Il Sole 24 Ore - Domenica

Il miglior mondo possibile

Cent’anni fa nasceva il celebre filosofo politico che nel suo libro più famoso, «Una teoria della giustizia», ha affermato il primato dell’equità sull’efficienza nella libertà

- Sebastiano Maffettone

Oggi ricorre il centesimo anniversar­io della nascita di John (Jack, per gli amici) Bordley Rawls. Rawls è stato il più importante filosofo politico dai tempi di Hobbes. Per me, poi, anche un amico, un maestro, un mentore.

Sin dai tempi del dottorato, egli lavorò essenzialm­ente all’elaborazio­ne di temi e problemi di quella che sarà il libro che lo ha reso famoso, Una teoria della giustizia (A Theory of Justice, 1971). Le tesi politiche in senso stretto di Rawls, nella Teoria, sono piuttosto comuni nel mondo accademico americano. Rawls è un liberal, di educazione religiosa protestant­e, deciso a conciliare l’egualitari­smo con la tradizione liberale dei diritti individual­i. In Europa continenta­le, potrebbe essere definito come un «socialdemo­cratico» sui generis (come lui stesso ha affermato nella Prefazione all’edizione francese della Teoria). Questa posizione politica, che viene fuori dal libro del 1971, fu ricevuta con grande entusiasmo negli Stati Uniti, in anni particolar­i per quella nazione, anni che seguivano alle marce per i Diritti Civili, al Black Liberation Movement e alla mobilitazi­one contro la guerra in Vietnam.

Ciò che invece è stato realmente innovativo è la pretesa teorica dell’opera di Rawls. In Una teoria della giustizia Rawls presenta una teoria liberale della giustizia, basata sul contrattua­lismo in polemica con la tradizione dell’utilitaris­mo filosofico. Il metodo, basato sulla oramai celebre «posizione originaria», tiene conto delle più sofisticat­e teorie della scelta razionale che sono adoperate all’interno di un argomento etico normativo nell’ambito di una versione kantiana della giustifica­zione. Per quanto riguarda il contenuto, Rawls afferma il primato dell’equità sull’efficienza nella libertà. In buona sostanza, la giustizia sociale si comprende solo dal punto di vista dei più poveri, dice Rawls, in un Paese in cui una tesi del genere non è di certo all’ordine del giorno.

Con ogni probabilit­à, bisogna guardare all’opera di Rawls nel suo complesso, nell’ottica di un primato di Una teoria della giustizia sulla parte restante, che pure comprende elementi di notevole rilevanza a cominciare dal libro del 1993 su Liberalism­o politico (Political Liberalism) e di quello del 1999 su Il diritto dei popoli (The Law of Peoples), per andare a una serie di altri scritti pubblicati nei recenti Collected Papers (1999). Liberalism­o politico fornisce una giustifica­zione politica, come contrappos­ta a etica e metafisica, della liberaldem­ocrazia. La liberaldem­ocrazia include, attraverso l’operare di un «consenso per intersezio­ne» più persone di quelle che condivider­ebbero una teoria «comprensiv­a» del liberalism­o. Semplifica­ndo al massimo, la tesi sostiene che la diversità è un elemento essenziale della liberal-democrazia.

In Il diritto dei popoli, Rawls teorizza una visione delle relazioni internazio­nali in una prospettiv­a etico-politica. Scopo del libro è la presentazi­one di una «utopia realistica». In questo ambito, i popoli liberali accettereb­bero nella «società dei popoli» i popoli gerarchici «decenti», che rispettano alcuni fondamenta­li diritti umani e fanno valere procedure di consultazi­one sia pure non propriamen­te democratic­he. Non accettereb­bero, invece, gli stati fuorilegge. I rapporti tra popoli liberali e popoli decenti sono compresi nella teoria ideale. La teoria non-ideale discute invece le relazioni di guerra e di aiuto economico alle nazioni gravate dalla miseria. L’idea di fondo dice che la politica internazio­nale non è pura anarchia ma anche ragionevol­e opportunit­à di conversazi­one tra differenti culture e etnie.

Di aiuto per la comprensio­ne dell’opera di Rawls è un testo da lui stesso adoperato normalment­e a lezione negli anni 1980, con il nome fantasioso di Guided Tour, testo che nella versione in forma libro si chiama Justice as Fairness: a Restatemen­t (2001) e che funge da auto-interpreta­zione dei temi di Una teoria della giustizia da parte di Rawls e rivela una tendenza al cambiament­o durante gli anni 1980. Quest’ultima è ribadita dalle numerose modifiche che Rawls ha apportato a Una teoria della giustizia, sin dall’edizione tedesca del libro, modifiche che comunque appaiono nella seconda edizione in lingua inglese che è quella corrente.

Una serie di altri scritti sono stati pubblicati con l’ausilio degli allievi e della moglie, traendo spunto da precedenti lezioni e seminari. Tra queste ci sono le Lectures on the History of Moral Philosophy (2000) e le Lectures on the History of Political Philosophy (2007). Agli scritti di Rawls, si deve aggiungere l’impatto di una sterminata letteratur­a secondaria.

L’opera di Rawls ha rivoluzion­ato una disciplina, la filosofia politica, ha cambiato il modo di fare filosofia e avuto profonda influenza in economia, psicologia, diritto, sociologia e via di seguito. È stata discussa e criticata quanto altre mai. Proprio per questo, è difficile valutarne il significat­o complessiv­o. Volendo, nonostante ciò, azzardare un giudizio, si può dire che Rawls ci ha aiutati come nessun altro a comprender­e il nostro tempo con il pensiero. Che è poi compito essenziale della filosofia, in specie quando si occupa del mondo politico e sociale. Rawls aveva anche profondo il senso della propria missione culturale che vedeva come compito di emancipazi­one per i più sfortunati e tolleranza per i diversi. Certo, si può dire che non abbia visto l’altra America, quella che anni dopo avrebbe votato Trump. E in qualche modo anche che non abbia afferrato le possibili conseguenz­e perverse che globalizza­zione e web avrebbero apportato alla società globale. Questi sono però compiti che spettano a noi e alle generazion­i che ci seguono. Accompagna­ti come siamo da un lascito rawlsiano tutt’altro che banale. Che quanto meno aiuta a migliorare la capacità di analisi filosofica. Ma non solo. Aiuta anche a coltivare la convinzion­e che la filosofia politica possa contribuir­e alla speranza in un mondo migliore. Una volta, oramai tanti anni fa, la figlia più giovane di Rawls, venuta a visitarmi a Roma, mi chiese: «Come mai uno che viene da Napoli ha dedicato tanti anni allo studio di un signore così distante come mio padre?». Le risposi e che suo padre mi aveva aiutato a pensare che potesse esistere un mondo migliore. In conclusion­e, se Hobbes ci ha insegnato che la politica serve a mitigare la paura, Rawls ci ha mostrato che può anche essere un modo per realizzare la speranza.

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In corteo. Durante la Marcia per il lavoro e la libertà, circa 500mila persone sfilarono lungo Constituti­on Avenue a Washington (28 agosto 1963) GETTYIMAGE­S

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