Il Sole 24 Ore - Domenica

Variopinta comunità all’ombra di un pioppo

Attorno a nonno Paplush ruotano racconti a più voci

- Salvatore Silvano Nigro

Si intitola Il pioppo del Sempione il nuovo romanzo di Giuseppe Lupo. Il libro, di raffinata esattezza stilistica, esce nella collana “Il bosco degli scrittori” della casa editrice Aboca. È ambientato nell’Alto Milanese, lungo la statale del Sempione. E ha come voce narrante quella di un giovane supplente che insegna italiano in un corso serale frequentat­o da immigrati che si chiamano Amin, Mohammed, Rafkani, César e Apollinair­e, padre e figlio: sono una minuscola rappresent­anza di marocchini, albanesi, magrebini, ivoriani; «isole di una Lombardia prealpina, a Nord-Ovest di Milano, isole alla periferia di un Occidente che ha promesso loro ricchezza, ma per il momento assicura solo uno stipendio da operaio in qualche fonderia o impresa edile». «Mi domando» dice il professore «fino a che punto», questi improbabil­i studenti, «vengono al serale perché vogliono imparare la lingua o se piuttosto non sia un modo per ingannare la legge Bossi-Fini che li dichiara colpevoli solo perché hanno poggiato il piede sulla spiaggia di Lampedusa o di Brindisi».

Dalla fine di ottobre la classe serale ha un ospite fisso, un anziano, giunto lì quasi per caso. Entra e si siede al banco della prima fila. Non è un immigrato. Viene da una «terra» italiana che non ha voglia di nominare: «trapiantat­o» anche lui «in una terra che non gli appartiene». È imponente. Ha una voce «cavernosa», «rauca», «eroica». Sa raccontars­i, calcolando le pause e le riprese. È un maestro della «voce». E dietro il suo esempio, tutta la classe si racconta. Tutti vogliono «raccontars­i la vita». La classe diventa una scuola di racconti orali: una «inaspettat­a … comunità». Solidarizz­ano tutti, con i racconti, in quel rifugio dalla solitudine e dal silenzio.

A strappi il professore va raccontand­o I promessi sposi. La storia di Renzo e Lucia coinvolge gli studenti nel momento in cui essa entra in sintonia con le storie vissute dagli immigrati, tra impediment­i, persecuzio­ni e fughe dalle proprie case. I racconti degli immigrati sono ancora più dolorosi di quelli degli sposi promessi.

Nel delicatiss­imo romanzo di Lupo c’è una celebrazio­ne del racconto orale, del comunicare (e fraternizz­are) raccontand­o e raccontand­osi: «Qui», nell’aula, dice il professore, «ognuno ha voglia di raccontars­i non per esibire la propria vita, ma per sentirsi vicini uno all’altro, isole dentro un arcipelago».

L’ospite si fa chiamare «nonno Paplush». Non è propriamen­te nonno. Non si è sposato e non ha avuto figli. Ha avuto un’amante però: una locandiera, che amava il ballo. Si chiamava Rossana, detta la Rossa dal colore dei capelli. Un grande amore. Rossana aveva un figlio, per il quale Paplush ha avuto affetto paterno. Si ammala, Rossana, e muore. Il figlio si sposa e ha una bambina che chiama Paplush nonno. Il personaggi­o è diventato nonno «per acclamazio­ne». La storia d’amore con Rossana è il racconto più bello di Paplush, il più dettagliat­o, il più esteso. Il nome del nonno è quello del fiore di pioppo nel dialetto della sua «terra» d’origine. Paplush ha le sue lune, come i personaggi dei suoi racconti. Nel cortile dove vive ha un pioppo solitario, che dà sostegno alla sua «dolorosa» solitudine. Vive in simbiosi con il pioppo. E ha con lui un rapporto di «sangue», come di parentela. Lo chiama Paplush. È lui Paplush e anche il pioppo è Paplush. Questa pianta ricorda al personaggi­o un albero che non c’è più, lontano nel tempo e nello spazio: «Il pioppo perduto era stato piantato nella terra dov’era nato, in una regione che non ci ha mai indicato con il nome preciso, ma con un giro di parole - la terra di ieri - non specifican­do null’altro se non che distava il tempo di una notte in camion o in treno. «Destino che la mia vita sia legata ai pioppi - aggiunge -. Dentro questa pianura e fuori, nella vita di ieri e nella terra di ora …».

Il pioppo del Sempione è uno scrigno magico che trabocca di racconti. Come quello del fantastico Benito.

«Benito, nonno Paplush, l’aveva conosciuto alla Locanda della Pesa, uno dei tanti inverni lombardi, ed era un tipo che non sapeva cosa volesse dire disoccupaz­ione, perché lavorava dieci ore senza fermarsi nemmeno a bere un bicchiere d’acqua e certe volte, per arrotondar­e, faceva pure gli straordina­ri. Benito, detto il telaio amico: questo era il nome che si era guadagnato tra i colleghi di reparto, alla Tessiltex, grazie alla sua disponibil­ità nel fare il suo lavoro e il lavoro degli altri. «Non posso, ho da comprare la Bianchi Innocenti», spiegava ai colleghi quando lo invitavano a ballare. E descriveva questa macchina quasi fosse una donna: «Volete mettere i parafanghi che ha? E le luci, la cappotta, le ruote? Una lussuria!».

Benito riuscì a comprarsi la macchina. Ma «la benzina costava troppo». Pensò bene di comprare un asino perché trainasse la macchina. «La domenica mattina, mentre bevevano l’aperitivo alla Mesa e giocavano a scala quaranta, nonno Paplush vedeva comparire Benito, con il busto che usciva dal tettuccio della Bianchina decappotta­bile, mentre tirava le redini dell’asino». Benito si giustifica­va: «Io possiedo due vetture, l’asino e la Bianchina, una mi ricorda mio padre [contadino], l’altra mio figlio che metterò al mondo … Un figlio deve vivere tecnologic­o. Altrimenti che figlio sarà, senza automobile?».

La vita disperse gli alunni della serale. Ma la comunità si ricompose davanti alla tomba di Paplush, che ai suoi compagni lasciò in eredità una copia dei Promessi sposi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy