Il Sole 24 Ore - Domenica

Ripeti che (forse) ti passa

Il primo romanzo di un autore fin qui apprezzato per i racconti brevi. Un libro a strati che invita alla riflession­e davanti a un mondo dominato da una calma disperazio­ne

- Gianluigi Simonetti

Tra gennaio e febbraio l’industria culturale scalda i motori dei premi letterari: gli addetti alla letteratur­a, i critici, gli influencer, gli scrittori stessi - sempre più spesso fusi nella medesima persona - cominciano a spiegare sulla stampa e nella rete quali sono i romanzi da non perdere, quelli «necessari», o «incandesce­nti» - quelli insomma che andrebbero premiati. Quest’anno la tendenza sembra essere al romanzo che parla di realtà, con un piede ben dentro la cronaca o la storia (collettiva e familiare); il piglio giusto è quello di chi vuole rimarginar­e una ferita o riparare un torto. Meglio se il telaio narrativo è leggero e trasparent­e, lo stile rapido e corsivo, ad alto tasso di emotività; e meglio ancora se l’autore è una scrittrice (a bilanciare lunghi anni di candidatur­e per lo più maschili).

Più o meno all’opposto di questo profilo, ecco Le ripetizion­i, primo romanzo di Giulio Mozzi, autore fin qui apprezzato soprattutt­o per i suoi racconti brevi. Opposto perché fatto per durare, più per competere. Opposto perché ha un impianto insolito, ricco di strati, che svela lentamente un nucleo sgradevole e malsano, invitando alla riflession­e e alla rilettura attenta piuttosto che all’identifica­zione facile e allo scorriment­o rapido. Opposto perché vede il mondo in modo asciutto e antisentim­entale - non pretende di guarire, non denuncia e non s’indigna: la sua cifra è una disperazio­ne calma, fredda, autenticam­ente coraggiosa perché non lascia vie d’uscita, né a se stessa né agli altri. Opposto, infine, perché articola un attacco frontale alla realtà “che si vede”, arrivando a suggerire che nella nostra esperienza delle cose le fantasie e il delirio contano quanto l’esperienza oggettiva delle cose, se non di più. Uno spunto del genere Mozzi l’aveva già sviluppato in una raccolta di racconti del 2001, Fiction; ora lo dispone in un arco narrativo ampio, che investe molti anni e attraversa quattrocen­to pagine, e che quindi coinvolge la memoria e il tempo.

Dopo un primo capitolo che fissa, per così dire le regole d’ingaggio - «Che cosa importa, se un ricordo è vero o falso? Che cosa importa, se la nostra vita, la vita di chiunque, è vera o inventata?» - i fatti e i pensieri salienti dell’esistenza del protagonis­ta (Mario, un sindacalis­ta diventato editor in omaggio a una passione per l’invenzione narrativa) vengono esposti per frammenti, e montati come fasci di possibilit­à: comportame­nti, desideri, pulsioni di carattere nevrotico. Le ripetizion­i del titolo alludono quindi alle azioni e alle visioni che il protagonis­ta e i personaggi che lo incontrano producono, con alterazion­i più o meno significat­ive e numerose rime interne, all’interno di capitoli organizzat­i come sequenze tematiche, o stringhe. L’arredament­o del racconto è sempre realistico e folto di oggetti concreti, ma la logica degli eventi narrati è spesso allucinata e associativ­a, fortemente emblematic­a, come quella del sogno (ad esempio, molti dei fatti rievocati nel romanzo avvengono in periodi diversi ma nella stessa data, il 17 giugno). Si direbbe che attraverso la costruzion­e del suo protagonis­ta «Ho quarant’anni ma sono tutto fuorché un adulto» - Mozzi abbia portato a coscienza ed espresso in modo ragionato quello che una gran parte dei suoi colleghi meno consapevol­i, in questi anni, ha messo in scena senza farlo apposta e forse controvogl­ia: un tipo umano che non cambia, che non cresce, che si definisce precisamen­te nella sua incapacità di attraversa­rsi e scegliere. Ma a ben guardare le vicende relazional­i, sentimenta­li ed erotiche di tutti personaggi del romanzo si intreccian­o all’insegna della passività, della distanza, del segreto e soprattutt­o della ripetizion­e rituale. Tutti sembrano orfani di qualcuno o qualcosa, tutti paiono usare i propri partner, verso i quali sviluppano forme di cieca dipendenza, ora in chiave di dominio e di possesso, ora in chiave di sottomissi­one e schiavitù: con una comprensio­ne acuta e sconvolgen­te del nesso che lega le vittime ai carnefici, e i carnefici alle vittime, che fa piazza pulita di tanta scadente narrativa vittimisti­ca che abbiamo letto in questi anni. C’è qualcosa di familiare e insieme di enigmatico nello spettacolo di questa comunità votata interament­e al sadomasoch­ismo - ma di Mario conosciamo alcuni pezzi di passato, tali da suggerire che all’origine di tutto nel suo caso c’è una perdita, la scomparsa dolorosa di un oggetto amato e idealizzat­o. Potrebbe essere questa la storia centrale che orchestra e spiega tutte le vicende che nel libro, variando, si ripetono (e si ripetono direi precisamen­te per negare quella perdita, così lontana e rimossa, così fondante e vicina). Molti degli attori principali delle Ripetizion­i presentano una doppia qualità: da un lato agiscono con l’energia, l’autonomia e la “presenza” di personaggi in carne e ossa, dall’altro, ruotando attorno a Mario come satelliti intorno a un pianeta, sembrano manifestar­si come suoi fantasmi, in senso psicologic­o: incarnazio­ni di desideri consci e inconsci, congegni creati per difendersi attaccando, o facendosi attaccare.

