Diderot, lettere di un ardente innamorato
Idue amanti se ne accorsero troppo tardi. La madre di Sophie era entrata senza fare rumore nella stanza dove si erano appartati. La donna fece finta di niente, ma da allora i suoi rapporti con Denis Diderot si raffreddarono. Tutto comprensibile se i due amanti non avessero entrambi superato la quarantina. Fino ad allora madame Volland, una dama dell’alta borghesia, aveva oscillato tra la diffidenza e la simpatia per il filosofo, certo una celebrità, ma pur sempre un uomo sposato.
Per tenere a freno la coppia, la signora si trasferiva in campagna con la figlia per sei lunghi mesi l’anno, precipitando gli amanti nella desolazione. Nel loro castello Sophie cadeva in una lenta depressione, deperiva e parlava di morire. Allora la madre impensierita invitava Diderot, che lentamente riusciva a ridarle la gioia di vivere.
Eppure senza la tirannia di madame Volland non avremmo questa vivacissima corrispondenza, universalmente considerata la più importante del Settecento, insieme un autoritratto e un ritratto della società dell’epoca dei Lumi. Non sappiamo perché Sophie, se è stata lei, abbia distrutto 363 delle circa 550 lettere ricevute, né perché Diderot, forse temendo la gelosia della moglie, abbia eliminato ogni lettera di lei. Certo la perdita delle prime 134 suggerisce l’idea che la donna abbia voluto salvaguardare la sua immagine sopprimendo le pagine più ardenti dei primi tempi. Ma a farle sparire potrebbe anche essere stata la figlia di Diderot, dopo la morte del padre.
Allora una quarantenne come mademoiselle Volland veniva considerata del tutto inappetibile. I pochi tratti del suo fisico recuperati dalle lettere non danno certo l’impressione di una bellezza trascorsa o duratura. Era gracile, malaticcia e aveva delle «manine secche» che Denis preferiva a qualunque mano paffuta e, cosa piuttosto rara, portava gli occhiali. Louise-Henriette da lui ribattezzata Sophie, in omaggio alla saggezza e alla sapienza che non le mancavano, non era civetta e si faceva un punto d’onore di dire sempre quel che pensava. «La mia Sophie è uomo e donna quando vuole».
Non esistono suoi ritratti, ma Diderot ne aveva due; uno era una miniatura inserita nella copertina di un volume di Orazio e ogni giorno, prima di alzarsi e di coricarsi, le mandava dei baci. «Quattro anni fa mi siete sembrata bella. Oggi vi trovo più bella che mai. Questo è il miracolo della costanza, la più difficile e rara delle virtù» e il filosofo sapeva di cosa parlava. Il suo matrimonio d’amore era rapidamente naufragato. La donna, povera ma bella e caritatevole, si era presto trasformata, secondo Rousseau, in una bisbetica brontolona. Per stare vicino alla figlia, Diderot era rimasto al fianco di una moglie che non amava più, ma non si sentiva in colpa: ogni cosa e persona, teorizzava, era soggetta a un incessante mutamento. E paragonava la friabilità dei sentimenti più saldi a quella delle rocce scavate dagli elementi. L’ardore fuggevole del desiderio si distingueva dalla passione amorosa solo per la durata e l’intensità.
Quella per la protofemminista Madeleine de Puisieux era stata una passione bruciante, destinata a finire presto, lasciandogli però un’eredita: un romanzo erotico, ma anche filosofico, I gioielli indiscreti, scritto per finanziare i capricci di un’amante rivelatasi infedele.
Con Sophie era diverso; il trasognato Denis le scriveva scrupolosamente il giovedì e la domenica, numerando le lettere perché lei non si perdesse. Sapeva che anche la sorella maggiore di Sophie, una simpatica civetta, l’avrebbe letto e nutriva per lei una gelosia che si spingeva fino ad immaginare un rapporto saffico tra le due. Ricordando «il modo tenero e voluttuoso con cui a volte si china su di te», chiedeva all’amata, per poi subito pentirsi: «Ti dimentichi di me tra le braccia di tua sorella?». Ma l’incidente con la madre aveva definitivamente intimidito la figlia, malgrado i «ti bacio dappertutto» e i «mi butterei su di te» seminati tra le righe da Diderot.
Sophie non doveva essere una buona corrispondente perché il filosofo si lamentava spesso del suo silenzio che lo spingeva a essere sempre più brillante. Quando si ha a che fare con le donne, diceva, «bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e gettare sulle proprie righe la polvere delle ali di una farfalla». Non potendo esprimersi con la brutalità dei maschi, spiegava, le donne si sono create un linguaggio delicato che consente loro di dire qualunque cosa. Quest’esperienza, maturata nei salotti, aveva straordinariamente semplificato e alleggerito la scrittura maschile, trovando il suo apice in queste lettere, in cui è scomparsa ogni pesantezza del genere epistolare.
Al tempo stesso però l’insofferenza per gli ostacoli posti da madame Volland alla loro relazione sarebbe sfociata nel 1772 nell’esplosione anarchica del Supplemento al viaggio di Bougainville un inno a una libertà sessuale sfrenata e innocente.
Sophie si era spenta pochi mesi prima di Denis che si era consolato solo pensando che l’avrebbe presto raggiunta. Nel testamento della donna era scritto: «Lascio al signor Diderot sette volumetti del Saggi di Montaigne, rilegati in marocchino rosso, oltre a un anello che chiamo la mia Pauline».