La portata del capitale umano
Alla percezione dell’impersonalità di molte mansioni si affianca la progressiva automazione dei servizi: ma il lavoro non potrà fondarsi solo su questo
In tempi di telelavoro e distanziamento sociale ci chiediamo spesso se questa vita digitale sia un’anomala parentesi o il primo atto di una rivoluzione strutturale del nostro modo di vivere e lavorare.
Il libro Rivoluzione Globotica di Richard Baldwin spiega con inquietante lucidità perché ci ritroveremo invece con un mix di entrambi gli scenari. Il tema del libro non è il virus ma la globalizzazione e la robotizzazione dei servizi. Finora, gran parte del dibattito sulle condizioni del lavoro nelle economie mature si è preoccupato soprattutto dell’industria. Il grande disagio sociale, la perdita di potere di acquisto delle classi medio basse, è derivato finora dal trasferimento delle fabbriche verso i Paesi a basso costo del lavoro e per quelle che restano, dalla sostituzione degli uomini con le macchine.
I servizi, a parte attività semplici come i call center, erano protetti dalla concorrenza internazionale dalla loro “non commerciabilità”, ossia il dover essere eseguiti e forniti nel luogo in cui sta il cliente. Ma questo vantaggio locale è rapidamente eroso dalla facilità di comunicazione digitale, come ben dimostra il distanziamento sociale di questi mesi.
Che bello lavorare da casa, dicono in molti, la mia vita è migliorata. Ma per chi è migliorata? Per chi ha a disposizione abbastanza metri quadri e supporto tecnico per isolarsi davvero e per chi comunque attraverso le macchine continua a fare lavori ad alto contenuto concettuale, cognitivo e interattivo. Invece, coloro che svolgono mansioni più subordinate, semplici e meno concettuali, inoltre afflitti spesso da condizioni economiche difficili, mancanza di spazio e di macchine adeguate, il quadro non è certo roseo. Non ci sono neppure il tragitto tra ufficio e casa, la pausa pranzo, due chiacchiere con i colleghi.
Se vale il ragionamento di Baldwin, il problema più serio non è però l’afflizione presente, bensì le prospettive future. Il distanziamento sociale ha rafforzato la percezione dell’impersonalità di certe mansioni, e del fatto che chiunque possa svolgerle in qualunque parte del mondo. Il servizio, insomma, diventa rapidamente una “commodity”, ossia un bene non differenziato, facilmente commerciato, dove l’individualità non conta più. E allora perché non potrebbe svolgerlo qualcuno in un Paese anche lontano, dove il costo del lavoro è più basso? Unico requisito è forse la lingua, ma con Google Translator neanche conoscere le lingue è più un attributo distintivo e proprio dell’individuo.
E questa è solo una parte della storia, la parte “globo”. Rimane la parte “tica”, riferita alla robotica, all’intelligenza artificiale, al machine learning. La sostituzione delle persone con le macchine nei servizi è un altro processo in corso da tempo, si pensi ai bancomat, ai telepass, all’online banking. E con il machine learning la frontiera tra macchine e uomini avanza, con le macchine che gestiscono funzioni sempre più complesse. Se ne stanno accorgendo, ad esempio, i gestori del risparmio dove un ruolo crescente ha il robo advising per la costruzione dei portafogli finanziari.
L’impatto sociale di questo processo rischia di essere piuttosto devastante, con un ulteriore peggioramento del livello di reddito delle classi medie. Già la globotica nell’industria aveva soprattutto colpito i lavoratori intermedi, gli operai delle catene di montaggio. Nelle fabbriche completamente automatizzate oggi rimangono i tecnici e gli ingegneri e i lavoratori con funzioni più umili, come gli addetti alle pulizie. La globotica dei servizi, che nelle economie mature contano per una quota molto maggiore di prodotto interno lordo e occupazione dell’industria, rischia di avere un impatto sul potere di acquisto delle classi medie ancora più devastante.
In una recente lezione al Collegio Carlo Alberto, l’economista di Harvard Dani Rodrik (www.carloalberto.org) ha spiegato molto bene come la perdita di potere di acquisto e di prospettive nelle classi medie sia la radice del populismo di destra e richieda una revisione radicale dell’agenda di politica economica. Mentre per proteggere le classi più disagiate sono soprattutto necessarie politiche di welfare di sostegno al reddito e alla famiglia, per aiutare le classi medie la priorità è il lavoro: come favorire processi economici che possano rendere compatibile con il lavoro delle persone l’inevitabile avanzare della globotica? Un’agenda ancora poco esplorata ma che dovrà diventare la bussola dei governi occidentali (e forse il Next Generation Eu potrebbe essere la prima buona occasione per farlo davvero).
Il nodo della questione è evitare che le professionalità diventino appunto una commodity e fare in modo che le caratteristiche individuali continuino ad essere fondamentali per svolgere una mansione in modo efficiente. La nota positiva del libro di Baldwin è che questo avverrà attraverso una rivisitazione profonda della vita di lavoro in una chiave più locale e più fondata sulle capacità di relazione e sulla creatività. Parole forse generiche e non semplici da declinare in azioni pratiche, ma che evidenziano un punto fondamentale: il futuro del lavoro non potrà fondarsi sulla distanza sociale e sulle interazioni digitali, non potrà essere solo gestito attraverso il web. Per evitare l’alienazione globotica, bisognerà tornare a vedersi, parlarsi, abbracciarsi. E dunque questi lunghi mesi di distanziamento sociale dovranno per forza finire e quella che avremo vissuto per molti non sarà che una parentesi.
Ma per molte persone la pandemia sarà stata purtroppo un lungo esperimento che avrà reso palese come il loro lavoro sia in effetti sostituibile a minor costo e forse maggiore efficienza. Molti sono dunque a rischio di perdere la propria identità professionale e avranno bisogno di un lungo percorso di riqualificazione delle competenze, in attesa che emergano nuovi lavori e funzioni. Sarà forse un’epoca di grande creatività, ma certo di forti disagi sociali.