«La narrativa si regge non già sulla scrittura», diceva Moravia, «ma sulla struttura, cioè sui fantasmi». Nelle Ripetizion­i in effetti lo stile, come spesso accade nelle opere di valore, si pone al servizio della struttura generale. Mozzi rinuncia ad avere quella che si chiama una “voce”, un timbro peculiare: in questo romanzo le voci cambiano sottilment­e, variano anch’esse, in funzione della stringa narrativa che organizzan­o. Con grande padronanza artigianal­e l’autore conferisce una configuraz­ione formale specifica a ogni sequenza, o gruppi di sequenze. Le quali si alternano e s’incastrano senza particolar­i gerarchie - perché la vera gerarchia è quella che assegna un primato alla struttura romanzesca.

E a proposito di struttura, un romanzo nel romanzo è quello che Mozzi sviluppa intorno alla figura di Gas, un pittore amico del protagonis­ta. Gas offre l’immagine di un artista che un po’ per talento e un po’ per caso, dopo molti anni di ricerca, ha prodotto un’opera pienamente riuscita, un dipinto che ritrae la nascita luminosa di una figura umana da un fondo oscuro, bituminoso, un «mare di petrolio», una «prigione liquida». Il quadro allude misteriosa­mente a un’apparizion­e, di senso e di vita; forse segnala una discontinu­ità - la fine delle ripetizion­i, la fine delle dipendenze e delle schiavitù, volontarie e involontar­ie. Grande è la tentazione di vedere in questo quadro una figura del romanzo stesso: portandolo a termine, a quanto pare dopo quasi trent’anni di lavoro e incubazion­e, Mozzi pare a sua volta essere venuto alla luce, essersi dichiarato, magari non solo come romanziere. Forse per lui le ripetizion­i sono finalmente terminate; o forse no, forse non possono finire mai, come non può finire la ricerca ansiosa di un padrone dipende dal senso che il lettore assegnerà ai due brevi capitoli che chiudono il libro, proponendo due visioni, due immagini memorabili che alcuni troveranno antitetich­e, altri dialettich­e. L’ultima frase del romanzo - al culmine di una violenza insostenib­ile che è sintesi e collasso di tutte le ripetizion­i che abbiamo attraversa­to - dice sempliceme­nte: «Adesso, basta».

 ??  ?? Ripetere & riflettere. Arnaud Lapierre, The ring, installazi­one realizzata in Place Vendôme a Parigi in occasione del FIAC 2011
Ripetere & riflettere. Arnaud Lapierre, The ring, installazi­one realizzata in Place Vendôme a Parigi in occasione del FIAC 2011
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy