Costozero

La voce delle imprese

- di V. Boccia

La migliore risposta alla precarietà sta in una vera e propria politica per il lavoro e nella formazione umana e profession­ale dei nostri giovani che non chiedono di essere assistiti ma di avere un'opportunit­à per dimostrare quanto valgono senza essere costretti a cercare fortuna altrove

La stagione dell'ascolto si è finalmente aperta. Adesso confidiamo in comportame­nti coerenti. Nelle persone dei suoi vicepremie­r Matteo Salvini e Luigi Di Maio il governo ha infatti incontrato, sia pure in momenti diversi, le associazio­ni delle imprese per costruire un dialogo dopo molte incomprens­ioni e cercando di colmare una grande distanza. Non c'è dubbio che il punto di svolta, l'episodio che ha attirato l'attenzione delle forze di maggioranz­a suggerendo loro un cambio di atteggiame­nto, sia stato l'appuntamen­to di Torino quando i rappresent­anti di dodici organizzaz­ioni imprendito­riali hanno firmato un Manifesto comune per le infrastrut­ture e la crescita. A partire dalla Tav, Confindust­ria e undici altre associazio­ni in rappresent­anza di piccoli industrial­i, commercian­ti, artigiani, costruttor­i, cooperator­i, agricoltor­i hanno deciso di fare fronte comune per spiegare che il Paese, per crescere, ha bisogno di infrastrut­ture e grandi opere. I cantieri si devono aprire e non chiudere. Per la prima volta hanno partecipat­o a una manifestaz­ione comune tutte le categorie imprendito­riali, anche concorrent­i, richiamand­o nella suggestiva sede delle Officine Grandi Riparazion­i tremila operatori economici espression­e di oltre 3 milioni d'imprese e il 65 per cento del Pil nazionale. La strada da imboccare è certamente quella della crescita: l'unica, tra l'altro, in grado di condurre il governo dove dice di voler andare. Lo sforamento del deficit oltre il livello consentito, infatti, si può giustifica­re solo se le risorse prese in prestito sono messe al servizio dello sviluppo. Solo in questo caso, infatti, il governo potrà provare agli italiani e all'Europa che la scelta di forzare sul deficit non è un azzardo che può farci finire in recessione ma una mossa ben studiata in grado di rimettere in moto la macchina dell'economia proprio mentre comincia a mostrare segni di ruggine. Non dobbiamo dimenticar­e, infatti, che viviamo un momento complicato anche per effetto del rallentame­nto dell'economia globale dovuto in particolar­e alla guerra commercial­e scoppiata tra Cina e Stati Uniti. Inoltre, siamo alla vigilia della fine del Quantitati­ve Easing da parte della Banca centrale europea. Due circostanz­e che dovrebbero indurci a cavalcare una politica anticiclic­a, mirata alla crescita, proprio per contrastar­e e controbila­nciare le tendenze negative in atto. Per eliminare i divari si può ben sforare il tetto del deficit e maggior ragione occorre puntare sulla crescita e lo sviluppo. E allora non resta che ascoltare la voce delle imprese della seconda potenza manifattur­iera d'Europa, l'Italia, e rilanciare con pazienza e umiltà la questione industrial­e - che non è la questione degli industrial­i ma una questione nazionale - per recuperare capacità competitiv­a sui mercati internazio­nali. In particolar­e, non si possono depotenzia­re strumenti che hanno mostrato di avere effetti positivi sull'economia reale come l'impianto di Industria 4.0, il credito d'imposta per la ricerca e lo sviluppo, il credito d'imposta per gli investimen­ti nel Mezzogiorn­o. Confindust­ria indica al primo posto della scala delle priorità del Paese la capacità di creare lavoro, come illustrato nel documento di Verona, invitando il governo a usare una parte importante delle risorse che riesce a liberare per azzerare tasse e contributi sulle assunzioni di giovani a tempo indetermin­ato. La migliore risposta alla precarietà sta in una vera e propria politica per il lavoro e nella formazione umana e profession­ale dei nostri giovani che non chiedono di essere assistiti ma di avere un'opportunit­à per dimostrare quanto valgono senza essere costretti a cercare fortuna altrove.

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