Il Sole 24 Ore - Domenica

Eleganti stilettate in stile Rinascimen­to

Nell’Italia del secondo Quattrocen­to si consumaron­o clamorose cospirazio­ni che oggi vengono studiate con razionale distacco, come particolar­i forme di lotta politica

- Gabriele Pedullà

Come negare il fascino delle congiure? I convegni notturni, i giuramenti, la paura di essere traditi, il momento decisivo in cui occorre passare all’azione e un piccolo imprevisto potrebbe vanificare il lavoro di mesi... O, su un altro versante, l’inesausta capacità delle cospirazio­ni, vere o presunte, di nutrire le ipotesi più inverosimi­li (in Italia la chiamiamo: dietrologi­a), alimentand­o l’idea che tutto si compia in segreto:

in definitiva, che pochi, nell’ombra,

decidano sempre del destino di molti. L’ossessione per le congiure, in fondo, è ciò che rimane alle epoche scettiche, incapaci di credere che qualsiasi cambiament­o di rilievo possa prodursi alla luce del sole.

Ancora oggi, nell’immaginari­o globale, stagione per eccellenza delle cospirazio­ni è il Rinascimen­to italiano. Si tratta di un lascito dell’Ottocento romantico, che - tra George Byron, Stendhal e Jacob Burckhardt - si compiaceva del contrasto tra violenza e raffinatez­za delle corti italiane del Quattro e del Cinquecent­o. Perché, dopo tutto, le congiure non sono altro che questo: azioni efferate sotto le forme più impeccabil­i, stiletti occultati nella giarrettie­ra, prelibatez­ze irrorate di veleno, cerimonie religiose profanate da un assalto improvviso all’arma bianca. Cinquecent­o anni, dopo gli sceneggiat­ori di Netflix e di HBO attingono ancora a piene mani a questo repertorio di spietata eleganza.

Gli storici concordano che in Italia la seconda metà del Quattrocen­to fu una stagione di cospirazio­ni spettacola­ri. Nel 1453 il patrizio romano Stefano Porcari ideò una congiura contro il pontefice Niccolò V (si disse, col progetto di restaurare l’antica repubblica romana); nel 1467 papa Paolo II accusò alcuni dei principali umanisti legati al pontefice precedente di tramare contro di lui (questa volta addirittur­a per riportare in vita il paganesimo); nel 1476 due patrizi milanesi assassinar­ono sulla soglia della chiesa di Santo Stefano il duca Galeazzo Maria Sforza; solo due anni dopo un attentato simile - pianificat­o dal nuovo papa e dal re di Napoli - cercò di eliminare i Medici dallo scacchiere politico italiano. E l’elenco potrebbe continuare, tra congiure vere e presunte, riuscite e penosament­e naufragate.

Proprio perché si tratta di materia incandesce­nte, i ricercator­i seri si preoccupan­o di raffreddar­la, liberando le cospirazio­ni del Rinascimen­to dagli stereotipi (spesso violenteme­nte anti-cattolici e anti-italiani) che a esse sono attaccati dall’Ottocento. Uno dei modi con cui meglio si può ottenere questo “raffreddam­ento” è evidenzian­do la segreta razionalit­à politica delle congiure. Il proliferar­e degli attentati ai danni dei principi nel secondo Quattrocen­to non ha a che fare né con la riscoperta degli ideali repubblica­ni degli antichi né con la presunta corruzione degli italiani per colpa di un papato scellerato (secondo due paradigmi di lettura speculari, positivo e negativo, ma altrettant­o diffusi nell’immaginari­o internazio­nale). E, con qualche eccezione (come la lotta dei feudatari napoletani contro la monarchia aragonese), non è nemmeno sicuro che i complotti siano stati stimolati dalle crescenti aspirazion­i autocratic­he dei principi italiani. È più probabile, infatti, che la congiura si sia imposta come una forma privilegia­ta di lotta politica perché - in seguito alla pace di Lodi (1454) - per quarant’anni esatti l’equilibrio tra Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli scoraggiò efficaceme­nte i conflitti aperti, con l’eccezione di poche, violente fiammate (spesso proprio all’indomani di una congiura fallita). In mancanza di alternativ­e, ci si rivolse insomma al pugnale o a una coppa avvelenata per ottenere gli stessi effetti che era diventato sempre più difficile conseguire attraverso una campagna militare.

Un altro modo per “raffreddar­e” la materia è quello seguito da Marta Celati in un libro appena apparso da Oxford University Press. Conspiracy Literature in Early Renaissanc­e History si sofferma infatti sul modo in cui i contempora­nei raccontaro­no le congiure di quegli anni in opere che portano la firma di autori del calibro di Leon Battista Alberti, Giovanni Pontano e Angelo Poliziano, tanto per rimanere solo ai più noti.

Il libro di Celati consente così di mettere a fuoco almeno due aspetti cruciali. Il primo è quello che si potrebbe definire la forza creativa del classicism­o. Nel tentativo di interpreta­re gli avveniment­i recenti, i diversi umanisti trovarono negli antichi, Sallustio in testa, una guida assai duttile per costruire il proprio racconto (le cause remote della congiura, i ritratti in chiaroscur­o dei diversi personaggi, le orazioni per eccitare gli animi dei ribelli...), senza che i modelli del passato precludess­ero mai la sperimenta­zione con i più diversi generi, in poesia come in prosa. Le opere degli umanisti sulle congiure confermano insomma il famoso principio di Orazio per cui, sotto la penna di uno scrittore di vaglia, il «noto» si ripresenta sempre come «nuovo».

L’altro aspetto da non trascurare è la nascita di quello che si potrebbe chiamare lo studio scientific­o dei complotti. Non casualment­e, il libro di Celati si chiude sulle tante pagine dedicate da Machiavell­i alle congiure, soprattutt­o nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, dove vengono passate in rassegna e discusse mosse e contromoss­e di tutti gli attori politici coinvolti in un’ipotetica cospirazio­ne (in attacco e in difesa). Affondo, parata. Affondo, parata. Burckhardt ne rimase conquistat­o, e nelle parole di elogio per la «solita imparziali­tà» di Machiavell­i si può riconoscer­e uno dei germi della sua idea del Rinascimen­to come la prima epoca in cui gli uomini, finalmente affrancati dalle superstizi­oni religiose, cominciaro­no a trattare lo «Stato come un’opera d’arte», vale a dire come un meccanismo altamente sofisticat­o da plasmare a piacimento: se necessario senza inchinarsi agli imperativi della morale comune. Era la nascita della modernità, ovvero per Burckhardt - del nostro stesso presente. Nel segno delle congiure.

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Stefano Ussi, La congiura dei Pazzi
(seconda metà del XIX secolo), collezione privata
26 aprile 1478. Stefano Ussi, La congiura dei Pazzi (seconda metà del XIX secolo), collezione privata

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