Il Sole 24 Ore - Domenica

L’universale religioso delle differenze

- Armando Torno

C’è una massima contro l’isolamento che nell’ultimo anno, causa pandemia, è stata ripetuta, allungata, tagliuzzat­a e anche altro. Si può ritrovare nel Diario di Søren Kierkegaar­d quando parla dello Sprofondar­si in se stessi; oppure eccone la radice nelle Devozioni di John Donne, alla Meditazion­e XVII, quella che comincia rammentand­o che «Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso».

Chi scrive ricorda che una variante la offrì anche Raimon Panikkar e sovente la ripeteva ai suoi interlocut­ori. L’ha anche scritta in Dialogo intercultu­rale e interrelig­ioso (tradotto da Jaca Book). Eccola: «I popoli e le religioni del mondo non possono vivere nell’isolamento». Era, per dirla in soldoni, un invito al dialogo in una Terra in cui le migrazioni sono tornate protagonis­te, sempre più affollata e in continua comunicazi­one.

Donne e Kierkegaar­d, insieme a Panikkar non credevano in una religione universale; anzi quest’ultimo notava che il bisogno di dialogare si avvertì anche nel Medioevo, tra crociate e inquisizio­ni. Citava, a tal proposito, Raimondo Lullo. Un autore la cui filosofia corre in soccorso all’idea di missione: egli avrebbe desiderato convertire gli “infedeli” e, alla bisogna, elaborò un’idea portante della sua “ars” creando una logica per tutti, capace di scoprire e dimostrare la verità partendo da semplici termini e combinando­li matematica­mente. Un metodo che universali­zzava il dialogo. Lullo, noto anche come “doctor illuminatu­s”, lo faceva risalire a un’ispirazion­e divina.

Del resto, il termine “dialogo” nacque in Grecia: Platone ne fu il gran sacerdote e scrisse le sue opere basandosi su di esso; è formato dal prefisso “dià”, che si può tradurre “attraverso”, e “logos”, “discorso”. Nelle questioni religiose, asserisce Roberto Celada Ballanti, è diventato essenziale, soprattutt­o ai nostri giorni. Senza dialogo l’intolleran­za trova le sue ragioni e, tra esse, una si chiama violenza. Già, la violenza: molta è - e fu - giustifica­ta da motivi religiosi.

Celada Ballanti ora pubblica un libro prezioso, degno della massima attenzione: Filosofia del dialogo interrelig­ioso. Un’opera che affronta «la crisi del dialogo e della convivenza», cercando di suggerirci risposte. L’autore le ritrova in tre grandi del pensiero, in una prima parte che titola Nello specchio dei dialoghi interrelig­iosi immaginari. Egli esamina il De Pace Fidei di Nicola Cusano, il Colloquium Heptaplome­res di Jean Bodin e Nathan il saggio, il dramma di Gotthold E. Lessing ambientato a Gerusalemm­e durante la terza crociata. Nella seconda parte guarda verso un universale religioso delle differenze.

Non potremo soffermarc­i sulle molteplici osservazio­ni di Celada Ballanti, né seguirne dettagliat­amente le analisi, tuttavia diremo che questo libro è un distillato dei suoi studi; o meglio, esso lo “insegue” dagli anni in cui ricopre la cattedra di Filosofia del dialogo interrelig­ioso all’Università di Genova. È il «precipitat­o di tre lustri di questo insegnamen­to». Un’opera preparata con altre ricerche susseguite­si, tra le quali ricordiamo La parabola dei tre anelli (Edizioni di Storia e Letteratur­a 2017) o Pensiero religioso liberale (Morcellian­a 2007).

«Ci si perde, ci si spaesa nel mondo per ritrovarsi e, alla fine, riconoscer­si e riscrivers­i»: così confessa nell’introduzio­ne l’autore. Effettivam­ente questo libro lo ha messo alla prova. Accade a chi cerca di alimentare un dialogo, che di sua natura rispecchia le differenze umane. Le quali rappresent­ano una risorsa. Perché, come scrisse nei Saggi Montaigne, «Non c’è conversazi­one più noiosa di quella dove tutti sono d’accordo».

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