La performance a domicilio
Assoli di danza, tragedie in due battute e monologhi vengono portati a casa da riders attori e ballerini. A Lugano le coreografie diventano descrizioni audio
Monologhi, assoli di danza, tragedie in due battute: ecco i riders del teatro, proprio come i “colleghi” della gastronomia, affrontano chilometri in bici, col bello e col cattivo tempo, per consegnare a domicilio brevi performance. In zona gialla vengono ricevuti anche in salotto da pochi spettatori che compongono il nucleo familiare. In zona arancione si esibiscono negli atri condominiali, nei cortili, nei giardinetti antistanti le abitazioni dei loro “clienti”.
I più intraprendenti si sono associati al circuito nazionale Usca (Unità speciali di continuità artistica), ideato da Ippolito Chiarello, fautore del “barbonaggio teatrale”. A Milano, Roberta Paolini e Marica Mastromarino consegnano a domicilio Dante, Goldoni, Dario Fo, Gianni Rodari e molto altro, mentre in Sicilia, grazie al Franco Delivery Show, ideato da Giuseppe Provinzano, si può scegliere da un variegato menu per tutti i gusti, tra musica, danza e teatro. Il delivery artistico è una forma di resistenza alla smaterializzazione della performance, che richiede intraprendenza e un po’ di coraggio, ma che purtroppo registra dei limiti di “repertorio” in cartellone e di offerta.
Nel frattempo, a teatri chiusi, ballerini e attori sono costretti a sperimentare nuove forme di interazione, che necessariamente trasferiscono l’azione sui dispositivi elettronici.
Gli spettacoli in streaming dilagano sul web sin dal primo lockdown, nell’illusione di poter mantenere un rapporto, seppure a distanza, tra artisti e pubblico. Sul tema è in atto un acceso dibattito tra sostenitori (pochi) e detrattori (tanti) di questo placebo dello spettacolo dal vivo. Un ripiego incoraggiato e sostenuto anche nelle sedi ufficiali dalla discutibile trovata della cosiddetta “Netflix della cultura”.
Perfino il tempio della tradizione, La Scala di Milano, ha dovuto ripiegare sul web, facendo discutere col patinato mélange videosonoro della sua inaugurazione “virtuale”, mentre la Giselle, anche grazie alla supervisione di una maestra come Carla Fracci, ha restituito rare vibrazioni all’ottocentesco balletto.
Tra gli esperimenti più radicali, si fa notare quello di Lorena Dozio, coreografa ticinese di stanza al LAC di Lugano. Col progetto Audiodanza (immateriale), che ha un precedente altrettanto estremo nelle sue Danze invisibili, Dozio elimina del tutto la materialità della danza trasformandola in un’immagine mentale, quella che ognuno di noi crea nella propria testa mentre ascolta dalla voce dell’artista la minuziosa descrizione della coreografia, una vera a propria ekphrasis.
Nel sito del LAC si possono vedere, ma soprattutto ascoltare, i quattro capitoli del progetto: nel primo, il danzatore Kerem Gelebek sembra intento in un assolo, ma in realtà agisce insieme a sette danzatori invisibili. Nel secondo, sull’immagine fissa di un uomo di spalle che ascolta in cuffia, la Dozio “finge” uno spettacolo “dialogando tra reale e irreale”. A seguire, nella sezione significativamente intitolata Prima era bello, mi divertivo ci si interroga sui limiti della danza, mentre il capitolo conclusivo, che sarà disponibile a partire dal 23 febbraio, annuncia un “racconto di uno spettacolo dal punto di vista del danzatore mentre danza”.
Un esperimento, quello del LAC, che apre nuovi scenari alla performance, suggerendo che la danza è dentro ognuno di noi e che con la nostra mente e la nostra sensibilità possiamo darle una forma “personalizzata”. Un po’ come quando, leggendo un romanzo, ogni lettore costruisce il proprio “film”. Anche i radiodrammi in qualche modo esigono che l’ascoltatore “completi” la messa in scena dando concretezza formale a una drammaturgia di parole, ma nelle Audiodanze della Dozio l’immaginazione è attivata solo dalla musica (di Kerwin Rolland) e dalla descrizione di ciò che avviene.
Stiamo perdendo il contatto con la realtà o dobbiamo abituarci a una realtà aumentata, parallela, forse anche più interessante di quella materiale, che ci invita ad essere più creativi e partecipi? In fondo le Audiodanze ci ricordano che la performance – più di qualunque altra opera d’arte – è un oggetto effimero, inafferrabile, destinato a scomparire un attimo dopo la sua rivelazione. In un momento in cui le forme canoniche di rappresentazione sono messe in crisi al punto da non potersi neanche realizzare, l’artista è chiamato a riflettere su questi temi, sul rapporto col pubblico e sulla natura dinamica, forse anche “liquida”, del proprio lavoro.
Perfino il puparo Mimmo Cuticchio, che ha sempre tenute salde le proprie radici nella tradizione, proprio alla vigilia del primo lockdown ha rappresentato sul ghiacciaio Presena le gesta dei Paladini di Francia utilizzando pupi di ghiaccio, che alla fine dello spettacolo si sono dissolti davanti agli occhi degli spettatori, ma non nel loro “teatro della memoria”.