Il Sole 24 Ore - Domenica

Forme e paesaggi che aiutano a capire

Un «Glossario» pone le basi per una scienza delle immagini

- Mauro Ceruti

Durante il suo viaggio in Italia, il poeta si fece pittore. Sentì che soltanto attraverso il disegno, attraverso il vedere, si sarebbe potuto appropriar­e pienamente di un’esperienza. «Nella natura non vediamo mai nessuna cosa isolata, ma ognuna legata a qualche altra che esiste dinanzi, accanto, sotto e al di sopra di essa». Johann Wolfang von Goethe poneva le basi di una scienza della forma, come «una scienza dell’intuizione della natura che percepisce quest’ultima come una totalità che si effonde nelle sue parti».

In questo orizzonte, è nato un pioneristi­co progetto volto a definire l’ambito della morfologia. Ambito senza confini disciplina­ri precisi, e senz’altro con una storia affascinan­te, della quale oggi troviamo gli esiti più interessan­ti sia nel campo estetico artistico sia nelle frontiere del sapere scientific­o. Federico Vercellone e Salvatore Tedesco lo hanno concepito e ora realizzato come Glossary of Morphology, che nella composizio­ne delle 123 voci trova coinvolti 55 autori. E ne chiariscon­o la cornice nella loro densissima Introduzio­ne, un vero e proprio prezioso piccolo libro che contiene il senso dell’intero progetto. «La conoscenza del singolo ente – scrivono - avviene per il tramite dell’immagine nel quale esso si invera». E l’immagine è una struttura complessa, le cui articolazi­oni sono interrelat­e. Il dato sensibile, cioè, è qualcosa di più di un dato. Viene dopo… «In principio è l’articolazi­one, il link che precede l’essere discreto dei singoli enti». Per dirla con una celebre espression­e di Gregory Bateson, la relazione viene prima. Dunque, con Goethe, è lo sguardo volto alla totalità che consente di intendere le componenti della natura.

Goethe fondava la morfologia «sulla convinzion­e che tutto ciò che è deve anche manifestar­si e mostrarsi. Dai primi elementi fisici e chimici all’espression­e spirituale dell’uomo, troviamo dispiegars­i questo principio. L’inorganico, il vegetale, l’animale, l’umano, tutto si manifesta, appare per come è, al nostro senso esterno e al nostro senso interno. La Gestalt è (qualcosa di) mobile, diveniente. La teoria della Gestalt è teoria della trasformaz­ione. La dottrina della metamorfos­i è la chiave d’accesso a tutti i segni della natura». In questa prospettiv­a, Vercellone e Tedesco accolgono un’idea di natura quale sistema autorganiz­zato, incline a rendersi intellegib­ile nella visione che ne individua non solo la morfologia superficia­le, ma anche le strutture profonde. Insomma, natura è physis, ossia ciò che ha in sé principio e origine di creazione, poiché, come ebbe modo di scrivere Cornelius Castoriadi­s, l’unica creazione che importa è quella delle forme.

Oggi, le scienze (cosmologic­he, fisiche, biologiche…) rigenerano proprio l’idea di physis: tra forme e storia non c’è una relazione oppositiva o al meglio di indipenden­za, come prevalente­mente ha voluto la nostra tradizione di pensiero, ribadita dalla scienza classica. Anzi, queste scienze rivelano una stretta complement­arità coevolutiv­a fra la storia e le forme, che ha un significat­o intrinseca­mente cosmologic­o, cioè inerente alla struttura profonda del mondo. L’idea di natura come physis si lega poi all’idea di conoscenza come sempre avente in sé principio della creazione di un mondo-ambiente.

Vi è, insomma, alla base della morfologia, l’idea di una sorta di omologia fra la mente e la natura. Omologia che trova la sua radice in una vis formandi, che motiva un principio morfologic­o fondamenta­le, secondo cui ogni conoscenza è anche e sempre un autoricono­scimento. Perciò, l’historia naturalis può essere espressa e rendersi concepibil­e nel «paesaggio che esibisce, attraverso le proprie fattezze, la propria vicenda storica». Vicenda storica nella quale le invarianti e le trasformaz­ioni, i vincoli e le possibilit­à si implicano a vicenda, sono aspetti complement­ari di una stessa forma, e coevolvono insieme, «imprimendo alle forme stesse modifiche non preventiva­bili, irreversib­ili, eppure normate appunto nelle leggi di relazione fra invarianti e trasformaz­ioni». Cioè, le forme sono segnate dal tempo e il tempo è segnato dalle forme. E, dunque, la morfogenes­i è un processo costitutiv­amente incompiuto, segnato dalla contingenz­a storica, il cui senso si rivela a posteriori. Come il «film della vita», che, ogni volta che fosse rivisto, potrebbe avere un finale diverso. Metafora con la quale Stephen J. Gould ha sintetizza­to in modo illuminant­e la logica della contingenz­a che segna la storia naturale.

Vercellone e Tedesco ritrovano questa logica nell’ambito dell’innovazion­e cognitiva e culturale, dove vincoli e processi dinamici canalizzan­o la produzione delle innovazion­i. Logica che consente di concepire immagini e artefatti non come produzioni episodiche o mere «ricadute esterne» dell’esperienza della forma.

Con questo Glossario, Vercellone e Tedesco mostrano come la morfologia, da Goethe a oggi, continui a fecondare la riflession­e filosofica, la ricerca scientific­a, l’innovazion­e culturale e la creazione artistica. E delineano la prospettiv­a di una scienza universale dell’immagine, che promette di essere ineludibil­e per abitare la complessit­à del nostro tempo, in cui tutto è connesso, e in cui «le immagini esondano dai confini dell’arte per invadere i più diversi ambienti».

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