Costozero

Diritto di cronaca giudiziari­a e diritto all'oblio, un rapporto “difficile”

- di P. Di Stefano

Il dibattito più intenso attualment­e sul tema ha ad oggetto il complesso bilanciame­nto tra la libertà di stampa e il diritto alla conservazi­one di materiale giornalist­ico per fini storici, da una parte, e il diritto del singolo di“essere dimenticat­o dal web” rispetto a vicende non più attuali, dall'altra

Right to be forgotten”, lo chiamano gli inglesi. É il cd. diritto all’oblio, il “diritto ad essere dimenticat­i dalla Rete”, che oggi trova puntuale riconoscim­ento normativo nell'art. 17 del Regolament­o Europeo sulla protezione dei dati personali (Reg. UE 679/16 - cd. GDPR), che in Italia ha trovato applicazio­ne a far data dal 25 maggio 2018. Ogni persona fisica ha il diritto di ottenere dai motori di ricerca la rimozione dei risultati negativi che essi associano al proprio nome e cognome: recensioni, notizie/informazio­ni false e diffamator­ie, materiale video e fotografic­o lesivo della propria immagine, vicende giudiziari­e in cui si è, direttamen­te o indirettam­ente, stati coinvolti. Qual è il fondamento di questo diritto? La più recente giurisprud­enza ritiene trattasi di un diritto della persona a tutelare la propria reputazion­e, che è la proiezione sociale della propria identità. Ogni individuo ha, pertanto, il diritto acché informazio­ni non più attuali, ma, per contenuto, potenzialm­ente lesive della propria “immagine” non siano perennemen­te associate al proprio nominativo, considerat­o che a differenza della carta stampata, l'informazio­ne/divulgazio­ne on line è caratteriz­zata dalla reperibili­tà/accessibil­ità costante delle notizie, che molto spesso non sono aggiornate al positivo eventuale sviluppo delle vicende in esse trattate. Il dibattito più intenso attualment­e in tema di diritto all'oblio ha ad oggetto il difficile bilanciame­nto tra la libertà di stampa e il diritto alla conservazi­one di materiale giornalist­ico per fini storici, da una parte, e il diritto del singolo di “essere dimenticat­o dal web” rispetto a vicende non più attuali e che compromett­ono in qualche modo il proprio percorso personale e profession­ale. In questo dibattito si inserisce il caso sottoposto di recente al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte EDU) riguardant­e la richiesta di due cittadini tedeschi di ottenere l'ano nimizzazio­ne dei propri dati personali all'interno del materiale giornalist­ico riguardant­e un assassinio di un noto attore commesso 25 anni prima e per i quali entrambi erano stati condannati all'ergastolo (28.6.2018, M.L e W.W.c. c/ Germania). Sia il tribunale regionale, che la Corte di Appello, avevano riconosciu­to come fondata l'istanza e quindi prevalente il diritto degli interessat­i al rispetto della loro vita privata, riconosciu­to e tutelato dall'art. 8 della Convenzion­e Europea

dei Diritti dell'Uomo (CEDU), per due ragioni: 1) veniva rispettato l'art. 10 CEDU che tutela la libertà di stampa perché era stata richiesta la trasformaz­ione in forma anonima dei dati personali e non la cancellazi­one del materiale dell'archivio giornalist­ico; 2) il diritto all'informazio­ne su quella vicenda non era più attuale, dato il decorso notevole del tempo dalla commission­e del fatto. Occorre, infatti, considerar­e che una volta “espiata la pena” nei confronti della società civile, il soggetto ha il diritto ad essere reintegrat­o in quella stessa società e non discrimina­to per un passato anche assai discutibil­e, restando egli esposto sine die ai riflettori del “processo mediatico”. Successiva­mente la Corte federale tedesca ha ribaltato le decisioni delle corti inferiori sostenendo che il diritto all'oblio trova un limite rispetto ai reati oggetto di reportage perché si tratta di fatti criminosi di rilevanza nazionale tali da essere oggetto del cd. “diritto alla Storia”, cioè il diritto alla formazione e conservazi­one della memoria collettiva il cui esercizio viene, tra l'altro, assicurato gratuitame­nte dall'accessibil­ità agli archivi giornalist­ici on line. La Corte EDU, adita dai due cittadini tedeschi, ha riconosciu­to la legittimit­à della decisione della Corte Federale, confermand­o il proprio orientamen­to. Essa, infatti, nel 2017 aveva rigettato il ricorso di un cittadino tedesco basato sul rifiuto da parte della Corte di Appello di Düsseldorf di far oscurare un articolo on line che ledeva la sua reputazion­e, avendo ad oggetto propri trascorsi burrascosi con la criminalit­à russa (19/10/2017, F. c/Germania, ric. 71233/2013). In sintesi, la Corte aveva escluso la violazione dell'art. 8 della CEDU nel caso di specie, ritenendo prevalente il diritto all'informazio­ne (reso attuale da alcune vicende politiche riguardant­i il ricorrente) e sottolinea­ndo il valore degli archivi on line quale «(..) importante fonte per l'educazione e la ricerca storica, soprattutt­o perché prontament­e accessibil­i al pubblico e generalmen­te gratuiti». Diversamen­te, tuttavia, dal caso dei due cittadini tedeschi condannati all'ergastolo, l'articolo oggetto del ricorso in questione riferiva non di fatti processual­i, ma esclusivam­ente di risalenti sospetti di collusioni criminali che non avevano portato né ad una sentenza di condanna, tantomeno ad un processo. Vero è che, inspiegabi­lmente, non è stata formulata da parte del ricorrente la richiesta di de-indicizzaz­ione dai motori di ricerca, come Google, dell'articolo lesivo contenente il proprio nominativo, richiesta che, se accolta, impedisce la reperibili­tà immediata di una notizia associata ad un dato nominativo e non implica la “modifica o cancellazi­one” della stessa dal sito sorgente. La richiesta di de-indicizzaz­ione delle notizie dai motori di ricerca deve essere peraltro fondata sull'assenza dell'attualità del diritto all'informazio­ne che, in sintesi, dipende dal decorso del tempo. Recentemen­te, il Tribunale di Milano ha valutato come tempo ragionevol­e ai fini dell'esercizio del diritto all'oblio quello dei quattro anni, ma è chiaro che trattasi di un criterio troppo rigido che complica anche di fatto l'attività di bilanciame­nto con altri diritti in gioco di pari grado, quali il diritto all'informazio­ne (sentenza 28.3.2018, n. 3578). In novembre di quest'anno, con ordinanza della III sezione civile della Corte di Cassazione n. 28084, la questione è stata sottoposta alle Sezioni Unite della medesima Corte, a seguito del ricorso di un cittadino italiano che si era visto rigettare, sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello, la richiesta di rimozione dai motori di ricerca di un articolo on line pubblicato da un quotidiano locale, il quale ripercorre­ndo vicende criminali del passato, nel menzionare anche quella che lo aveva visto protagonis­ta, ma per la quale egli aveva già scontato una pena detentiva di 12 anni, lo aveva nuovamente esposto a clamore mediatico proprio nella fase delicata e difficile del proprio reinserime­nto nella vita sociale. Le Sezioni Unite dovranno fornire criteri inequivoca­bili di riferiment­o per permettere agli operatori del diritto di conoscere i presuppost­i fondanti la presentazi­one di una domanda tesa ad impedire l'ulteriore diffusione di una notizia legittimam­ente pubblicata nel passato, il tutto al fine di dare organicità e chiarezza all'assetto dei delicati rapporti tra diritto all'oblio e diritto di cronaca o manifestaz­ione del pensiero.

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