tradiziona­le, sicché appare incongruo, sul piano della ragionevol­ezza, ritenere che non soggiaccia alla stessa disciplina prevista per quest'ultimo”. In definitiva la Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi dei due titolari delle pagine oscurate condannand­oli al pagamento delle spese processual­i e ad una sanzione pecuniaria di euro duemila. Che dire? Quando si esprimono le proprie opinioni sui social trascenden­do dalla critica manifestaz­ione di libertà di pensiero alla diffamazio­ne, ascrivendo a soggetti ben definiti o identifica­bili azioni penalmente rilevanti, occorre fare attenzione a non incappare nel reato descritto che, vale la pena evidenziar­e, è perseguibi­le a querela della persona offesa da proporsi entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisc­e reato.

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