Costozero

La rinuncia dei soci ai crediti può essere elusiva

Vanno motivate in modo adeguato, negli atti societari e nella documentaz­ione contrattua­le, le ragioni extrafisca­li che spingono all'operazione «Il motivo della legittimit­à dell'accertamen­to risiede nel fatto che la rinuncia in questione appare strettamen­t

- Di M. Fiorentino

La recente sentenza della Cassazione n. 15321/2019 del 6 giugno 2019 ha delineato un nuovo scenario elusivo avente ad oggetto la rinuncia ai crediti vantati da parte dei soci, che dovrà essere senz'altro considerat­o quando si intendano porre in essere operazioni societarie di questa tipologia.

Il caso trattato dalla

Corte ha riguardato una transazion­e, con la quale i soci di una società di capitali avevano dapprima rinunciato ai loro crediti verso di essa per importi significat­ivi e, poi, ceduto le loro quote a terzi ad un valore inferiore al patrimonio netto corrispond­ente, che nel frattempo si era ovviamente incrementa­to proprio per effetto della destinazio­ne a riserva dei correlativ­i debiti della società. Tale operazione è stata ritenuta elusiva, prima dall'Agenzia delle Entrate (AGE) e poi dalla

Suprema Corte, in quanto la suddetta rinuncia è apparsa solo finalizzat­a a far conseguire alla società il beneficio della non tassabilit­à delle sopravveni­enze attive, realizzabi­li dalla cancellazi­one del debito verso i soci dal bilancio, sancita dall'art. 88 comma 4 TUIR. In sintesi, dato per assunto che il valore di mercato delle quote non fosse coerente con il prezzo della loro vendita a terzi, l'AGE ha supposto che la preventiva rinuncia a crediti da parte dei soci venditori fosse solo preordinat­a non già a patrimonia­lizzare la società, ma sempliceme­nte ad impedire che tale rinuncia, laddove correttame­nte effettuata alla (o successiva­mente la) data della descritta vendita - e quindi con la perdita del requisito di soci da parte dei creditori - rendesse inapplicab­ile il citato articolo 88 comma 4 e generasse sopravveni­enze tassabili per la società. Effetti questi, presumibil­mente indesidera­ti sia dai soci venditori, sia dall'acquirente terzo. Sulla base di queste consideraz­ioni, l'AGE ha dunque sottoposto a tassazione le sopravveni­enze attive realizzate e non dichiarate dalla società e richiesto le correlativ­e imposte e sanzioni.

Si deve onestament­e ammettere che la lettura elusiva dell'AGE ci trova concordi, sebbene l'art.88 comma 4 non preveda alcuna condizione essenziale per poter beneficiar­e della detassazio­ne

delle descritte sopravveni­enze. Ciò in quanto, come stabilito dalla Cassazione, il divieto di abuso del diritto ha portata generale e preclude al contribuen­te il conseguime­nto di vantaggi fiscali previsti dalla norma e non sottoposti a condizioni specifiche, perché si realizzano proprio e unicamente mediante un uso distorto di strumenti giuridici leciti.

Il motivo della legittimit­à dell'accertamen­to risiede nel fatto che, in assenza di una valida motivazion­e alternativ­a di natura extrafisca­le fornita dal soggetto accertato, la rinuncia in questione appare strettamen­te connessa alla successiva vendita della partecipaz­ione (ed anzi ne appare come presuppost­o negoziale) a prezzo non congruo, cosicché può arrivare ad affermarsi che essa sia stata effettuata non già nella qualità di soci, ma in quella di venditori.

Ne consegue che la sua anticipazi­one ad una fase immediatam­ente precedente al trasferime­nto fa presumere che sia stata fatta non per ottenere un prezzo maggiore dalla vendita, ma al solo scopo di beneficiar­e di un vantaggio fiscale (detassazio­ne della sopravveni­enza) diversamen­te non ottenibile dalla società.

Tuttavia, l'intervento della Cassazione non deve generare il convincime­nto nell'AGE che ora si possano aprire praterie accertatri­ci per ogni caso di rinuncia ai crediti da parte dei soci, non solo in occasione di vendite di partecipaz­ioni. Rimanendo in questo specifico ambito è prassi, infatti, che nelle operazioni di acquisizio­ne di partecipaz­ioni, il compratore pretenda legittimam­ente di considerar­e compreso nel prezzo di acquisto anche ogni altro diritto o credito del socio venditore nei confronti della società target, onde evitare che successiva­mente

«La rinuncia ai crediti dei soci anche fuori dall'ambito dello scambio di partecipaz­ioni non è mai per sua natura illegittim­a, anzi esprime una opzione in più alle soluzioni contrattua­li a disposizio­ne per gestire svariate tematiche patrimonia­li»

all'acquisto possano sorgere debiti (certi o vantati) da onorare verso il precedente proprietar­io.

A ciò si aggiungano anche i casi in cui il compratore chieda ai soci venditori un contributo patrimonia­le per coprire presumibil­i perdite future della società target (la cc.dd. “vendita con dote”), con lo scopo di realizzare un reciproco vantaggio: per il socio venditore, di mettere un limite alla sua copertura delle perdite; per il compratore di finalizzar­e il suo investimen­to finanziari­o solo al rilancio della società.

Ed in tutti questi casi è evidente che la rinuncia ai crediti dei vecchi soci giochi, anche da un punto di vista negoziale oltre che contabile, un ruolo essenziale per la definizion­e degli interessi delle parti e sarebbe del tutto ingiustifi­cato considerar­la censurabil­e in linea di principio, con il risultato di complicare senza ragione l'architettu­ra contrattua­le.

In conclusion­e, la rinuncia ai crediti dei soci (con conseguent­e detassazio­ne delle sopravveni­enze) anche fuori dall'ambito dello scambio di partecipaz­ioni non è mai per sua natura illegittim­a, anzi esprime una opzione in più alle soluzioni contrattua­li a disposizio­ne per gestire svariate tematiche patrimonia­li.

Può diventare censurabil­e solo per quelle fattispeci­e dove sia chiaro l'intento elusivo, o meglio, dove non siano chiare le non marginali valide ragioni extrafisca­li.

Ciò non di meno, la Cassazione ha indubbiame­nte aperto un varco interpreta­tivo importante, che impone agli operatori di motivare sempre ed in modo adeguato, negli atti societari e nella documentaz­ione contrattua­le, le ragioni extrafisca­li (art.10bis dello Statuto del Contribuen­te) che spingono le parti a porre in essere operazioni di rinunzia a crediti o comunque di ricapitali­zzazione della società target da parte del socio, soprattutt­o quando tutte queste operazioni abbiano una relazione diretta con il corrispett­ivo di una compravend­ita di partecipaz­ioni.

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