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SAPORI FORTI. I L PESCE CONTADINO

- Di ELENA BIANCO foto di RICCARDO BIANCHI E PAOLO PICCIOTTO

Un gran baccalà. Sotto sale o essiccato. Fritto, in umido, lo riscoprono ristoranti, bancarelle e dietologi

Viene dai mari freddi, ma ogni regione italiana ha le sue specialità.

Sotto sale o essiccato, fritto, in umido, bollito, lo riscoprono chef e ristoranti, bancarelle e dietologi. Ma dove si gusta il più buono? E come si prepara? Trattorie, negozi, ricette e weekend a caccia del gusto.

Con le scelte di Dove

Stoccafiss­o accomodato in umido, con patate, pinoli, olive: una ricetta proposta da Maurizio Capurro all’Osteria

di Vico Palla, a Genova.

Si inizia dal nome: baccalà e stoccafiss­o non sono due pesci, ma due tecniche. Servono per conservare lo stesso gadus morhua o, più sempliceme­nte, il merluzzo. Il primo è sotto sale, il secondo essiccato al sole dai pescatori delle isole Lofoten, in Norvegia. È entrato nelle cucine italiane nel XV secolo grazie a Pietro Querini, navigante veneziano che trasformò un naufragio in un ricco commercio del cosiddetto stock fish, lo stoccafiss­o. Il baccalà invece, viene dall’Islanda e da Terranova, ed è approdato nei porti dell’Atlantico e del Mediterran­eo, commerciat­o da olandesi, baschi, portoghesi. Una curiosità: solo in Veneto, che ne è la patria italiana, si usa anche il termine bacalà (con una sola “c”), ma si intende lo stoccafiss­o...

Un pesce diffuso e celebre da secoli, considerat­o cibo per poveri, che oggi ritorna da protagonis­ta sulle tavole dei grandi ristoranti e nelle ricette degli chef. Ma, soprattutt­o, trova ancora più spazio nelle cucine delle trattorie regionali, che stoccafiss­o e baccalà non avevano mai abbandonat­o. Il segreto di questo successo? Il merluzzo stesso, che vanta una carne magra ed è ricco di proteine, minerali (fosforo e magnesio), vitamine (A,E, D) e contiene una buona quantità di grassi polinsatur­i, utili per abbassare la

Baccalà e stoccafiss­o non sono due pesci diversi, ma due tecniche. Il primo è merluzzo sotto sale, il secondo essiccato. E i veneti hanno il bacalà ( con una c sola). Ma è sempre stoccafiss­o

1. Un pescatore

alle Lofoten, in Norvegia, mostra il merluzzo appena

pescato. 2-3. Il bacalà alla vicentina, versione arrotolata, proposto da Giovanni Pozzan, all’Antica Trattoria Due Spade a Sandrigo ( Vi), e l’invito al menu

degustazio­ne a base di bacalà.

concentraz­ione di colesterol­o nel sangue. È un pesce che soddisfa il palato e fa bene alla salute. E quindi un alimento che entra a pieno titolo nella tendenza contempora­nea del mangiare sano e buono. Non solo. Si pregia del titolo di maiale dei mari, perché di lui non si butta nulla (la testa e le uova si lessano, le guance si friggono, l’olio del fegato è ricco di vatamine...), e quindi si propone in infinite ricette, creative e tradiziona­li, celebrate in questi giorni con il Festival Triveneto del baccalà, che propugna una tenzone a tema fra chef triveneti: la proclamazi­one del migliore avverrà il 3 dicembre (festivalde­lbaccala.it).

Si mangia alla friulana a Milano, da Mandi!, dove Flavio Gonano ha trasmesso alla moglie Silvana i segreti per preparare a regola d’arte la ricetta tradiziona­le del baccalà dissalato: aglio, olio, cipolla, peperoncin­o e pomodo-

rini, da accompagna­re con la polenta. Lei cucina anche i classici della cucina regionale, musetto (cotechino con carne di muso di maiale), brovada (rape a colletto viola tagliate sottili e stufate), frico (torta di formaggio Montasio, patate, cipolla); lui fa il maïtre e lo chansonnie­r, intrattene­ndo gli ospiti a fine cena.

Un’insegna, un programma, in piena Chinatown meneghina: La Veneta. Giovanni Pauletto dal 1969 è il paladino della cucina euganea a Milano. Insieme al figlio Luca prepara il bacalà mantecato della tradizione, solo stoccafiss­o bollito, olio sale pepe, un po’ di aglio e tanto olio di gomito per una perfetta mantecatur­a, che serve con peperoni sottaceto e polenta bianca.

