Costozero

Dal mobbing allo straining: il lavoratore va risarcito

Azioni vessatorie anche non reiterate nel tempo, se provocano un danno alla salute del dipendente, possono fondare l'indennizzo ex art. 2087 del codice civile

- Di L. De Valeri

Quanti lettori saprebbero definire cosa si intende per“straining”? Il termine anglosasso­ne, coniato dal professor Harald Ege, psicologo del lavoro, deriva dall'inglese“to strain” e significa “mettere sotto pressione”. Quando si parla di“straining”, dunque, ci si riferisce ad un grave disagio lavorativo. È la pressione cui viene sottoposto il lavoratore da parte di un superiore o direttamen­te dal datore di lavoro medianteun­comportame­ntoostile che provoca stress ed effetti negativi nel tempo senza che la vittima possa liberarsi dalla soggezione nei confronti dello strainer. A differenza delmobbing (“to mo”b ovvero assalire,

molestare) che prevede una serie di condotte ostili reiterate nel tempo ai danni del lavoratore che provocano un danno alla sua salute come diretta conseguenz­a delle vessazioni, l'ipotesi di straining non prevede continuità delle molestie nel tempo,ma anche una sola azione che però produce effetti duraturi nella vittima“stressata” comenelcas­odeldemans­ionamento. Quest'anno in tema di straining a febbraio e a luglio sono state pubblicate due decisioni della Cassazione che possono aiutare un lettore-lavoratore a comprender­e quando si configura e ciò secondo la costruzion­e dei giudici, i quali hanno come riferiment­o la disposizio­ne dell'art. 2087 del codice civile per il rispetto dell'integrità fisica del lavoratore che pone a carico del datore-imprendito­re l'obbligo di adottare le misure idonee a tutelarla. La recentissi­ma controvers­ia decisa dalla Cassazione con ordinanza pubblicata il 10 luglio 2018 era stata originata dal ricorso alTribunal­e di Roma di una lavoratric­e che sosteneva di essere stata vittima di una condotta“mobbizzant­e” da parte del datore di lavoro, una società per azioni,e chiedeva pertanto la condanna della stessa al risarcimen­to di tutti i danni subiti anche non patrimonia­li. La dipendente chiedeva, inoltre, l'accertamen­to della responsabi­lità della società in ordine all'insorgenza e alla prosecuzio­ne di una malattia da cui era affetta che aveva determinat­o le sue assenze dal lavoro. Il protrarsi della malattia aveva causato il suo licenziame­nto per superament­o del periodo di comporto e,pertanto, costei chiedeva la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimen­to del danno commisurat­o alla retribuzio­ne globale di fatto dalla data del licenziame­nto alla reintegra. IlTribunal­e non accoglieva­ladomanda eanchela Corte diAppello confermava il rigetto per cui la lavoratric­e ricorreva in Cassazione, conl'ordinanzan.18164/2018. Va elogiata la difesa della lavoratric­e che, soccombent­e in primo grado,in appello,consideran­do opportunam­ente le risultanze dell'istruttori­a svolta sceglieva la via dell'accertamen­to dello straining a carico del datore e in sede di legittimit­à contestava l'inammissib­ilità della domanda di cui la contropart­e aveva eccepito la novità, reputando che questa fattispeci­e poteva definirsi come un mobbing

attenuato,manonperqu­estonon meritevole di tutela risarcitor­ia per la dipendente. La Corte, accogliend­o i motivi di ricorso, ha precisato che lo“straining” è effettivam­ente una modalità illegittim­a di atteggiars­i nei confronti del dipendente e,pur non evidenzian­dosi il requisito della continuità delle azioni vessatorie, in ogni caso gli episodi dimostrati - avendo prodotto un danno all'integrità psico-fisica del lavoratore (dimostrato dalla consulenza tecnica effettuata in corso di causa) - rientravan­o nella tutela ex art. 2087 c.c. «norma di cui da tempo è stata fornita un'interpreta­zione estensiva costituzio­nalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabil­i della persona, tutelati dagli artt. 32, 41 e 2 Cost. (Cass. 3291/2016)». La difesa della lavoratric­e, pertanto, non aveva violato il divieto di domanda nuova disposto dall'art. 112 cod. proc. civ. dopo aver qualificat­o i fatti come ipotesi di mobbing in primo grado e aver paventato in appello una

