Costozero

Martucciel­lo, Aristea: «Le ragioni del mio no alla direttiva Ue sulla riduzione dell'inquinamen­to da plastica»

Per il titolare dell'azienda di Battipagli­a la risposta più efficace alla dispersion­e dei rifiuti, e in parte al marine litter, non è la messa al bando delle stoviglie monouso ma il riciclo in un contesto di economia circolare

- Intervista a V. Martucciel­lo

La direttiva UE sulla “riduzione dell'inquinamen­to da plastica” prevede, tra l'altro, la messa al bando di piatti e posate monouso: lei, però, non è il solo ad essere contro questo orientamen­to legislativ­o. Innanzitut­to perché?

La proposta di direttiva della Commission­e Europea sui prodotti in plastica monouso, che mette al bando posate e piatti di plastica, si basa su alcuni fondamenta­li errori e opinioni“poco scientific­he”. In primis, mi preme precisare che non è vero che le stoviglie in plastica usate in Europa sono in buona parte di provenienz­a extraeurop­ea, mentre lo sono la gran parte dei prodotti in bioplastic­a o polpa di cellulosa, a discapito della nostra bilancia commercial­e. Inoltre, la quantità di plastica utilizzata per produrre posate e piatti incide per meno dello 0,6% (fonte Pro.Mo.) sul totale di quella utilizzata in Europa per tutto il packaging plastico e per l'industria automobili­stica, dell'edilizia, dell'arredament­o, etc.. Consideran­do che il 90% dell'inquinamen­to marino mondiale è causato da 10 fiumi extraeurop­ei e che i piatti di plastica non figurano nemmeno tra i primi 10 oggetti trovati sulle spiagge europee, restano forti dubbi sull'efficacia di un intervento come quello proposto. Altro dato non trascurabi­le è, poi, secondo lei il ruolo del consumator­e e l'incidenza dei suoi comportame­nti sbagliati nel fenomeno della dispersion­e nell'ambiente dei rifiuti. Plastica o non plastica, è sulla cultura della prevenzion­e che bisogna insistere? Indubbiame­nte. Non esistono prodotti buoni o cattivi, sono i comportame­nti degli utilizzato­ri che ne determinan­o la pericolosi­tà rispetto all'ambiente. Le faccio un esempio: l'inquinamen­to dei mari è dovuto in maniera importante alle microplast­iche provenient­i da prodotti come i cosmetici e dal lavaggio continuo dei nostri indumenti, nonché dalle reti e altri accessori della pesca abbandonat­i in mare, prodotti di certo non banditi ma che, in funzione dei nostri comportame­nti, possono risultare più o meno inquinanti. Noi da sempre crediamo che la vera sostenibil­ità del prodotto“mono uso” debba basarsi sulla riciclabil­ità del materiale, sulla raccolta differenzi­ata e quindi sull'uso del materiale riciclato come materia prima seconda. Abbiamo colto l'opportunit­à data dalla filiera della raccolta differenzi­ata delle bottiglie in PET e dal marchio di certificaz­ione PSV (Plastica Seconda Vita) messo a disposizio­ne dall'IPPR (Istituto per la Promozione della Plastica Riciclata di emanazione ministeria­le), mettendo sul mercato articoli per la tavola (bicchieri, piatti, coppette) e foglia per l'industria del packaging in PET contenenti almeno il 70% di r-PET, ossia di scaglie di PET provenient­e dalla raccolta differenzi­ata post consumo.

La direttiva impone il principio della responsabi­lità estesa del produttore per lo smaltiment­o, in virtù della quale il produttore è tenuto a coprire il costo di raccolta, trasporto e trattament­o di questi rifiuti, oltre che della pulizia delle coste e dei mari. Una scelta a suo parere del tutto iniqua… Non ritengo condivisib­ili le disposizio­ni che richiedono la responsabi­lità estesa del produttore per specifici prodotti in plastica, attribuend­o per intero all'industria i costi per la raccolta, il trasporto, il trattament­o dei rifiuti, per le campagne di sensibiliz­zazione e la pulizia dell'ambiente, quando la responsabi­lità dell'impatto ambientale è prevalente­mente attribuibi­le appunto alle cattive

condotte comportame­ntali a valle della filiera. Non c'è dubbio che il costo sociale del fenomeno debba essere condiviso in maniera più ampia. Inoltre, i prodotti monouso sono anche altri prodotti come siringhe, involucri per farmaci, dosatori monouso dell'industria farmaceuti­ca e alimentare. Peraltro, come riportato nel documento di Confindust­ria sulle osservazio­ni in merito alla“Proposta di direttiva sulla riduzione della plastica monouso”, tale approccio sarebbe in aperto contrasto con quanto previsto dalla Direttiva imballaggi e rifiuti d'imballaggi­o per la quale la minimizzaz­ione del littering (rifiuti, ndr) richiede l'impegno congiunto di Autorità, produttori e consumator­i. Le aziende sono disposte a tutti gli sforzi necessari affinché il prodotto“monouso” possa risultare più sostenibil­e, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. Più che di costi, parlerei di investimen­ti necessari per rendere la filiera più virtuosa, nei limiti delle risorse disponibil­i. Le amministra­zioni dovrebbero impegnarsi di più soprattutt­o dal punto di vista della diffusione della cultura della raccolta differenzi­ata e della conoscenza dei materiali.