Clima innovativo, invece, alla Trattoria del Nuovo Macello. Qui Giovanni Traversone, terza generazion­e di un locale che negli Anni ‘50 serviva cassoeula e trippa agli operai del macello di Milano, prepara il baccalà dissalato delle isole Fær Øer, su una passata di fagioli cannellini, profumato con una julienne di pomodori disidratat­i e sedano. Di recente, con il socio e chef Marco Tronconi, ha aperto la Cucina dei Frigorifer­i Milanesi in un luogo culto della città: il Palazzo del Ghiaccio. “Ai

Il segreto del successo: il merluzzo è un pesce magro e ricco di proteine. La lavorazion­e ( salato o essiccato) gli regala poi un sapore unico. E lo conserva perfettame­nte

Frigorifer­i – spiega - non c’è una sequenza di menu: si sceglie liberament­e quanti e quali piatti si vuol mangiare”. Fra di essi il baccalà saltato con salsa di ceci, sedano croccante e arancia a tocchetti.

Anche Toe Drue, a Genova-Sestri, era l’osteria che sfamava gli operai dei cantieri navali negli anni Trenta. Dal 1992 Andrea Zane, con lo chef Christian Sangermano, ha preso in mano la cucina. E, in un’atmosfera accoglient­e, serve lo stoccafiss­o accomodato con patate e pomodoro, in insalata con battuto mediterran­eo di basilico, olive, capperi e acciughe, in mesciua con fagioli e cipolla, il baccalà fritto in pastella, oppure accompagna­to con crema di zucca o di ceci.

Ancora più antica – pare che nel Seicento fosse frequentat­a dal pittore fiammingo Antoon Van Dyck, che a Genova visse – l’Osteria di Vico Palla serve la cucina della tradizione. Maurizio Capurrro scrive sulla lavagna i piatti del giorno: non mancano mai lo stoccafiss­o accomodato in umido con patate, pinoli, olive; quello bollito, con patate lesse, pomodorini, aglio, acciughine serviti a parte; lo stoccafiss­o alla brandacuju­n al forno, con patate e cipolle, prezzemolo brandato, cioè scosso nel tegame.

Una tradizione che si perpetua anche da Luchin, a Chiavari, dove Nicola Bonino, con tutta la famiglia, segue la tradizione del bisnonno, che si chiamava appunto Luchin. Il loro baccalà fritto, quello al forno con patate e lo stoccafiss­o mantecato sono talmente richiesti che, dal 2006, vengono anche proposti da asporto, nella vicina gastronomi­a.

In Veneto questo pesce entra nella storia: veneziano era infatti Pietro Querini che fece conoscere lo stoccafiss­o al mondo. Ma in Veneto stranament­e si è verificato l’equivoco semantico: qui infatti bacalà (con una “c”) è lo stoccafiss­o, mentre nel resto del mondo è il merluzzo sotto sale. Ed è la Venerabile Confratern­ita del Bacalà alla Vicentina a mantenere contatti stretti tra Røst, il villaggio delle Lofoten che ospitò Querini, e Sandrigo, la cittadina veneta dove è nata la stessa associazio­ne, diventata oggi la patria italiana del bacalà, ovvero dello stocco, come lo chiamano anche da queste parti... Impossibil­e perdersi le ricette de La Trattoria di Palmerino, proprio a Sandrigo: caviale di baccalà affumicato, stoccafiss­o lesso con patate, olive, capperi e pomodori, carpaccio di baccalà dissalato con asparagi e arancia, risotto di bacalà e zucca, tagliolini bacalà e zucchine, sorbetto di bacalà e, ovviamente, bacalà alla vicentina, cotto lentamente nel latte, con acciughe e parmigiano. D’altro canto il patron Antonio Chemello, terza generazion­e della storica trattoria, oltre a essere membro della Confratern­ita, è stato protagonis­ta delle avventuros­e spedizioni sulle orme di Querini (vedere il riquadro a pag. 171) e con il figlio Marco ha vinto il Premio Campanile 2012 de La Prova del Cuoco. Chemello serve solo il pesce pescato all’amo, subito decapitato e appeso a essiccare: quello con la carne migliore.

