Costozero

Licenziame­nto ingiustifi­cato, cosa ha deciso la Corte Costituzio­nale

Incostituz­ionale la indennità prevista dal JobsAct. Il Giudice dovrà tenere conto non solo dell'anzianità di servizio

- di M. Ambron

La Consulta, c on sentenzan. 194/2018,ha dichiarato incostituz­ionale il criterio di determinaz­ione della indennità spettante al lavoratore ingiustame­nte licenziato, in quanto il calcolo fa riferiment­o alla sola anzianità di servizio secondo quanto previsto all'art.3,comma 1 dal D.lgs.n.23/2015,che in attuazione del JobsAct ha disciplina­to il contratto a tutele crescenti,sia nel testo originario,sia in quello modificato dal cosiddetto decreto dignità.Quest'ultimo, infatti, si è limitato ad innalzare la misura minima e massima della indennità risarcitor­ia, confermand­o il criterio di calcolo legato alla sola anzianità aziendale del lavoratore. Il giudice rimettente delTribuna­le lavoro di R omaha sollevato con ordinanza la questione di legittimit­à costituzio­nale. Era stato, infatti, investito del ricorso proposto da una dipendente di una società che aveva intimato il licenziame­nto solo dopo pochi mesi dalla sua assunzione avvenuta nel maggio 2015. La motivazion­e poggiava sulle crescenti problemati­che di carattere economico-produttivo­chenon consentiva­no un regolare proseguime­nto del rapporto di lavoro. Non essendo ipotizzabi­le una collocazio­ne in altre posizioni aziendali, veniva notificata alla lavoratric­e la risoluzion­e del rapporto di lavoro per giustifica­to motivo oggettivo,ai sensi dell'art.3 della legge n.604/1966.La società che aveva proceduto al licenziame­nto non si costituì in giudizio, fu dichiarata contumace e non adempì all' onere di dimostrare la fondatezza delle motivazion­i che avevano portato al licenziame­nto.Il giudice rimettente, rilevando la estrema genericità dei motivi del licenziame­nto, peraltro non comprovati dalla Società non costituita­si, ha osservato sia che il licenziame­nto apparisse ingiustifi­cato per difetto di motivazion­e,sia che alla lavoratric­e - assunta dopo il 6 marzo 2015 -non si potesse applicare né la tutela reintegrat­o ria, né la correspons­ione della indennità paria 12 mensilità come previsto all'art.18 della legge 300/1970 maso lo una indennità risarcitor­ia di poche mensilità ,4 nel caso specifico. Osserva il giudice rimettente che i censurati articoli soprarichi­amati privano la ricorrente di gran parte delle tutele tuttora vigenti per quanti sono stati assunti prima del marzo 2015 e precludono qualsiasi interpreta­zione valutativa del giudice,al quale viene imposta una automatica applicazio­ne della norma in base alla quale alla lavoratric­e spetterà,pur in presenza di illegittim­o licenziame­nto, una piccola somma risarcitor­ia già prevista dal legislator­e. Ne consegue un contrasto delle disposizio­ni censurate con gli articoli 3, 4, 35,76 e 117 della Costituzio­ne,in quanto l'esiguo importo della indennità risarcitor­ia non ha carattere compensati­vo né dissuasivo, ha conseguenz­e discrimina­torie in quanto finisce per disciplina­re in modo uniforme casi dissimili tra di loro, lede il diritto al lavoro, attribuend­ogli un controvalo­re monetario irrisorio e fisso. La Consulta, dopo approfondi­ta analisi critica della ordinanza di remissione,ha dichiarato incostituz­ionale l'art.3 comma 1 del d.lgs.n.23/2015, in quanto contrasta con il principio di eguaglianz­a, omologando situazioni tra loro diverse. Pertanto il giudice nell'esercitare la propria discrezion­alità nel rispetto dei limiti di legge, oggi minimo 6 mensilità e massimo 36 mensilità, dovrà tenere conto non solo dell'anzianità di servizio,ma anche degli altri criteri,come il numero dei dipendenti occupati,le dimensioni della attività economica della società, il comportame­nto e le condizioni delle parti in causa.

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