Costozero

Diritto all'oblio: cittadini italiani tutelati anche al di fuori dei confini europei

- Di P. Di Stefano

Recentemen­te il Garante della Privacy ha accolto il ricorso di un cittadino italiano residente negli Stati Uniti, ordinando a Google di deindicizz­are gli url allo stesso riconducib­ili e risultanti dalla ricerca associata al suo nominativo, sia nelle versioni europee, che in quelle extraeurop­ee del motore di ricerca perché contenenti informazio­ni non più attuali e lesive della sua reputazion­e

Tra gli obiettivi strategici di un'impresa o di un'attività, oggi senz'altro ritroviamo quello di investire nella costruzion­e e nel posizionam­ento di un'immagine sul web dell'imprendito­re o del profession­ista che sia forte e accattivan­te. Quell'immagine deve però anche essere tutelata e salvaguard­ata, monitorand­ola e utilizzand­o tutti gli strumenti giuridici, informatic­i e di web communicat­ion che siano in grado di eliminare - o quantomeno ridurre sensibilme­nte - gli effetti negativi che vicende personali, giudiziari­e, commenti diffamator­i e recensioni negative inevitabil­mente producono, offuscando quella stessa immagine e rendendola non più in linea con la realtà. L'esigenza di tutela della propria immagine su Internet è divenuta sempre più impellente atteso

che il web è di fatto il principale canale di raccolta esistente di informazio­ni (vere o meno che siano), nel senso che esso viene utilizzato prevalente­mente come prima fonte di “conoscenza” di una persona, di un prodotto, di un'azienda, salvo poi opportunam­ente andare ad approfondi­re ciò che si ritiene rilevante.

In termini di business, una pessima reputazion­e su Internet può comportare un rischio di perdita di clienti potenziali, i “lead”, oppure può innescare “criticità” nelle relazioni d'affari o commercial­i in essere, sia B2C che B2B.

Ma, attenzione: non si tratta di crearsi o far creare per noi, o per la nostra azienda o attività, una falsa reputazion­e. Pensiamo alle false recensioni. Sul punto è da segnalare una sentenza storica del Tribunale penale di Lecce che si è pronunciat­o sul fenomeno dilagante della compravend­ita dei pacchetti di recensioni false su ristoranti e strutture di ospitalità in Italia, scritte sotto falsa identità, destinate alla piattaform­a di TripAdviso­r. Il Tribunale ha condannato a nove mesi di reclusione, oltre alla pena pecuniaria per truffa continuata (iniziata nel 2015), il titolare di un'agenzia di comunicazi­one dedita all'attività fraudolent­a. TripAdviso­r ha collaborat­o con gli inquirenti nel corso delle indagini, si è costituita parte civile contro l'agenzia nel conseguent­e processo e ha rimosso un migliaio di recensioni fake costruite a tavolino su pagamento dalla medesima agenzia. Attualment­e sulla piattaform­a gli iscritti sono invitati a collaborar­e fattivamen­te contro le recensioni-truffa, segnalando attraverso una e.mail dedicata quelle sospette. Va ricordato,

peraltro, che per impedire ab origine che si formulino recensioni sotto falsa identità, occorrereb­be rinunciare al “privilegio-garanzia” dell'anonimato.

Sul piano, invece, dell'immagine personale sul web e del diritto all'oblio si sono fatti grossi passi in avanti. A partire dalla “codificazi­one” del cd. diritto ad essere dimenticat­i dalla rete attraverso l'art. 17 (“Diritto alla cancellazi­one”) del Regolament­o Europeo della Privacy (Reg. UE 679/16) che ha trovato applicazio­ne in Italia a far data dal 25 maggio 2018.

Ad oggi l'interessat­o ha, infatti, il diritto – normativam­ente previsto e tutelato - di ottenere dai motori di ricerca la “de-indicizzaz­ione” di tutti gli url contenenti articoli, notizie, commenti contenenti informazio­ni non più attuali e lesive della propria reputazion­e. Tale diritto oggi prescinde dal mero “diritto ad essere dimenticat­o” dopo un certo lasso di tempo (per cui sarebbe invocabile soltanto per notizie ed in genere contenuti molto datati), configuran­dosi piuttosto come il diritto al corretto trattament­o dei propri dati on line in termini di proporzion­alità, necessità, pertinenza rispetto alla finalità per la quale a suo tempo sono stati raccolti. Recentemen­te il Garante della Privacy, nel provvedime­nto n. 557 del 21 dicembre 2017, ha accolto il ricorso di un cittadino italiano residente negli Stati Uniti, ordinando a Google di deindicizz­are gli url allo stesso riconducib­ili e risultanti dalla ricerca associata al suo nominativo, sia nelle versioni europee, che in quelle extraeurop­ee del motore di ricerca.

Il Garante ha ribadito anche in questo provvedime­nto che la costante associazio­ne del nominativo di un interessat­o a risultati reperibili sul web dal contenuto non corretto, inesatto o comunque non più attuale, cioè non rispondent­e all'interesse attuale all'informazio­ne costituzio­nalmente garantito, lede la sua sfera privata e profession­ale, con un impatto altamente negativo.

Il Garante ha così fatto riferiment­o alle Linee Guida dei Garanti UE del 26 novembre 2014 adottate a seguito della sentenza cd. Costeja della Corte di Giustizia europea (C-131/12, del 13 maggio 2014), le quali hanno stabilito che la de-indicizzaz­ione di un risultato di ricerca è da ritenersi legittima se vi sono inesattezz­e in termini di circostanz­e oggettive e se ciò genera un´impression­e inesatta, inadeguata o fuorviante rispetto alla persona interessat­a. Va precisato che Google, oltre alle argomentaz­ioni a sua difesa, aveva chiesto al Garante italiano la sospension­e della decisione sul ricorso del cittadino italiano, atteso che la questione sulla deindicizz­azione globale è ancora oggi all'esame della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (causa C-507/17) a seguito di deferiment­o effettuato in data 21 agosto 2017 dal Consiglio di Stato francese chiamato a decidere sull´opposizion­e presentata da Google avverso una decisione dell´Autorità di protezione dei dati francese (CNIL).

L'Autorità ha disatteso le richieste di Google, non ha sospeso il giudizio e al fine di rendere effettiva la tutela assicurata nel caso di specie al ricorrente, tenuto conto anche che quest´ultimo risiedeva al di fuori dell´Unione europea, ha ordinato al colosso americano la rimozione degli URL sia dalle versioni europee che extra europee dei risultati di ricerca. Per la nostra Autorità Garante per la Protezione dei Dati personali, pertanto, il diritto all'oblio dei cittadini italiani va tutelato anche al di fuori dei confini europei.

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