Forme e paesaggi che aiutano a capire
Un «Glossario» pone le basi per una scienza delle immagini
Durante il suo viaggio in Italia, il poeta si fece pittore. Sentì che soltanto attraverso il disegno, attraverso il vedere, si sarebbe potuto appropriare pienamente di un’esperienza. «Nella natura non vediamo mai nessuna cosa isolata, ma ognuna legata a qualche altra che esiste dinanzi, accanto, sotto e al di sopra di essa». Johann Wolfang von Goethe poneva le basi di una scienza della forma, come «una scienza dell’intuizione della natura che percepisce quest’ultima come una totalità che si effonde nelle sue parti».
In questo orizzonte, è nato un pioneristico progetto volto a definire l’ambito della morfologia. Ambito senza confini disciplinari precisi, e senz’altro con una storia affascinante, della quale oggi troviamo gli esiti più interessanti sia nel campo estetico artistico sia nelle frontiere del sapere scientifico. Federico Vercellone e Salvatore Tedesco lo hanno concepito e ora realizzato come Glossary of Morphology, che nella composizione delle 123 voci trova coinvolti 55 autori. E ne chiariscono la cornice nella loro densissima Introduzione, un vero e proprio prezioso piccolo libro che contiene il senso dell’intero progetto. «La conoscenza del singolo ente – scrivono - avviene per il tramite dell’immagine nel quale esso si invera». E l’immagine è una struttura complessa, le cui articolazioni sono interrelate. Il dato sensibile, cioè, è qualcosa di più di un dato. Viene dopo… «In principio è l’articolazione, il link che precede l’essere discreto dei singoli enti». Per dirla con una celebre espressione di Gregory Bateson, la relazione viene prima. Dunque, con Goethe, è lo sguardo volto alla totalità che consente di intendere le componenti della natura.
Goethe fondava la morfologia «sulla convinzione che tutto ciò che è deve anche manifestarsi e mostrarsi. Dai primi elementi fisici e chimici all’espressione spirituale dell’uomo, troviamo dispiegarsi questo principio. L’inorganico, il vegetale, l’animale, l’umano, tutto si manifesta, appare per come è, al nostro senso esterno e al nostro senso interno. La Gestalt è (qualcosa di) mobile, diveniente. La teoria della Gestalt è teoria della trasformazione. La dottrina della metamorfosi è la chiave d’accesso a tutti i segni della natura». In questa prospettiva, Vercellone e Tedesco accolgono un’idea di natura quale sistema autorganizzato, incline a rendersi intellegibile nella visione che ne individua non solo la morfologia superficiale, ma anche le strutture profonde. Insomma, natura è physis, ossia ciò che ha in sé principio e origine di creazione, poiché, come ebbe modo di scrivere Cornelius Castoriadis, l’unica creazione che importa è quella delle forme.
Oggi, le scienze (cosmologiche, fisiche, biologiche…) rigenerano proprio l’idea di physis: tra forme e storia non c’è una relazione oppositiva o al meglio di indipendenza, come prevalentemente ha voluto la nostra tradizione di pensiero, ribadita dalla scienza classica. Anzi, queste scienze rivelano una stretta complementarità coevolutiva fra la storia e le forme, che ha un significato intrinsecamente cosmologico, cioè inerente alla struttura profonda del mondo. L’idea di natura come physis si lega poi all’idea di conoscenza come sempre avente in sé principio della creazione di un mondo-ambiente.
Vi è, insomma, alla base della morfologia, l’idea di una sorta di omologia fra la mente e la natura. Omologia che trova la sua radice in una vis formandi, che motiva un principio morfologico fondamentale, secondo cui ogni conoscenza è anche e sempre un autoriconoscimento. Perciò, l’historia naturalis può essere espressa e rendersi concepibile nel «paesaggio che esibisce, attraverso le proprie fattezze, la propria vicenda storica». Vicenda storica nella quale le invarianti e le trasformazioni, i vincoli e le possibilità si implicano a vicenda, sono aspetti complementari di una stessa forma, e coevolvono insieme, «imprimendo alle forme stesse modifiche non preventivabili, irreversibili, eppure normate appunto nelle leggi di relazione fra invarianti e trasformazioni». Cioè, le forme sono segnate dal tempo e il tempo è segnato dalle forme. E, dunque, la morfogenesi è un processo costitutivamente incompiuto, segnato dalla contingenza storica, il cui senso si rivela a posteriori. Come il «film della vita», che, ogni volta che fosse rivisto, potrebbe avere un finale diverso. Metafora con la quale Stephen J. Gould ha sintetizzato in modo illuminante la logica della contingenza che segna la storia naturale.
Vercellone e Tedesco ritrovano questa logica nell’ambito dell’innovazione cognitiva e culturale, dove vincoli e processi dinamici canalizzano la produzione delle innovazioni. Logica che consente di concepire immagini e artefatti non come produzioni episodiche o mere «ricadute esterne» dell’esperienza della forma.
Con questo Glossario, Vercellone e Tedesco mostrano come la morfologia, da Goethe a oggi, continui a fecondare la riflessione filosofica, la ricerca scientifica, l’innovazione culturale e la creazione artistica. E delineano la prospettiva di una scienza universale dell’immagine, che promette di essere ineludibile per abitare la complessità del nostro tempo, in cui tutto è connesso, e in cui «le immagini esondano dai confini dell’arte per invadere i più diversi ambienti».