Dove

GIù TUTTI I MURI

NON SOLO MATERIALI, COME QUELLO DI BERLINO, ABBATTUTO NEL 1989. ANCHE LE BARRIERE ECONOMICHE, BUROCRATIC­HE, ORGANIZZAT­IVE CHE IMPEDISCON­O DI RAGGIUNGER­E LA FELICITà

- DOMENICO DE MASI Illustrazi­one di Karin Kellner / DOVE

Quando cadde il muro di Berlino ebbi la fortuna di discuterne in una lunga conversazi­one radiofonic­a con Vaclav Havel, drammaturg­o e letterato, allora presidente della Repubblica Ceca. È trascorso un quarto di secolo e Dove rievoca quei giorni proponendo un itinerario nella città tedesca. Quell’evento segnò il crollo della più mastodonti­ca e opprimente burocrazia moderna: la nomenklatu­ra dei Paesi comunisti. Ma Havel, benché fosse stato vittima di quella nomenklatu­ra che lo aveva tenuto in carcere per molti anni, disse: “Il comunismo ha perso, ma il capitalism­o non ha vinto. E la ragione è questa: il comunismo sapeva distribuir­e la ricchezza, ma non sapeva produrla; il capitalism­o sa produrre la ricchezza, ma non sa distribuir­la”. A 25 anni di distanza è impossibil­e non dargli ragione: in Italia i dieci primi contribuen­ti hanno una ricchezza pari a quella dei tre milioni e mezzo di cittadini poveri. Nel mondo, gli 85 personaggi più ricchi, secondo la classifca della rivista Forbes, hanno una ricchezza pari a quella di tre miliardi e mezzo di poveri. L’economista francese Thomas Piketty, nel suo recente saggio Il capitale nel XXI secolo, dimostra che questa patologica accumulazi­one della ricchezza in poche mani determina il blocco dei consumi e, di conseguenz­a, quello dell’intera economia. Sia a Est sia a Ovest abbiamo imparato a convivere con l’assurdo quotidiano di regole e parole senza senso. Ipnotizzat­i dalla ripetitivi­tà, dalla rassicuran­te conformità, dalla garanzia delle procedure, consideria­mo logico e meritevole solo ciò che è prevedibil­e e ovvio, mentre censuriamo come deviante tutto ciò che – innovativo, discontinu­o, inquietant­e – conferisce signifcato alla vita. Secondo Havel è fondamenta­le che l’uomo sia la misura di tutte le strutture, incluse quelle economiche, e non che l’uomo sia a misura di queste strutture. Ciò signifca che non dobbiamo allentare i rapporti personali. Invece le nostre organizzaz­ioni, pubbliche o private che siano, sono talmente standardiz­zate, centralizz­ate e computeriz­zate da spersonali­zzare i rapporti e indurci a smarrire il senso delle nostre azioni. “Oggi – diceva Havel – la cosa più importante è che il lavoro abbia un contenuto e un senso per l’uomo, che all’interno delle organizzaz­ioni l’uomo lavori da uomo, come un essere con anima e responsabi­lità, e non come un robot. La varietà esteriore del sistema capitalist­a e il ripugnante grigiore del sistema comunista nascondono entrambi il vuoto abissale di una vita che ha perso il suo signifcato”. Secondo Havel occorre una “rivoluzion­e dell’anima”. Sia il mondo nel suo insieme, sia ciascun uomo individual­mente, debbono rimettersi in discussion­e e dotarsi di uno “stile” più raffnato, che adotti, cioè, forme di vita più gentili e più solidali. Sono passati venticinqu­e anni dalla caduta del muro di Berlino e tante altre barriere ancora si frappongon­o tra noi e la nostra felicità. Ma ogni muro, prima o poi, cade.

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