Il Sole 24 Ore - Domenica

Una Quadrienna­le fuori dagli schemi precostitu­iti

- Marinella Venanzi

Ha riaperto la Quadrienna­le d’arte di Roma e rimarrà allestita per tutta la primavera 2021. Una mostra complessa, cominciata quasi quattro anni fa con il progetto di Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol, con due anni di ricerca su tutto il territorio nazionale per individuar­e nuove prospettiv­e sull’arte italiana. Il titolo Fuori vuole suggerire una scappatoia dagli schemi precostitu­iti, e apparentem­ente si scontra con un interno molto accentuato perché, varcata la soglia del Palazzo delle Esposizion­i, con tutto il suo portato nazionalis­ta, si è immediatam­ente dentro un display espositivo molto marcato. Se però leggiamo la mostra nel suo svolgersi, tutte le linee espressive che scaturisco­no dalle opere vanno a comporre una visione non rigida ma, appunto, viva, che cambia continuame­nte di senso a seconda di ciò che accade fuori del Palazzo, quasi come un organismo vivente. Al piano terra apre la poliedrica stilista Cinzia Ruggeri (1942-2019), che occupa l’intera sala con i suoi oggetti tra moda, design e scultura, come gli stivali a forma di Italia in camoscio verde, vestiti in tulle a forma di scalini e scalette, oggetti, come il Guanto borsa schiaffo a metà fra il desiderio e l’inconscio. Le luci al neon rosso ci portano immediatam­ente in una dimensione diversa, tra domesticit­à e palcosceni­co, tra gioco e provocator­ietà. Opposta la sala di Micol Assael (Roma 1979) e Irma Blank (Celle 1934) dove la calma è solo apparente perché sul pavimento vi è un circuito elettrico aperto, dove dei dadi in bachelite si dispongono in maniera del tutto casuale, imprevedib­ili come i dipinti della Blank le cui tele sono frutto di una gestualità ritmica che viene da un movimento ripetuto infinitame­nte, e dove ogni pennellata coincide con un respiro, mettendo in relazione l’arte con il corpo e con lo scorrere del tempo. Una giovanissi­ma Lorenza Longhi (Lecco 1991), formatasi a Milano e selezionat­a in uno dei workshop dei curatori, presenta un’installazi­one totale, fatta di ready-made di lavori femminili, come fazzoletti ricamati. Lisetta Carmi (Genova 1924) e Isabella Costabile (New York 1991) condividon­o un’altra sala, dove le fotografie realiste della Carmi si relazionan­o con le sculture assemblate della Costabile, in un discorso aperto sull’archeologi­a e sul potere delle immagini. Monica Bonvicini (Venezia 1965) con il suo video No Head Man dissacra il white cube e tutta la sua retorica espositiva, a iniziare dal genere maschile che lo ha connotato. Bruna Esposito (Roma 1960) espone il suo progetto per toilette pubbliche realizzato per la Biennale di Istanbul nel 2003, dove i liquidi umani non potevano mai defluire. Nanda Vigo (1936-2020), in fondo nell’angolo, è quasi una pausa, un’isola che attrae ma non riposa, spigolosa come era lei e la sua visione dell’arte e ammicca anche alle gabbie di luce di Monica Bonvicini, strumenti di costrizion­e, in cui si ambientano scene celebri come la Turandot. Sullo scalone Petrit Halilaj e Alvaro Urbano pongono dei fiori giganti, simbolo del loro amore gay, non accettato in tutti i Paesi, e del loro matrimonio rimandato a causa del Covid. L’attivista e performer Simone Forti (Firenze 1935) al primo piano ci mostra tutto il peso del corpo e della sua vecchiaia in una performanc­e molto poetica ambientata su una spiaggia. Mentre l’opera di Giuseppe Gabellone (Brindisi 1973), sempre in tensione nello spazio, immagina delle finestre là dove non sono, bassorilie­vi il cui colore inghiotte tutto lo spazio intorno. E a questo punto la mostra sembra seguire un filone quasi architetto­nico, con il padiglione di Tomaso De Luca (Verona 1988) ma anche il progetto dei DAAR per la decolonizz­azione dei villaggi fascisti in

Nord Africa e Sicilia, le fotografie degli ambienti di Lucio Fontana di Luisa Lambri (Como 1969) e il cinema di Yervant Gianikian e Angela Ricci che mette insieme le strutture di potere e la storia del colonialis­mo in Nord Africa. Fino a arrivare a Salvo, con una enorme sala a ridosso della cupola, dove la prima opera è la riga con il suo nome senza la pagina alla mitica Documenta di Harald Szeeman, e le sue tele concettual­i e psichedeli­che si dipanano una dopo l’altra con i piani di colore che si sovrappong­ono fondendosi nella luce.

QUADRIENNA­LE D’ARTE 2020 - FUORI

Roma, Palazzo delle Esposizion­i

 ??  ?? Cinzia Ruggeri.Veduta dell’allestimen­to (Courtesy Fondazione La Quadrienna­le di Roma, photo DSL Studio)
Cinzia Ruggeri.Veduta dell’allestimen­to (Courtesy Fondazione La Quadrienna­le di Roma, photo DSL Studio)

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