Gli anziani e il diabete/II parte
Un evento acuto, che in un soggetto in buona salute può essere rapidamente ed efficacemente controllato, in uno fragile può portare a gravi conseguenze
La malattia diabetica è in costante aumento e rappresenta, secondo l'OMS, un rilevante problema di salute pubblica tanto da far parte di quel ristretto novero di malattie croniche divenute prioritarie nell'agenda dei decisori mondiali. I casi di diabete sono per il 90% del tipo 2 - che insorge prevalentemente in età adulta - e, quindi, destinati ad aumentare considerando l'incremento della vita media. Il miglioramento delle terapie, l'allungamento della sopravvivenza delle persone con diabete, la qualità dell'assistenza e la possibilità di anticipare la diagnosi sono altri fattori che incidono sull'incremento dei soggetti diabetici. In Italia su 100 persone affette da diabete, 70 hanno più di 65 e 40 più di 75 anni. Nell'anziano la“fragilità” è condizione caratterizzata da una riduzione della riserva funzionale con incremento della vulnerabilità età-dipendente. Questo significa che un evento acuto, che in un soggetto in buona salute può essere rapidamente ed efficacemente controllato, in un soggetto fragile può portare a gravi conseguenze. È il caso dello scompenso glico-metabolico acuto, sia inteso come iperglicemia, sia soprattutto come ipoglicemia. Per ipoglicemia si intende un valore di glicemia inferiore a 70 mg/dl. La valutazione del rischio di ipoglicemia e la sua prevenzione sono strumenti fondamentali per un corretto percorso di diagnosi e terapia, da valorizzare in considerazione delle ricadute pratiche. I principali fattori di rischio di ipoglicemia nell'anziano sono l'età avanzata, la malnutrizione, le malattie acute intercorrenti, l'isolamento sociale, l'assunzione di politerapia e la depressione. Al contrario di quanto avviene per altri fattori di rischio, l'ipoglicemia ha effetti decisamente negativi sull'apparato cardiovascolare. Potremmo dire che nel paziente anziano si manifesta la cosiddetta“sindrome metabolica inversa”: l'iperglicemia, l'obesità, l'ipertensione arteriosa e l'insulinoresistenza non sono più predittori di mortalità ma al contrario di sopravvivenza.
Essendo il rischio di ipoglicemia più elevato nei pazienti più anziani, una scelta oculata dei target terapeutici può essere un elemento chiave per modificare la prognosi cardiovascolare.
Per questi motivi sono stati proposti standard di emoglobina glicata (HBA1c) meno rigidi per le persone con diabete non più giovani. L'emoglobina glicata permette di sapere se la glicemia ha superato i limiti accettabili. Secondo i nuovi standard italiani, gli obiettivi di emoglobina glicata potranno essere più ambiziosi per pazienti autosufficienti, in condizioni generali buone e aspettativa di vita di almeno 8-10 anni (HbA1c% 7.0 – 7.5%).
Negli anziani fragili, nei quali il rischio di ipoglicemia è alto, è appropriato un obiettivo meno restrittivo, pari ad un valore di HbA1c% tra 8.0 e 8.5%. Estremamente interessante la proposta statunitense del Department of Veteran Affairs, che direziona gli obiettivi glicemici sulla guida delle comorbidità e delle complicanze microvascolari arrivando a considerare accettabili, in particolari casi, anche valori di HBa1c fino al 9%.