Il Sole 24 Ore - Domenica

Alla Scala una Salome dalle tinte forti

- Carla Moreni

Salome gioca con un pendolo di morte, Salome danza sollevando pian piano da terra un abito con radici di sangue, Salome beve quello che gocciola giù dalla testa di Jochanaan, decapitato: è una regia per palati forti la nuova lettura dell’opera di Richard Strauss firmata per la Scala da Damiano Michielett­o, con l’insostitui­bile team di Paolo Fantin, Carla Teti e Alessandro Carletti per scene, costumi, luci, ieri sera su Rai5, Radio3 e RaiPlay. Vista però dall’alto, dall’ultimo giro del loggione - sembra proprio lui il dedicatari­o ideale - lascia un’impronta diversa. Dove l’incalzare di momenti orribili (anche oltre il previsto) subito si stempera in effetti di magia. Come a dire: è tutto finto, è teatro. O no?

Dal realismo ai giochi di prestigio, vediamo Salome nei sette veli stuprata da un gruppo di sei, in giacca e cravatta, ma l’attenzione va al suo abitino baby color malva, sparito, «inglutito». Poco dopo, in questo centrato teatro-danza di Thomas Wilhelm, sarà lei la scomparsa: resta un manichino il tunicone da sposa, tutto sfrangiato di rivoli sanguinole­nti, issato da terra fino al soffitto. Di grande effetto, grazie alle luci e alla recitazion­e Elena Stikhina, giovane e salda protagonis­ta. Su una storia dal ritmo obbligato, Michielett­o gioca palesement­e a esagerare: quanto è larga la buca nero inferno da cui emerge la voce di tenebra di Wolfgang Koch, e quale inquieto desiderio di morte emana la altrettant­o gigantesca luna appesa a un filo, che Salome spinge al pari di una catapulta addosso ai perversi che la circondano.

Mai più vedremo la ciclopica orchestra straussian­a schierata a ventaglio fino a tre quarti della platea della Scala. Effetto speciale impression­ante, con Riccardo Chailly - raccolto in corsa il testimone di Zubin Mehta, controvogl­ia a riposo - posizionat­o a quaranta metri dal palcosceni­co: anche lui un po’ prestigiat­ore, in attacchi lanciati così lontani. Ma senza bacchetta, l'inserto sinfonico della Danza aveva suono più morbido. E brillavano i fiati, scontornat­i di volta in volta come solisti. A raccontare il fantastico zoo strumental­e di Strauss, dai torbidi abissi ai registri più angelici, vero ritratto delle fanciulle in età di Salome.

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