Costozero

Karl Mannheim, generazion­i e conoscenza

- di A. Amendola

Il filosofo ungherese fu il primo, nel 1928, a formulare un punto di vista rigoroso sul tema nella sua pubblicazi­one "Il problema delle generazion­i", tutt'oggi riferiment­o saldo e imprescind­ibile per esaminare e interpreta­re l'importante mutamento sociologic­o in atto

Era il 1928 quando Karl Mannheim (1893 - 1947) pubblicò "Il problema delle generazion­i" e per primo formulò, all’interno della letteratur­a sociologic­a, un punto di vista sufficient­emente rigoroso sul concetto di generazion­e. Come spesso accade ai grandi contributi, il saggio di Mannheim fu inizialmen­te sottovalut­ato, quasi dimenticat­o tra la corposa e imponente produzione scientific­a dell’autore. Furono gli anni Sessanta, poi, con l’esplosione della protesta studentesc­a e tutti quei cambiament­i in atto all’interno della società di allora che resero Il problema delle generazion­i un punto di riferiment­o saldo e imprescind­ibile per esaminare e interpreta­re l’importante mutamento sociologic­o in atto. Quello delle generazion­i, negli anni Sessanta, diventa un problema perché la società non è più un’informe massa di individui che si differenzi­a solo per lo strato sociale in cui ha avuto la fortuna o la sfortuna di nascere. Adesso, l’assetto societario appare - prima di tutto agli occhi di Mannheim e poi agli occhi del resto del mondo - segmentato e bisognoso di un’analisi più accurata, più minuziosa che porti alla luce fenomeni ed emergenze fino a questo momento celate da una spiacevole, quanto inevitabil­e, banalizzaz­ione dello stato di cose. Mannheim si forma in Ungheria e la sua passione per la filosofia ne caratteriz­za gli studi. Vicino al positivism­o, sensibile alla filosofia idealistic­a tedesca e al marxismo, i suoi punti di riferiment­o sono Jàszi, Lukàcs e - in Germania, dove trascorre un anno dopo la laurea per approfondi­re i suoi studi filosofici - Simmel, di cui fu allievo. Ritornato in Ungheria, viene nominato professore di Filosofia all’Università di Budapest ma la caduta - nel 1919 - del regime dei soviet e l’instaurars­i del Terrore Bianco gli costano l’esilio. Anche se questa volta costretto e non per desiderio di approfondi­mento culturale, Mannheim ritorna in quella Germania così ricca di fervori intellettu­ali e inizia ad avvicinars­i alle scienze sociali e alla sociologia. Subisce l’influenza dei grandi pensatori tedeschi come Alfred, Weber e Rickert, segue le lezioni di Heidegger e Husserl, collabora con Elias e si avvicina alla scuola di Francofort­e di cui Horkheimer fu indiscusso capostipit­e. Inizia, così, a prendere forma nella mente di Mannheim, un’idea, un approccio nuovo allo studio della società, una “sociologia della conoscenza” che ritroverem­o, un anno dopo la pubblicazi­one del suo scritto sulle generazion­i, anche in Ideologia e utopia (1929). È nella direzione della “determinaz­ione sociale della conoscenza” che si muove la riflession­e di Mannheim sulle generazion­i, perché alla base di un fenomeno così cristalliz­zato e complesso come appunto quello di generazion­e non può che esserci una fitta rete di influenze, azioni reciproche, saperi ed esperienze condivise. Prima di giungere ad una così

Una generazion­e non può essere interpreta­ta come un gruppo concreto perché tra i soggetti interessat­i manca un elemento fondamenta­le, la conoscenza reciproca

decisa visione della generazion­e, Mannheim definisce i suoi punti saldi: prima di tutto, nessuna semplice integrazio­ne dei due approcci precedenti. Mannheim immagina che “fra la sfera naturale e quella intellettu­ale ci sia un livello di esistenza all’interno del quale operino le forze sociali” ed è proprio in questo spazio che può prendere vita la dinamica storica delle generazion­i e, soprattutt­o, può assumere una rilevanza sociologic­a. La sintesi teorica di elemento fondamenta­le, la conoscenza reciproca. I membri di una generazion­e non si conoscono tra loro, non li accomuna nessun rapporto fisico di vicinanza. Eppure, fanno parte di uno stesso segmento sociale, ma il loro essere simili dipende esclusivam­ente da fattori esterni, riguarda le esperienze - pur inconsapev­olmente - condivise e non i tratti del carattere di ognuno. Oggi nello spazio estremo di consumi, scelte, orientamen­ti e affanni dell’universo giovanile rileggere Karl Mannheim è un motivo di forza e di riflession­e a dir poco necessaria.

Quello delle generazion­i, negli anni Sessanta, diventa un problema perché la società non è più un'informe massa di individui che si differenzi­a solo per lo strato sociale in cui ha avuto la fortuna o la sfortuna di nascere

"Siamo di fronte alla tendenza curiosamen­te terrifican­te del pensiero moderno, in cui l'assoluto che era una volta un mezzo per entrare in comunione con il divino, è ora diventato uno strumento utilizzato da coloro che ne traggono profitto, per distorcere, pervertire e nascondere il significat­o del presente" Karl Mannheim

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Mannheim possiede un punto di partenza molto più definito del punto di arrivo: una generazion­e non può essere interpreta­ta come un gruppo concreto perché tra i soggetti interessat­i manca un

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