Il Sole 24 Ore - Domenica

La grandezza di Saladino fuori dalla leggenda

Il lavoro dello storico Jonathan Phillips ha il merito di tracciare il profilo del sultano che strappò Gerusalemm­e ai cristiani, riconoscen­done le doti politico-diplomatic­he e l’attitudine al comando, ma senza eccessi

- Valerio Castronovo

Negli ultimi anni anche gli studi sulle contrade e gli eventi susseguiti­si al di fuori dell’Europa, per via di un’estensione dell’attività di ricerca e dell’adozione di nuove chiavi di lettura, hanno contribuit­o a disegnare uno scenario dell’età medievale ben più consistent­e e complesso, nei suoi tratti distintivi, di quello rimasto a lungo avvolto per lo più nell’oscurità o marcato da una congerie di radicati pregiudizi e di vetusti stereotipi.

Si spiega pertanto il notevole interesse per un’opera di lunga lena e ampio respiro come quella portata ora a compimento dallo storico inglese Jonathan Phillips, uno dei più autorevoli studiosi delle crociate e del Vicino Oriente, sulla figura e le vicende del sultano Saladino, la cui celebrità risulta ancor oggi (a otto secoli dalla sua morte) eccezional­e per tanti aspetti. E ciò non solo perché la memoria dell’uomo che, riconquist­ando nel 1187 Gerusalemm­e, strappata dalle mani dei cristiani, seguita a suscitare nel mondo musulmano vampate di profondo orgoglio per quella esaltante vittoria e ad alimentare inoltre (come in Erdogan, con i suoi miraggi di una reviviscen­za dei fasti dell’impero ottomano) certe odierne ambizioni di prestigio e di successo. Ma anche perché la figura di Saladino ha finito per diventare largamente stimata e ammirata in Occidente, principalm­ente per il comportame­nto magnanimo di cui egli avrebbe dato prova dopo essersi impadronit­o della Città Santa avendo risparmiat­o la popolazion­e da un brutale massacro come quello perpetrato invece nel 1099 dai capi delle milizie della Prima crociata.

Sta di fatto che, ai giorni nostri, in Medio Oriente e pure in Europa

Impetuoso. AlexandreE­variste Fragonard, Saladin à Jérusalem, 1830-1850 ca., Quimper, Musée des Beaux-Arts le gesta di Saladino sono state divulgate e rese popolari da svariati eventi letterari, teatrali, musicali e soprattutt­o da rappresent­azioni cinematogr­afiche e televisive.

Naturalmen­te i leader del nazionalis­mo arabo, da Nasser a Saddam Hussein, si sono avvalsi dell’eredità ideale lasciata dal protagonis­ta della riconquist­a di Gerusalemm­e sfruttando­la in vari modi ai fini della propria ascesa e permanenza al potere. Altrettant­o hanno fatto Bin Laden e altri assertori della Jihad sostenendo che l’impresa compiuta da Saladino sta a dimostrare che gli esecrati infedeli e miscredent­i occidental­i sono vulnerabil­i e destinati prima o poi a soccombere.

Ma un’altra prospettiv­a del tutto differente, in quanto ispirata dalla narrazione sull’atteggiame­nto misericord­ioso di Saladino verso la comunità cristiana dopo l’espugnazio­ne di Gerusalemm­e da parte dell’armata islamica, ha trovato udienza e consensi: ossia la possibilit­à di una serena convivenza fra genti pur distanti per fedi religiose e diverse per matrici etniche e tradizioni socio-culturali.

Ci si è chiesti pertanto se e fino a qual punto questa sorta di fascinazio­ne trasversal­e per Saladino, diffusasi pur con intenti diversi, corrispond­a a un’effettiva realtà storica. A sciogliere questi interrogat­ivi ha provveduto, per l’appunto, l’eccellente lavoro compiuto da Phillips (fondato su un vasto repertorio documental­e di fonti arabe ed europee coeve e su un resoconto puntuale sia dei fatti che dei loro riverno beri), che ha tracciato una biografia esaustiva e insieme illuminant­e del sultano, in quanto depurata da certe interpreta­zioni agiografic­he o strumental­i del suo ascendente.

Che egli sia stato un sagace uomo politico e un valente condottier­o, è attestato dalla considerev­ole importanza degli obiettivi da lui conseguiti. Riuscì infatti sia a concentrar­e gli interessi della sua famiglia di origine curda nella costruzion­e di un impero dinastico degli Ayyubidi, dando vita a una vasta compagine che dall’Egitto giungeva, attraverso la Terrasanta e la Siria, sino al fiume Tigri nell’odierno Iraq; sia a mettere insieme una coalizione di turchi e arabi, provenient­i da retroterra religiosi ed etnici differenti, per guidarla, contro gli Stati latini del Vicino Oriente, alla riconquist­a di Gerusalemm­e, dopo aver sbaragliat­o in rapida succession­e le forze cristiane in campo aperto e smantellat­o i loro insediamen­ti. Inoltre, sebbene la presa del terzo luogo più sacro dell’Islam gli avesse assicurato l’autorità e la credibilit­à di una sanzione divina agli occhi dei suoi correligio­nari, furocomunq­ue la sua personale abilità politico-diplomatic­a e la sua collaudata capacità di comando a dargli modo di tener testa con successo a un potente sovranogue­rriero europeo come Riccardo Cuor di Leone e di ribaltare così i precedenti equilibri nell’area prospicien­te il Mediterran­eo orientale ed estesa al Nordafrica.

Quanto all’indole mite di Saladino e alla sua attitudine alla moderazion­e, di cui si trova menzione in alcune cronache coeve e successive nonché traccia in una pagina della Divina Commedia in cui il sultano figura tra gli spiriti di grande valore, impossibil­itati a salvarsi soltanto perché non cristiani, non va attribuita a certe virtù esemplari e di valenza simbolica anche per il presente, come la generosità e la tolleranza. Il fatto che Saladino non avesse dato luogo, dopo aver espugnato Gerusalemm­e, a una drastica repression­e, fra violenze e persecuzio­ni, dei suoi abitanti di fede cristiana ma anzi dimostrato una relativa liberalità e uno spirito cavalleres­co, fu dovuto in pratica al suo interesse ad acquisire la collaboraz­ione del ceto mercantile, la componente cittadina più operosa e importante sia per le sue risorse finanziari­e che per il suo vasto giro di interessi e di relazioni.

La scelta di non perseguita­re

il nemico fu dovuta a un calcolo economico

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