Quei tantissimi zeri che ci mettono così grande paura
Andrew Elliott è uno statistico che si dedica da sempre a un progetto di alfabetismo numerico e il suo libro non ci conduce nella sfera ultraterrena dei numeri, territorio dei matematici, e neppure contiene statistiche stupefacenti. Elliott cerca di aiutarci in un mondo che sempre più spesso ci parla di grandi numeri. I numeri vengono sbandierati nei notiziari come garanzia di obiettività. Talvolta è difficile capire se devono spaventarci, entusiasmarci o lasciarci indifferenti.
Nel numero di «Science» dell’11 febbraio 2021 un gruppo di astronomi, alcuni italiani, descrive una galassia formatasi quando l’universo era «1.2 billions of years old», vecchio cioè di 1,2 miliardi di anni, un numero apparentemente molto grande. Gli astronomi spiegano che in proporzione a 13,82 miliardi di anni, l’età dell’universo, è un numero piccolo.
Le galassie, contrariamente a quanto si supponeva prima dell’articolo di Science, sono nate quando l’universo era giovane. Una semplice proporzione ridimensiona un numero come 1,2 miliardi.
Ho citato l’espressione inglese «1.2 billions» e la sua traduzione in «1,2 miliardi». Qui abbiamo una differenza linguistica. In inglese ci sono i milioni, poi le migliaia di milioni, cioè i billion, e, infine, le migliaia di billion, cioè i trillion. Da «bi» si passa a «tri»: intuitivo. In italiano non funziona così. Dal milione, moltiplicando per mille, si passa al miliardo, poi al bilione (un bilione sono le stelle nella galassia di Andromeda), e infine ai milioni di miliardi (un milione di miliardi sono le sinapsi del cervello). La traduzione non avverte il lettore della cruciale differenza, spesso fuorviante data la diffusione di testi in inglese, tra i billion e i «bilioni» italiani.
La mancata dimestichezza con i numeri molto grandi affiora qua e là. Pensate alla bellissima canzone di De Gregori che inizia con Le stelle sono tante, milioni di milioni... Se avesse detto miliardi sarebbe stata altra cosa. Nel film C’era una volta il West, uno dei due protagonisti osserva: «Ehi, Armonica, una città se la fai vicino a una stazione è una fabbrica di soldi … Centinaia di migliaia di dollari, eh, anche di più, migliaia di migliaia …». E l’altro, secco, ribatte: «Li chiamano milioni». Il crescendo mostra la difficoltà a concepire, per un uomo del vecchio West, numeri così grandi, familiari agli uomini d’affari, quelli che per l’appunto faranno scomparire il West (da cui il titolo del film).
Come nel caso delle galassie, il ragionamento basato sulle proporzioni è cruciale anche per l’efficacia dei vaccini. Oggi sentiamo dire che un vaccino ha «un’efficacia al 95%».
Questo 95% deriva da una proporzione. I ricercatori hanno testato decine di migliaia di volontari ai quali hanno somministrato il vaccino sperimentale o un placebo (un finto farmaco). Dopo un certo lasso di tempo, i ricercatori hanno controllato nei volontari la presenza di sintomi compatibili con il Covid-19 e confermato la presenza del virus attraverso analisi di laboratorio. Tra tutti i volontari, 170 avevano contratto il virus.
Di questi 162 avevano ricevuto il placebo e 8 avevano ricevuto il vaccino sperimentale. I ricercatori hanno calcolato il rapporto tra malati e sani nei due gruppi, quello che aveva ricevuto il placebo e quello che aveva ricevuto il vaccino. Rispetto al numero molto grande dei volontari, i due numeri ottenuti sono piccoli ma quello del gruppo dei vaccinati è molto più basso rispetto a quello di chi aveva ricevuto il placebo. Dalla proporzione si ricava l’efficacia del vaccino. Semplice, ma non intuitivo.
Su un importante quotidiano nazionale, il 12 febbraio 2021 si racconta in prima pagina che un gruppo di medici romani rifiuta un farmaco «che copre al 70%» preferendo quello «che copre al 90%» . Che cosa significa? Il giornalista non lo spiega. I medici hanno fatto le proporzioni oppure hanno protestato supponendo di essere invulnerabili al 70% in un caso e al 90% nell’altro caso? Se dopo 100 somministrazioni si potessero ammalare 30 persone con un tipo di vaccino e solo 10 con l’altro, la protesta sarebbe più che giustificata, ma questa non è l’informazione veicolata dall’efficacia del vaccino.
L’evoluzione ha dotato gli umani della capacità di vedere i numeri degli oggetti quando sono meno di 4 o 5. Basta un’occhiata. Se invece le entità che guardiamo sono di più, dobbiamo contarle una ad una per sapere quante sono. Se, infine, è richiesta una proporzione va fatto un ragionamento.
Sulla differenza tra vedere il numero degli oggetti e il doverli contare, Silvia De Marchi un secolo fa, prima al mondo, ha lavorato insieme a Vittorio Benussi, fondatore dell’Istituto di psicologia dell’università di Padova (gli scritti di Benussi sono stati pubblicati da Raffaello Cortina nel 2006). Silvia De Marchi è stata la prima laureata in Italia con una tesi di psicologia sperimentale.