Sull’onda digitale di Hokusai
Durante il lockdown, il British Museum ha messo online 104 fogli da poco acquistati che l’artista giapponese aveva realizzato per un libro mai pubblicato
Avrebbe dovuto essere Il grande libro di immagini d’ogni cosa, ma non fu mai pubblicato. Hokusai (17601849) aveva settant’anni al computo giapponese quando, nel 1829, ne ricevette la commissione o ne preparò i disegni per stamparlo in silografia. Poi qualcosa andò storto e l’opera fu abbandonata: per la storia dell’arte giapponese era come mai nata.
E invece è appena comparsa al British Museum di Londra. Ma che cosa è comparso? Il libro che non fu? Certo che no: sono comparsi i centoquattro fogli preparatori e il British ne ha fatto occasione per perfezionare il suo nuovissimo sistema di messa in rete delle collezioni e renderne libera la visione.
Tim Clark - che per trentadue anni ha curato le raccolte giapponesi del Museo e vi si dedica tutt’ora con un nuovo progetto sul periodo finale di Hokusai - racconta: «Abbiamo rinnovato il sito web del British Museum durante il lockdown per produrre questo sistema più interattivo di ingrandimenti. Ci sono circa quattro milioni e mezzo di opere caricate attualmente e 1,9 milioni di immagini». E aggiunge di aver approfittato del lockdown per immergersi in quest’opera di Hokusai, analizzarla e decifrarne i temi trattati nonché farla caricare nella rete col nuovo sistema.
Hokusai, il più conclamato artista del Giappone, e forse di tutta l’Asia, era un prolifico illustratore di ogni tipo di libri e autore di manuali didattici («Domenica» del 6 dicembre 2020). E Il grande libro di immagini d’ogni cosa era destinato a uscire appena prima di quella che sarebbe stata la sua serie più famosa e innovatrice della concezione paesistica nazionale: Le trentasei vedute del monte Fuji fra le quali si trova anche la celeberrima Grande onda.
Dopo tutto questo tempo l’opera, riapparsa a Parigi circa un anno e mezzo fa e acquistata dal British Museum solo da qualche mese, si presenta come un gruppo di fogli singoli raccolti in un involucro di seta e conservati in un contenitore coevo di ciliegio iscritto con il nome dell’autore e il titolo. Il primo foglio, che avrebbe dovuto essere il frontespizio del volume, porta anche una datazione riferibile al 1829. Reca inoltre impresso il sigillo giapponese di Henri Vever (18541942), il grande gioielliere parigino divenuto uno dei primi e principali amanti e collezionisti di stampe giapponesi in Europa. È quindi probabile che l’opera sia giunta a Parigi insieme alle altre decine se non centinaia di migliaia che vi vennero smerciate tra gli anni Sessanta dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, l’epoca del trionfo del giapponismo in Occidente.
Durante la prima guerra mondiale Vever cedette 7.996 stampe della sua collezione a un grande imprenditore di Tokyo, Matsukata Kōjirō (18651950). Oggi esse costituiscono il nucleo principale delle immagini del “Mondo Fluttuante” nel Museo Nazionale della capitale. Vever però continuò a collezionare fino a metà degli anni Trenta. Nel 1948, dopo la sua morte e la fine della guerra, le Immagini d’ogni cosa apparvero in un’asta al Drouot delle sue raccolte e da qui entrarono in una collezione privata dove rimasero sepolte fino all’estate 2019.
I disegni preparatori per le silografie giapponesi sono molto rari e si possono trovare solo in pochi casi come quello in cui l’opera finale non sia stata realizzata. Al tempo di Hokusai il disegno preparatorio di una stampa veniva preparato dall’artista stesso o da un suo assistente. Era dipinto in inchiostro nero su un foglio sottilissimo di carta che in seguito l’editore provvedeva a far incollare, rovesciato, su una tavoletta di ciliegio e a far intagliare lasciando in rilievo solo le linee dei contorni e con ciò distruggendo totalmente il disegno originale. Sul primo foglio tirato l’artista indicava i colori da aggiungere scrivendone i nomi. Poi si procedeva a creare una tavola per ognuno di essi e infine a stampare passando ogni foglio su tutte le tavolette inchiostrate.
Il grande libro di immagini d’ogni cosa del British Museum rappresenta la seconda fase di questo processo che, in assenza dei colori mette in evidenza la straordinarietà delle linee tracciate da Hokusai, che paiono vivere di vita propria. Le immagini rappresentano un universo culturale che va da visioni della natura a personaggi storici e mitologici a scene di fiori e uccelli, paesaggi di montagne e di edifici nella natura. Nel 1829 Hokusai aveva pubblicato già dieci volumi dei suoi celeberrimi Manga: una sorta di enciclopedia di immagini che continuò a essere stampato fino alla morte. L’effetto generale è di dipinti realizzati con grande velocità e accuratezza estrema e il formato equivale più o meno a quello dei Manga. Ma l’impressione è che Hokusai aspirasse ad ampliare la capacità, la profondità percettiva della realtà nel suo pubblico. C’è molto buddhismo e ci sono molte culture rappresentate, oltre alla cinese e la giapponese, come l’indiana, la coreana, la filippina, l’occidentale.
La sorte non consentì che l’opera di Hokusai raggiungesse con la stampa il pubblico che lui voleva. Non si può evitare la sorte, ma si può risponderle. E lui che fa? Avvolge il suo lavoro in un prezioso involucro di seta, lo racchiude in un cofanetto di ciliegio e lo lancia nel vuoto del tempo senza tempo perché raggiunga, duecento anni dopo, con il proprio messaggio il British Museum col suo Research Team, un vasto pubblico nel mondo e noi qui oggi.
Perciò il lettore, collegandosi al sito web del British Museum, trova l’opera e può essere catturato dalla creatività del grande maestro, contemplare le inarrivabili prodezze della sua linea e attingere alla meraviglia del suo spirito creativo nella più grande come nella più minuta evocazione pittorica.