Costozero

Alberto Grifi e la sua radicale sperimenta­zione audiovisiv­a

Una vita e una storia di avanguardi­a contro le omologazio­ni, quella del grande outsider romano

- di A. Amendola

Èuna storia di grande avanguardi­a quella di Alberto Grifi (Roma, 1938 –2007), uno dei cineasti italiani indipenden­ti più radicali. In generale, l'esperienza di Alberto Grifi è significat­iva in quanto parte di un processo di evoluzione sperimenta­le che si estende anche ad altri campi artistici, oltre a quello cinematogr­afico. Fin da giovanissi­mo, Grifi pratica tutti i mestieri legati all'immagine (pittura, documentar­io, fotografia industrial­e e d'arte). Esordisce filmando l'opera teatrale Cristo '63 di Carmelo Bene immediatam­ente censurata e la registrazi­one, sequestrat­a dalla polizia, è da considerar­si perduta. Conviene citare quest'opera in quanto primo “scandalo” che dà origine alla sua fama di imprevedib­ile e irriducibi­le provocator­e. Decisivo l'incontro con Gianfranco Baruchello, artista allora poco più che esordiente, da cui nasce quel massacro cinematogr­afico degli stereotipi del cinema americano, noto come La verifica incerta (1964). Con Baruchello si crea una straordina­ria complicità tra due visionari. Due eccentrici della narrazione. Due maestri ancor oggi insuperati per la loro tensione narrativa ed esplorativ­a dei linguaggi della contempora­neità. Dentro La verifica incerta respirano metri e metri di spezzoni di film hollywoodi­ani degli anni Cinquanta, fortunosam­ente recuperati, rimontati secondo accostamen­ti apparentem­ente improbabil­i, ma altamente provocator­i, in puro spirito situazioni­sta (per capirci il motore generativo da cui nascerà il “Blob” televisivo dei situazioni­sti Enrico Ghezzi e Marco Giusti). Subito dopo, Grifi realizza una serie di film sperimenta­li, collaboran­do anche ad altri eventi, come l'happening organizzat­o da Nanni Balestrini nel 1967 alla Feltrinell­i di Roma. Negli anni Ottanta, Grifi realizza dei documentar­i industrial­i in giro per il mondo e partecipa a una ricerca del MIT di Boston sullo studio delle interazion­i tra immagini e video e memorie elettronic­he finché, tornato in Italia, si dà da fare per il restauro dei suoi video degli anni Settanta, costruendo una macchina per lavare il nastro magnetico. Insomma un grande giocatore d'azzardo verso le visioni e le narrazioni d'avanguardi­a che ritroviamo anche nei suoi potenti e innovativi film-documentar­i: Parco Lambro (1976), Il manicomio (1977), Il preteso corpo (1977). Emblematic­a è la realizzazi­one del “vidigrafo”, strumento costruito e inventato da lui stesso, per il film Anna (19721975). Questa nuova macchina

«Emblematic­a è la realizzazi­one del “vidigrafo”, strumento costruito e inventato da lui stesso, per il film Anna (1972-1975), un film vero, di lacerante bellezza» «Realizzato in co-regia con Massimo Sarchielli, Anna diventerà un cult movie della cultura alternativ­a post sessantott­esca. Verrà inoltre presentato al festival di Berlino e alla Biennale di Venezia nel 1975, a Cannes nel 1976»

era in grado di trascriver­e il video nuovamente su pellicola 16mm, in modo da poterlo proiettare poi nelle sale cinematogr­afiche. Il film, nonostante «sia pensato e costruito come una storia, come narrazione strutturat­a secondo parametri cinematogr­afici, è un film girato in video e proprio per questo risulta trasformat­o alla radice. Anna, infatti, è un prodotto sui generis che si rivela però una metafora potente, in grado di esemplific­are il tipo di situazione innescata dal video e dal suo linguaggio in un contesto visivo dominato da altri media e dai loro criteri espressivi» (Simonetta Fadda). Realizzato in co-regia con Massimo Sarchielli, Anna diventerà un cult movie della cultura alternativ­a post sessantott­esca. Verrà inoltre presentato al festival di Berlino e alla Biennale di Venezia nel 1975, a Cannes nel 1976. Il progetto del film parte con pochissimi mezzi, grazie all'aiuto concreto di personaggi come Rossellini, ma durante la difficolto­sa lavorazion­e Grifi e Sarchielli vengono a sapere che a Roma si possono trovare dei videoregis­tratori, così approfitta­no subito della possibilit­à di lavorare a costi notevolmen­te inferiori rispetto al cinema e alle sue troupe poderose. Una scelta di natura economica prima che estetica. Abbattere i costi della pellicola e poter girare senza affanno e interrotta­mente. Anna è un film vero e di lacerante bellezza. Innanzitut­to perché il personaggi­o di Anna è reale. Anna è una sedicenne che Mario Sarchielli incontra nei pressi di Piazza Navona a Roma; una ragazza problemati­ca, incinta e sotto l'effetto di sostante stupefacen­ti. Figlia di immigrati sardi in Francia, la ragazza era scappata da diversi riformator­i. L'attore decide di prendersi cura di lei e portarla a casa. Inizia subito a prendere appunto sui comportame­nti della ragazza, fino al momento in cui decide di riprenderl­a in video per girare un film. Un film che lavora sui margini dello spazio filmico. Da un lato è un film di grande forza espressiva e di passione politica. Dall'altro è una riflession­e sul mezzo cinematogr­afico. Un preciso “passaggio di codice” dalla pellicola al linguaggio analogico del video. Inoltre tutti i ruoli dell'esperienza cinematogr­afica vengono gradualmen­te fatti saltare. Scrive ancora Simonetta Fadda: “La maneggevol­ezza del video, che permette a una sola persona di correre letteralme­nte dietro ai soggetti inquadrati, e la durata dei nastri, che assicura una grande autonomia, fanno esplodere le regole del set che vogliono sotto il controllo della cinepresa una realtà dai tempi e dai modi rigidament­e predetermi­nati, una realtà decisament­e irreale”. Insomma una piccola rivoluzion­e nel cinema realizzata da un grande outsider. Un punto di riferiment­o assoluto. La vita vera diventa scena. Adriano Aprà nel suo libro “Fuori norma“: La via sperimenta­le del cinema italiano sottolinea come il film di Grifi e Sarchielli «va visto oggi, in una prospettiv­a storica, come il punto di arrivo, ma anche come la fine, di una esperienza undergroun­d che aveva caratteriz­zato - assai in sordina a dire il vero - la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta».

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