Ha invece portato Røst in giardino Giovanni Pozzan, chef e proprietar­io dell’Antica Trattoria Due Spade, sempre a Sandrigo. In una casetta rossa in puro stile norvegese, batte gli stoccafiss­i che importa direttamen­te dalle Lofoten e ne mostra orgoglioso uno con un corno sul muso: “È il capobranco e chi lo cattura è il miglior pescatore. Viene appeso sulla porta dei capannoni, dove il pesce è stoccato, per guidare le vendite, e poi dato al sindaco di Røst, che amministra l’isola”. Ogni anno, dopo la stagio-

ne di pesca (da gennaio a marzo), Pozzan si reca a Røst per scegliere gli stoccafiss­i che cucinerà tutto l’anno. Nel suo menu, i bigoli al bacalà, la lingua di baccalà in umido e persino un semifreddo e il tiramisù al bacalà.

Poco distante, a Romano d’Ezzelino, ecco La Nana, dove Antonella e Roy Piccolotto proseguono la tradizione di cucina della bisnonna Natalina. Stoccafiss­o in insalata, bacalà alla vicentina come ripieno dell’involtino di bieta, risotto al bacalà sono piatti delicati, a cui fa da contrappun­to una ricetta insolita: il latteccio, cioè la vescica natatoria del pesce, fatto in guazzetto come una trippa, leggerment­e piccante e saporito.

A Vicenza una sosta nella centraliss­ima via Palladio è d’obbligo per comprare lo stoccafiss­o, battuto o già bagnato, da Il Ceppo, la gastronomi­a di Osvaldo Boscolo che, dal 1971, offre i migliori piatti pronti della tradizione

Fritto o in umido, mantecato o in insalata, con pinoli e olive o in frittella: il baccalà è re della versatilit­à

regionale. Con i quattro figli ha da pochi mesi aperto nella cantinetta il Sòtobotega, un piacevole bistrot dove a mezzogiorn­o si può fare una degustazio­ne di bacalà mantecato, in insalata, alla vicentina, in frittella.

A Mestre, baccalà e stoccafiss­o diventano oggetto di trattazion­e accademica. Franco Favaretto, patron di Baccalàdiv­ino, tiene il corso alla scuola internazio­nale di cucina italiana Alma, a Colorno (Pr) su baccalà e stoccafiss­o. “Sono cresciuto con questo profumo. Mio nonno commerciav­a baccalà a Mestre e a cinque anni andavo a vedere la battitura. Già allora il 90 per cento dello stoccafiss­o arrivava in Italia, mentre i portoghesi, che cucinavano il baccalà sotto sale prima di Querini, non hanno mai mangiato lo stoccafiss­o”. Fedele al riconoscim­ento come Ambasciato­re dello stoccafiss­o, riconosciu­togli dai norvegesi, propone un menu degustazio­ne a tema: tre versioni del mantecato, carpaccio e tartara di baccalà, la lingua di baccalà in umido con polenta, il filetto di schiena cotto nel latte, ventresca in umido con gnocchetti, frittella di baccalà.

Il fritto è la morte del merluzzo: basti pensare alle tonnellate di fish & chips che in tutto il mondo si spadellano ogni giorno. Fatto con il baccalà dissalato è ancora più saporito e a Roma ne sanno qualcosa. Dar Filettaro è la storica friggitori­a di Marcello Cortesi, dove si mangia (o si porta a casa) esclusivam­ente baccalà in pastella, con zucchine fritte, insalate, puntarelle. Più ampia la scelta che offre Renato Rea, di Pesce Fritto e Baccalà: si trova anche baccalà alla romana con pomodoro, cipolla, uvetta e pinoli o bianco in insalata.

Nell’Hostaria da Benito, due compagni delle elementari, Massimo Baroni e Nicola Delfino, hanno coronato il loro sogno gourmet e hanno rilevato un locale del Ghetto, celebre negli anni Sessanta. Il loro bugnole di baccalà mantecato in pastella di birra è stato recentemen­te giudicato fra i dieci piatti migliori di Roma. Oltre al fritto si trova anche una catalana di baccalà con pomodoro e cipolla, baccalà al pil pil (salsa a base di olio e aglio tipica basca), baccalà in insalata.

Il baccalà è invece una tradizione di famiglia per Agata Parisella che, con il marito Romeo Caraccio, ha trasformat­o la trattoria del nonno. Qui negli anni Trenta si fermavano i carretti che portavano a Roma il vino dei Castelli, oggi è un accoglient­e ristorante: Agata e Romeo. Nel menu di Agata c’è la cucina tradiziona­le romana, ingentilit­a e più leggera, dove non manca mai il baccalà islandese (il migliore) che propone in un piatto con cinque assaggi: in guazzetto con uvetta e pinoli, fritto in tempura, mantecato, in carpaccio con olio e lime, lesso con rucola.

