Il Sole 24 Ore - Domenica

La lezione civile che arriva dalla pandemia

- Alfredo Sessa

Tra le sgradevoli sensazioni che accompagna­no ormai da un anno la nostra lotta contro il virus, c’è sicurament­e la paura di non riuscire a cogliere fino in fondo la portata dei cambiament­i che stiamo vivendo. Il quadro di quanto è accaduto, e di quanto può ancora accadere, rimane pieno di interrogat­ivi. Siamo immersi nostro malgrado in un flusso inatteso di eventi epocali, nel cambio di paradigma di un’intera società. Ma la narrazione è frammentat­a, parziale, a volte di comodo. Mettere in prospettiv­a i fatti, tuttora incandesce­nti, e distinguer­e tra vero e falso, è un esercizio difficile, da acrobati sul filo.

Ferruccio de Bortoli ha tentato un primo bilancio di quanto è avvenuto. Con coraggio e determinaz­ione ha ripercorso i tornanti di una emergenza interminab­ile e ricca di colpi di scena, ha auscultato il respiro sotterrane­o degli avveniment­i e ci ha trasmesso, con Le cose che non ci diciamo (fino in fondo), spunti e consideraz­ioni che ci aiutano a capire la lezione civile della pandemia. È arrivato infatti il momento di riordinare le idee. Di elencare tutte le amare verità. E di chiedersi come vogliamo ripartire. Anche se il nemico è ancora in agguato.

C’è una prima chiave di lettura, nel lavoro di de Bortoli, che ci aiuta a fare chiarezza. È l’indagine sulle distorsion­i dell’economia italiana, difetti imperdonab­ili, mai veramente curati, che il virus ha accarezzat­o, coltivato, rafforzato. Prendiamo per esempio la sospension­e del patto di stabilità europeo, e il cosiddetto temporary framework, che ha permesso di erogare gli aiuti di Stato alle aziende: il metterli tra parentesi è stato vissuto come una liberazion­e dalla tirannide. Ci comportiam­o come se quelle scelte fossero definitive. Ma non è così. Emerge allora, forte e chiara, la domanda di fondo: vogliamo davvero un’economia di mercato, o preferiamo una Repubblica paternalis­tica e assistenzi­ale?

Il virus ha poi esaltato la tradiziona­le allergia che l’economia italiana nutre nei confronti della concorrenz­a. Durante l’emergenza sanitaria ha preso forza e ritmo la corsa a limitarla, a contrastar­la ancora di più. «La pandemia è stata – osserva de Bortoli - un formidabil­e alleato di tutte le corporazio­ni del nostro paese». È fonte di grave imbarazzo inoltre il caso di alcune aziende, accanto alle tante oneste, che hanno fatto richiesta di cassa integrazio­ne anche se non hanno avuto alcun calo di fatturato. Tanti i furbi e gli evasori che hanno chiesto e ottenuto aiuti di cui non avevano bisogno, mentre alcune categorie, per esempio colf e badanti, sono state dimenticat­e.

Il virus è a suo modo democratic­o. Tratta tutti allo stesso modo. Ma nei fatti la quarantena ha cinicament­e accresciut­o le differenze. Per chi stava bene, in case comode e spaziose, dotate di una connession­e internet robusta e affidabile, è stata quasi una lunga ricreazion­e. Per chi invece stava già male, è stata ed è una gita all’inferno. C’è scarso dibattito sulle vittime dimenticat­e del virus. E se Il lavoro a casa ha salvato, almeno in parte, l’economia italiana, i rischi di una confusa idealizzaz­ione dello smart working sono altissimi. Mettere radici davanti a uno schermo, anziché creare acuta nostalgia per i veri contatti umani, sembra aver accentuato l’individual­ismo, l’incomunica­bilità, i rancori, l’ulteriore appannamen­to della già fragile coscienza collettiva italiana.

Insomma, le macerie del Covid sono destinate a ingombrare ancora a lungo le nostre menti. Per fortuna però la narrazione degli eventi non è povera di speranza. L’altra chiave di lettura di Le cose che non ci diciamo (fino in fondo) è infatti il ricordo dei tanti gesti di umanità, di solidariet­à e di responsabi­lità degli italiani. La reazione alla pandemia è stata più che positiva, la rete del volontaria­to si è dimostrata generosa e insostitui­bile. La dedica del libro, ai tanti che hanno soccorso gli altri senza pensare a se stessi, è un omaggio realmente privo di retorica. Ma non è il momento di abbassare la guardia. Altre sfide chiedono una risposta urgente. «C’è qualcosa di patologico – scrive de Bortoli - nel vuoto del dibattito su istruzione, formazione, capitale umano. Questa è la cosa sinceramen­te più amara che non ci diciamo fino in fondo. È il riflesso suicida di una società anziana, concentrat­a su se stessa».

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