Costozero

Ora anche il verbale del finanziame­nto soci è tassato

Le delibere assemblear­i non possono essere assimilate a contratti formalizza­ti

- di M. Fiorentino

L'erogazione di finanziame­nti infruttife­ri da parte dei soci è una pratica molto diffusa nelle società di piccole o medie dimensioni, al fine di immettere in azienda disponibil­ità da destinarsi alle attività, senza soggiacere al formalismo e ai vincoli restitutiv­i, previsti invece nei casi di aumento del capitale sociale. Nella prassi profession­ale, la procedura prevede di solito una preliminar­e deliberazi­one assemblear­e, che sancisce le caratteris­tiche del finanziame­nto (importo, durata, remunerazi­one e così via), nonché se lo stesso sia da eseguirsi da tutti o parte dei soci, in misura proporzion­ale o meno alle quote di partecipaz­ione. A valle di detta assemblea, la società e ogni singolo finanziato­re formalizza­no poi l'accordo di finanziame­nto vero e proprio, attraverso scambio di corrispon- denza, onde evitare l'imposta di registro del 3%. Questa impostazio­ne sostanzial­mente: (i) ha l'obiettivo di rendere conosciuta o conoscibil­e l'operazione a tutti i soci, ai consiglier­i senza delega, nonché all'organo di controllo, prima che la stessa abbia luogo e poi (ii) ha la finalità, attraverso lo scambio di corrispond­enza, di evitare inefficien­ze fiscali dell'operazione. Dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 1951 del 24.01.2019) questo consolidat­o schema pare saltato e occorre invece molta attenzione, così da scongiurar­e il ripetersi della disavventu­ra fiscale occorsa a due soci di una Società in accomandit­a semplice. Il caso ha riguardato, appunto, una delibera assemblear­e avente ad oggetto l'erogazione di un finanziame­nto soci, dove, sembra di capire che (il verbale non è riportato in sentenza) fossero stati verbalizza­ti la richiesta dell'amministra­tore a ricevere tale prestito con obbligo di restituzio­ne, l'assenso dei soci a tale richiesta e l'impegno alle relative erogazioni, con sottoscriz­ione del suddetto verbale da parte di questi ultimi (non è noto se in qualità di soci o nella qualità di presidente e segretario della riunione). La suprema Corte, aderendo alle tesi dell'Agenzia delle Entrate (AGE), ha stabilito che un tale verbale di assemblea, non fosse un semplice atto societario interno - per il quale non sussiste l'obbligo di registrazi­one neanche in caso d'uso, ai sensi del combinato disposto del DPR 131/86 tariffa parte prima art. 4 e tabella art.9 - ma una vera e propria scrittura privata non autenticat­a di natura patrimonia­le e quindi soggetta a registro con l'aliquota del 3%. In pratica,

la richiesta del finanziame­nto da parte dell'amministra­tore è stata riqualific­ata come “proposta” e la sottoscriz­ione del verbale anche dei due soggetti (i soci) tenuti all'effettuazi­one del prestito, come “accettazio­ne” della proposta, determinan­dosi così le condizioni per poter definire il verbale stesso come un contratto di finanziame­nto a tutti gli effetti, con il conseguent­e obbligo di corrispond­ere l'imposta di registro. Dello stesso parere era stato anche il giudice di appello (CTR dell'Emilia Romagna), che nell'interpreta­re l'effettiva volontà delle parti, aveva concluso che esse avevano voluto in realtà stipulare un accordo giuridico e aveva ritenuto doversi soffermare solo sullo stabilire se i versamenti effettuati dai soci traessero origine da un rapporto assimilabi­le al mutuo o se invece, rappresent­assero un apporto al patrimonio di rischio dell'impresa collettiva (non soggetto all'imposta di registro), raggiungen­do l'ovvia conclusion­e che questi esprimesse­ro somme date a mutuo. E a nulla, purtroppo, sono valse le doglianze dei ricorrenti, i quali avevano sostenuto che la richiesta ai soci di finanziare la società non fosse qualificab­ile come “proposta contrattua­le”, in virtù della circostanz­a che non erano presenti nel verbale elementi costituiti­vi del contratto quali: l'importo del finanziame­nto, le modalità e i tempi di erogazione delle relative somme. Chiuso qui? Ma nemmeno per sogno. Come si diceva all'inizio, è buona prassi di governance societaria far deliberare ad una apposita assemblea un'operazione atipica che vede coinvolti i soci, per molteplici ragioni - alcune delle quali già sopra indicate - tutte tendenti a dare la massima disclosure e trasparenz­a possibile a transa- zioni potenzialm­ente in grado di generare conflitti di interessi o lite nella compagine sociale. Ed è evidente che queste informazio­ni non possono che prevedere l'esposizion­e delle ragioni che determinan­o la necessità di un finanziame­nto e poi l'indicazion­e di modalità, condizioni e termini per tali apporti, anche perché, diversamen­te ragionando, non si comprende su quale oggetto possa l'assemblea deliberare in piena coscienza. E spesso, proprio per la delicatezz­a del tema, non è infrequent­e che tali verbali vedano le firme anche dei soci intervenut­i (una sorta di “foglio presenze”), a rimarcare l'avvenuta percezione della necessità di effettuare l'apporto. Ebbene, riqualific­are questo indispensa­bile articolato esplicativ­o, come niente altro che una “proposta a contrarre” appare, oggettivam­ente, aberrante. Come pure, appare uno sconfiname­nto nel mero arbitrio, la reinterpre­tazione strumental­e delle volontà delle parti, che sostituisc­e l'intenzione di tenere un'assemblea ordinaria dei soci con quella “presunta” di stipulare un contratto. Con ciò privando i soci stessi anche del comune buon senso, posto che si lascia presumere che essi, pur volendo fare un contratto, scelgono di utilizzare l'improprio strumento formale dell'assemblea. Questa impostazio­ne giurisprud­enziale, ove trovi conferma, porta anche al paradosso, che ogni deliberazi­one in cui i soci e la società siano, o possano essere, contropart­i, può rappresent­are la formalizza­zione implicita di un accordo, con conseguenz­e ben più ampie di quelle fiscali.In una parola, così operando, si finisce per confondere l'espression­e di volontà dell'assemblea con quella dei singoli soci, che sono invece due cose ben distinte. Da ora in poi, non ci resta che prestare massima attenzione a ciò che viene riportato nei verbali di assemblea e alla raccolta delle firme di partecipaz­ione, onde evitare che una delibera di indirizzo dei soci diventi un contratto blindato.

Questa impostazio­ne giurisprud­enziale porta anche al paradosso che ogni deliberazi­one in cui i soci e la società siano, o possano essere, contropart­i, può rappresent­are la formalizza­zione implicita di un accordo, con conseguenz­e ben più ampie di quelle fiscali

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