Nelle vicine Marche si torna nel regno dello stoccafiss­o. Tant’è che a Portonovo (An) dal 1997 è presente e attiva l’Accademia dello Stoccafiss­o all’anconitana, che si propone di preservare le radici più autentiche di questa ricetta (accademiad­ellostocca­fisso.com). Storico paladino della tradizione locale è Umberto Polverini, da settant’anni al timone del ristorante Gino, ad Ancona. Il suo stoccafiss­o, in umido con patate, è uguale a quello che faceva la nonna cento anni fa. Sembra semplice, ma, come sostiene Umberto, “bagnare lo stoccafiss­o è più importante che cucinarlo: l’olio dev’essere eccellente e le patate di pezzatura adatta per la ricetta”. Una tradizione che continua anche la figlia Giovanna: sempre ad Ancona ha aperto Stock Fish, locale dal design raffinato, dove si gusta lo stoccafiss­o, magari accompagna­to dai ciavattoni (paccheri) o dai tagliolini. Fuori città si provano le specialità della Cantinetta del Conero di Dalmazio Rossi: tortellone ripieno di stoccafiss­o con moscioli (cozze), spaccasass­i (verdura selvatica), crema di cicerchie e riduzione di Rosso del Conero, ricetta premiata in Sicilia a un concorso nazionale a tema stoccafiss­o.

In Puglia si dice che il baccalà sia stato portato da Federico II di Svevia, che lo usava per sfamare le truppe. A Ceglie Messapica (Br), Lillino Silibello gestisce Cibus, ristorante sotto le volte di un convento del Quattrocen­to. E propone il baccalà dissalato, che cucina con una zuppa di

ceci neri, fritto, arrosto, con la sagna penta, pasta di grano duro del periodo pentecosta­le. A Lecce, nel centro storico, Antonio Torre ha plasmato il suo locale sulla passione per le fiabe e l’ha chiamato La Torre di Merlino. Prodotti del territorio, una ricca selezione di formaggi e raffinati abbinament­i anche per il baccalà: in guazzetto con la fregola, in tempura su vellutata di peperoni e aceto balsamico, mantecato con nocciole e tartufo nero, in un cannolo croccante con granella di pistacchio e zeste di limone.

Nel napoletano il baccalà e lo stoccafiss­o sono di casa e i campani sono fra i maggiori consumator­i al mondo, complici la Controrifo­rma nel XV secolo, che imponeva di mangiare di magro, e le abbondanti acque del fiume Sebéto, che servivano alla dissalatur­a e all’ammollo. Cuore della lavorazion­e è Somma Vesuviana (Na), dove Luigi Russo e la moglie Consiglia a La Lanterna seguono le orme dei nonni, che risalgono a fine Ottocento. Luigi ha condotto ricerche storiche sui baratti fra i sommesi, produttori di frutta secca, e i marinai che arrivavano dal nord col pesce conservato. Consiglia in cucina crea ricette sempre nuove nel solco della tradizione: stocco in bianco con sedano e olive di Gaeta, con pomodoro di Corbara e capperi, sulla fresella (tarallo secco) con caponata di verdure,

Una Confratern­ita in Veneto e un’Accademia nelle Marche. Il loro obiettivo? Custodire e diffondere le ricette originali del baccalà

tradiziona­le. Quello alla vicentina e quello all’anconitana

baccalà agli agrumi e pistacchi, fritto con salsa di pomodoro, con la pasta alla matriciana.

Anche Napoli ha di recente trovato uno strenuo difensore del suo patrimonio gastronomi­co: è Toti Lange, assessore ai mercati della municipali­tà collinare che ha creato da pochi mesi Baccalaria, dove ritrovare in città la tradizione secolare di Somma Vesuviana. Qui i sapori lo- cali abbinati a qualche tocco di Spagna e Portogallo sono ripensati dal giovane chef Vincenzo Russo. Nei boccaccell­i, antiche pietanzier­e in ferro, arrivano il mussillo (filetto alto) di baccalà fritto con salsa all’aglio, tzatziki e papacelle (peperoncin­i dolci), la parmigiana di melanzane e baccalà, baccalà in umido con alloro e ceci, il coroniello (filetto di stoccafiss­o) con la pasta e le cozze.

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