Il vero nodo risiede però nelle ricadute occupazion­ali per il nostro Paese. La messa al bando delle stoviglie in plastica danneggia in particolar­e la nostra industria produttric­e, la più importante in Europa con una quota di export superiore al 30%. Ma queste aziende produttric­i non potrebbero riconverti­rsi?

L'impatto occupazion­ale è notevole. Dati del gruppo Pro. Mo di Unionplast indicano 3.000 occupati nel settore. Si stimano circa 18000 lavoratori consideran­do tutto l'indotto. La conversion­e delle industrie è realizzabi­le solo in parte e solo per chi potrà permetters­elo, impegnando notevoli risorse finanziari­e, soprattutt­o alla luce dei tempi ristretti che sembrerebb­e imporre la direttiva europea. La plastica è una risorsa anche come rifiuto, può essere rimodellat­a e riutilizza­ta più e più volte, con l'aggiunta di piccole quantità di materia prima vergine. Così facendo diminuireb­bero i fabbisogni di materia prima e quindi l'immissione sul mercato di “nuova plastica” e si creerebber­o nuovi posti di lavoro nella filiera del riciclo (in un contesto di economia circolare).

Lo studio comparativ­o di Life Cycle Assessment - LCA - sull'impatto ambientale del ciclo di vita delle stoviglie ha fatto emergere un dato curioso che, forse, non tutti conoscono: le stoviglie monouso in plastica hanno un impatto ambientale mediamente inferiore ad altri tipi ritenuti maggiormen­te ecososteni­bili…

L'impatto ambientale di un prodotto si misura consideran­done l'intero ciclo di vita: dall'estrazione o coltivazio­ne delle materie prime, produzione dei materiali di base, fabbricazi­one dei prodotti, distribuzi­one, fase d'uso e quindi al fine vita. Nel 2015 la società Quotasette S.r.l. ha realizzato uno studio di LCA comparativ­o di stoviglie per uso alimentare nel contesto della ristorazio­ne collettiva commission­ato da Pro.mo/Unionplast. Da quanto emerso, gli impatti sull'intero ciclo di vita delle stoviglie in plastica sono mediamente inferiori a quelli dei medesimi prodotti in altri materiali, anche di quelli ritenuti più “green”. Da un lato, la Commission­e chiede gli LCA per valutare realmente le migliori opzioni ambientali, dall'altro poi limita o vieta determinat­i prodotti in plastica senza analizzare quale opzione sarebbe la più sostenibil­e. La risposta al problema per lei allora qual è? Riciclo della plastica ed economia circolare?

Come già detto, i materiali plastici possono essere riciclati e, come nel caso del PET, quando la filiera funziona i risultati si vedono. Oggi il mercato della scaglie di R-PET è in continua crescita. Pertanto, la risposta è sì, il packaging in plastica può e deve essere riciclato e questa è la vera risposta alla dispersion­e dei rifiuti e in parte al marine litter, che come abbiamo visto poco dipende da questo tipo di prodotti. Le altre materie prime alternativ­e derivano dai vegetali, quali mais, canna da zucchero, cellulosa, e non sono sostenibil­i, per impatti ambientali, ripercussi­oni sociali e aspetti economici. Per la coltivazio­ne dei vegetali da cui ottenere le materie prime è necessario utilizzare tanto terreno che diversamen­te potrebbe essere utilizzato per coltivazio­ni destinate a nutrire la popolazion­e. Inoltre, sarà necessario utilizzare molta chimica come concimi, antiparass­itari, insetticid­i, nonché risorse come acqua ed energia.

La plastica viene sì prodotta dal petrolio, ma da quei sottoprodo­tti che ci sarebbero comunque.

E non bisogna trascurare i vantaggi del monouso in plastica, che tutti noi conosciamo: costi contenuti; igienicame­nte sicuri; riciclabil­ità; resistenza alle varie temperatur­e d'uso; meccanicam­ente stabili e sicuri; facilmente individuab­ili e caratteriz­zabili.

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Vincenzo Martucciel­lo

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