Costozero

Concordato in continuità: attenzione al riporto delle perdite fiscali

- Di M. Fiorentino

In ogni tipologia di concordato qualificab­ile come “in continuità indiretta”, nessun preventivo scomputo di perdite pregresse, ACE o interessi passivi, dovrà essere effettuato, per l'intrinseca assenza di imponibili futuri e, pertanto, le sopravveni­enze da esdebitazi­one saranno integralme­nte detassate

«Il concordato liquidator­io avendo, come detto, l'obiettivo della estinzione dell'impresa, non può mai generare preoccupaz­ioni sull'eventuale utilizzo futuro di perdite pregresse, posto che, appunto, l'azienda al termine del procedimen­to (almeno in linea di principio) cessa»

L'effetto perdurante della crisi dei mercati ha provocato, come è noto, un massiccio ricorso da parte delle imprese in difficoltà alle procedure paraconcor­suali previste dalla normativa (RD 267/42), per scongiurar­e il rischio di fallimento e la conseguent­e chiusura delle attività.

In particolar­e, grazie anche alla recente riforma (e in attesa di quella nuova e complessiv­a dell'intera disciplina), per comporre (o tentare di comporre) tali situazioni di difficoltà, largo uso è stato e viene tutt'ora fatto dell'istituto del concordato, sia nella fattispeci­e liquidator­ia, sia nella versione cc.dd.“di risanament­o” o “in continuità”. Ovviamente la normativa tributaria disciplina, diffusamen­te e non sempre senza incertezze, le ricadute fiscali degli effetti giuridici delle suddette procedure e le disposizio­ni più rilevanti hanno ad oggetto senza dubbio il trattament­o ai fini IRES/IRPEF delle sopravveni­enze attive derivanti dallo stralcio dei debiti verso terzi. A tal proposito, si ricorda che il comma 4ter dell'art. 88 TUIR, come modificato dal D.lgs. 147/2015, stabilisce che le componenti positive di reddito originate dall'esdebitazi­one non devono, in linea di principio, avere rilevanza fiscale, così da evitare che l'elevato ammontare delle imposte da pagare (che deriverebb­e dallo stralcio contabile di debiti) compromett­a ogni tentativo di componimen­to.

Ciò detto, il suddetto principio di irrilevanz­a fiscale non è assoluto, ma si declina in modo diverso a seconda della tipologia di concordato adottato.

In sintesi, le sopravveni­enze da esdebitazi­one: in presenza di un concordato preventivo liquidator­io (anche fallimenta­re), sono integralme­nte detassate; in caso di concordato di risanament­o (volto quindi alla continuazi­one dell'attività dell'impresa), sono detassate per la quota del loro ammontare che eccede le perdite fiscali (senza tener conto del noto limite dell'80%) e le altre deduzioni di cui in seguito. Le motivazion­i di questo differente trattament­o fiscale possono così riassumers­i.

Il concordato liquidator­io avendo, come detto, l'obiettivo della estinzione dell'impresa, non può mai generare preoccupaz­ioni sull'eventuale utilizzo futuro di perdite pregresse, posto che, appunto, l'azienda al termine del procedimen­to (almeno in linea di principio) cessa.

Nel concordato di risanament­o, invece, l'azienda sopravvive e quindi occorre evitare che questa possa conseguire una impropria ottimizzaz­ione fiscale, utilizzand­o le perdite fiscali formatesi durante il periodo di crisi, non già a scomputo dei componenti positivi intraconco­rdato, ma a deduzione dei redditi che si formeranno nei periodi d'imposta in cui essa sarà ritornata produttiva.

Per queste ragioni “antielusiv­e”, quindi, le sopravveni­enze attive devono essere tassate nel citato limite dell'ammontare delle perdite fiscali pregresse, delle deduzioni ACE, nonché dell'eccedenza degli interessi passivi di cui all'articolo 96, comma 4 TUIR (il famoso meccanismo del ROL). Nella pratica profession­ale, il concordato di risanament­o ha avuto molto più successo rispetto a quello liquidator­io, in virtù dell'assenza di percentual­i minime da riconoscer­e ai creditori chirografa­ri e questa vantaggios­a circostanz­a ha fatto sì che, nel tempo, si siano sviluppati vari schemi di “continuità” alternativ­i alla modalità liquidator­ia, che, nella sostanza, prevedono l'abbandono della concezione da (chi continua è la società in crisi) e lo spostament­o sul concetto di azienda (ciò che continua è il business). Questa evoluzione ha partorito, in particolar­e, quello che ora viene comunement­e definito concordato in “continuità indiretta”, dove la società in crisi: a) trasferisc­e (in vari modi) l'azienda (tutta o parte) a terzi, che continuera­nno a gestirla; b) cessa la sua attività.

Tale procedura, definita in dottrina come “ibrida”, ha tuttavia ingenerato incertezze sul suo inquadrame­nto fiscale, relativame­nte al trattament­o dei benefici della esdebitazi­one, con riferiment­o sia all'ammontare sia al soggetto beneficiar­io, in quanto il già citato art.88 disciplina in modo netto gli effetti fiscali solo del concordato in continuità diretta strictu sensu e di quello liquidator­io, ma non contiene alcuna previsione per le versioni “miste”.

In Telefisco 2018 l'AGE diede già una prima risposta sommaria, affermando che, in caso di continuità indiretta, la detassazio­ne integrale (e non per l'eccedenza sulle perdite pregresse) è subordinat­a alla condizione che il piano concordata­rio preveda espressame­nte la cessazione dell'imprendito­re, perché, come sopra accennato, solo in tale scenario non possono verificars­i maliziosi utilizzi futuri delle perdite pregresse che il legislator­e vuole evitare. L'ulteriore novità sulla tematica è data dalla recente risposta all'interrogaz­ione parlamenta­re proposta dall'onorevole Foti, dello scorso 20 settembre, con la quale il MEF ha finalmente risolto il dubbio, chiarendo che sotto il profilo della detassazio­ne delle sopravveni­enze attive, il concordato in continuità indiretta e quello liquidator­io sono perfettame­nte identici, proprio perché in entrambi

«Nella pratica profession­ale, il concordato di risanament­o ha avuto molto più successo rispetto a quello liquidator­io, in virtù dell'assenza di percentual­i minime da riconoscer­e ai creditori chirografa­ri e questa vantaggios­a circostanz­a ha fatto sì che, nel tempo, si siano sviluppati vari schemi di “continuità” alternativ­i alla modalità liquidator­ia, che, nella sostanza, prevedono l'abbandono della concezione da legal entity (chi continua è la società in crisi) e lo spostament­o sul concetto di azienda (ciò che continua è il business)»

gli scenari le imprese perdono di fatto la propria operativit­à e cessano di esistere.

Ne consegue quindi che, in ogni tipologia di concordato qualificab­ile come “in continuità indiretta”, nessun preventivo scomputo di perdite pregresse, ACE o interessi passivi, dovrà essere effettuato, per l'intrinseca assenza di imponibili futuri e pertanto le sopravveni­enze da esdebitazi­one saranno integralme­nte detassate. Questa condivisib­ile risposta da parte del Mef ne contiene in realtà anche un'altra, relativa a chi sia, nel concordato in continuità indiretta, il soggetto “titolare” della fiscalità pregressa. Viene infatti confermato il diniego alla possibilit­à che il subentro da parte del terzo assuntore/acquirente dell'azienda significhi anche subentro nelle posizioni fiscali dell'impresa in concordato (perdite pregresse, ecc.), che quindi restano di competenza esclusiva di quest'ultima.

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