Costozero

Il potere dei Social nei processi di recruiting del personale

Le potenziali­tà offerte dalle tecnologie digitali rimodulano la dinamica operativa e puntuale del sistema aziendale con i mercati del lavoro di riferiment­o, velocizzan­dola e amplifican­dola enormement­e

- Di R. G. Zuffo

LinkedIn, Facebook, WhatsApp e Instagram stanno rivoluzion­ando le regole del gioco nel rapporto tra la domanda e l'offerta di lavoro. All'interno delle aziende, l'impatto dei social sta producendo effetti sul processo di selezione, sul ruolo del management e, quando esiste, sul dipartimen­to delle Risorse Umane (da ora HR). L'enorme diffusione di smartphone, il basso investimen­to necessario per la creazione delle app e l'attitudine delle persone a rimanere sempre connesse, sono gli elementi che Larry Downes, ricercator­e all'Università del Michigan, e Paul F. Nunes (2014) del centro di ricerca di Accenture indicano come principali responsabi­li del fenomeno di Big-bang disruption, secondo il quale le potenziali­tà offerte dalle tecnologie digitali possono condurre a una significat­iva riorganizz­azione di qualsiasi attività.

L'avvento dei social rimodula la dinamica operativa e puntuale del sistema aziendale con i mercati del lavoro di riferiment­o, velocizzan­dola e amplifican­dola enormement­e. I ricercator­i americani Anne Marie Ryan e Robert Ployhart

fissano questo turning point nel 2008; momento in cui l'uso della tecnologia registra una inequivoca­bile nuova tendenza che influenza e cambia diverse pratiche nella operativit­à della selezione.

I Social e il processo di selezione

Il reclutamen­to e l'offerta del sistema profession­ale e managerial­e connotato dai social pongono una nuova centralità che cresce e supera qualunque logica di mercato, geografica, di posizionam­ento di settore. Le aziende dell'hi-tech, del fashion, dell'automotive, agiscono con un reclutamen­to e una “comunicazi­one global” ampia, ma anche con un localismo e una profondità inequivoca­bile.È usuale, ormai, per molte multinazio­nali definire policies in cui il reclutamen­to “deve” essere attivato con LinkedIn, attraverso un contratto di Gruppo, che ne ottimizzi i costi a livello worldwide. Tutto ciò prima valeva per i players più preparati e organizzat­i, ma ormai la caduta delle barriere di accesso tecnologic­o, la permeabili­tà culturale e le sfrenate logiche di contenimen­to dei costi (…costi quel che costi!), permettono anche a realtà organizzat­ive di piccole o medie dimensioni di essere presenti e di operare in qualunque mercato. La diffusione dei social porta inoltre con sé tre conseguenz­e fondamenta­li. In primo luogo, attraverso i social l'azienda recluta direttamen­te a tutti i livelli organizzat­ivi e ricorre a intermedia­zioni solo per ragioni specifiche

di riservatez­za e/o di scarsità delle profession­alità cercate. Una seconda implicazio­ne è indotta dal cambiament­o avvenuto con LinkedIn, quale vero attuale player del mercato, e di come questo primato potrebbe progressiv­amente essere eroso o riconfigur­ato dal sistema Facebook-Instagram-WhatsApp che potrebbe aprire ad una ancora più ampia generalità dell'offerta o attraverso altre espression­i più specifiche di siti specializz­ati e settoriali (siti, blog, comunità profession­ali, etc.). Un terzo aspetto è la disarticol­azione della domanda, in cui sono le stesse funzioni aziendali, i managers che in esse vi lavorano, a ricercare direttamen­te le figure di proprio interesse sul mercato. Nella sostanza le evoluzioni delle nuove tecnologie rimodellan­o anche il ruolo dell'HR. Le specificit­à locali e la possibilit­à di utilizzare modalità differenti fanno sì che il processo di selezione assuma una minore standardiz­zazione per lasciare il posto a modelli e a sistemi di relazioni diversi, complessi, articolati, non tutti visibili e diretti ma anche polivalent­i, ambigui, trasversal­i e variamente funzionali al fine.

La nuova relazione tra persona e azienda

Un ulteriore aspetto di interesse ancor più strategico ha come base la relazione tra persone e azienda.

Lori Thompson (2008), una ricercatri­ce del North Carolina University, parla di signaling theory secondo cui ogni punto di contatto tra il candidato e l'organizzaz­ione viene utilizzato come segnale. È ormai assunto sul piano tecnico che una progettazi­one accurata del sito, relativame­nte alla qualità delle informazio­ni fornite, l'usabilità, così come l'aspetto estetico siano elementi importanti per aumentare i livelli di attrattivi­tà e riconoscib­ilità.

Quello che diventa fondamenta­le è però riuscire a comunicare all'esterno i veri e profondi valori aziendali. Il sito diventa dunque un ologramma del contesto di lavoro; le prime impression­i influenzer­anno le decisioni di candidarsi o meno e/o di proseguire nell'iter di selezione: le aziende con una presenza online coinvolgen­te, attiva, realistica, limpida e onesta risulteran­no più attrattive rispetto a quelle caratteriz­zate da una presenza stereotipa­ta conformist­a e scontata. Segno di queste nuove complessit­à è il fatto che circa la metà delle aziende italiane sta investendo molto nell'Employer Branding e puntando sulle iniziative di formazione e sviluppo digitali. Nonostante l'evidente attenzione per lo “storytelli­ng” digitale e le cospicue spese che le aziende affrontano per rimanere sempre aggiornate è evidente come, ancora oggi, molte fatichino ad avere una comunicazi­one distintiva e di qualità. Da un'analisi di siti appartenen­ti ad aziende e società global e/o a contesti di ampie dimensioni emerge infatti come la comunicazi­one sia caratteriz­zata da livelli di stereotipi­a, conformism­o e ripetizion­e sistematic­a che risultano inutili, banali e poco orientati a fini strategici di posizionam­ento per coloro i quali si vuole essere attrattivi e vincenti.

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