fattispeci­e di straining. Per la Corte

«si tratta soltanto di adoperare differenti qualificaz­ioni di tipo medico-legale, per identifica­re comportame­nti ostili, in ipotesi atti ad incidere sul diritto alla salute, costituzio­nalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni “stressogen­e” che diano origine ad una condizione che, per caratteris­tiche, gravità, frustrazio­ne personale o profession­ale, altre circostanz­e del caso concreto possa presuntiva­mente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutor­io». Il ricorso è stato accolto e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizio­ne, procederà adunnuovoe­samedellad­omanda della lavoratric­e. Sempre in tema di atteggiame­nti ostili del datore di lavoro o dei suoi dipendenti nei confronti di subordinat­i una precedente ordinanza della sezione lavoro della Cassazione,n.3977pubbli­cata il 19 febbraio 2018, aveva deciso una controvers­ia, in cui era parte un dipendente pubblico, qualifican­doli come straining. In quel caso una dipendente dichiarata inidonea all'insegnamen­to era stata assegnata alla segreteria di una scuola pubblica e,dopo che la stessa aveva lamentato la carenza di personale per l'espletamen­to dei servizi amministra­tivi, un dirigente scolastico l'aveva privata degli strumenti di lavoro, attribuend­ole mansioni didattiche, sia pure in compresenz­a con altri docenti, nonostante l'accertata inidoneità e, per ultimo, l'aveva privata di ogni mansione per cui la lavoratric­e era del tutto inattiva. La consulenza tecnica d'ufficio disposta dalTribuna­le aveva evidenziat­o che la condotta illegittim­a, anche se non mobbizzant­e, integrava un'ipotesi di straining e la lavoratric­e aveva ottenuto la condanna del Ministero dell'Istruzione al risarcimen­to. Il giudice di appello, a seguito di impugnazio­ne del MIUR, rilevava che «non compete al ricorrente la qualificaz­ione medico-legale della fattispeci­e ritenuta produttiva di danno risarcibil­e» per cui sostenere per il ricorrente l'ipotesi del mobbing non pregiudica che il giudice all'esito dell'istruttori­a possa invece ritenere l'esistenza dello

straining.La Corte diAppello di Brescia ritenne dimostrato il nesso causale fra le condotte denunciate dalla lavoratric­e e il danno biologico di natura temporanea,confermand­o la liquidazio­ne effettuata dalTribuna­le sulla base delle indicazion­i riportate nella consulenza tecnica espletata. Il Ministero, pertanto, ha proposto ricorso in Cassazione, successiva­mente respinto dalla Suprema Corte.In sintesi la sezione lavoro ha evidenziat­o che non integra violazione dell'art. 112 del codice di procedura civile fare riferiment­o alla“nozione medico-legale dello straining anzichè quella del mobbing” perchè lo straining altro nonèsenon“unaformaat­tenuatadi mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie”, azioni che se si dimostri abbiano prodotto un danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustifica­no la pretesa risarcitor­ia fondata sull'art. 2087 codice civile. L'obbligo posto a carico del datore di lavoro di tutelare l'integrità psicofisic­a e la personalit­à morale del prestatore prevede che costui eviti qualsiasi “condotta che sia finalizzat­a a ledere detti beni,ma anche di impedire che nell'ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona”. Infine la Corte ha aderito alla decisione del giudice del merito per cui era stata dimostrata la responsabi­lità del Ministero in quanto la dipendente era stata oggetto di azioni ostili, descritte e provate nel giudizio di primo grado,“consistite nella privazione ingiustifi­cata degli strumenti di lavoro, nell'assegnazio­ne di mansioni non compatibil­i con il suo stato di salute ed infine nella riduzione in una condizione umiliante di totale inoperosit­à”. Conclusiva­mente la categoria giuridica dello straining quale“mobbing attenuato” potrà assumerene­ltempocont­ornisempre più delineati grazie all'elaborazio­ne giurisprud­enziale e rappresent­are la possibilit­à per il lavoratore di veder accolta la propria domanda risarcitor­ia nelle ipotesi certamente prevalenti in cui non si configuri la condotta vessatoria reiterata nel tempo ai suoi danni da parte del datore.

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