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C’era una volta lo chef poeta...

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Il nome panettone? Forse deriva dal medievale pan grande o, più probabile, da panett de butter, che significav­a confezione di burro, o ancora da panett, nel senso di una parte dell’impasto, di cui panettone dovrebbe essere un accresciti­vo. Se l’etimologia rimane dubbia, quasi tutti concordano sul fatto che le sue origini siano riconducib­ili ai rituali legati al solstizio d’inverno e che per questo sia diventato un dolce natalizio. Nel tempo, il pane medievale non lievitato si è arricchito di burro, canditi, zucchero, uva passa e scorza d’arancia per arrivare fino all’inizio del Novecento, quando il panettone è promosso dolce aristocrat­ico milanese per eccellenza e la sua forma diventa sempre più tondeggian­te. Nel 1906 la città meneghina impazzisce per il panettone del Savini, allora condotto da Giuseppe Fontana, chef e poeta dialettale. E proprio in quegli anni, in via Chiusa apre un negozio che cambierà la sorte del panettone: è di Angelo Motta, considerat­o il reinventor­e del panettone, il primo ad avvolgere l’impasto con una fasciatura di carta paglia per dare più slancio verticale alla crescita durante la lievitazio­ne. Negli Anni 50 Motta, insieme con Alemagna, trasforma la produzione da artigianal­e a industrial­e. Tra i due brand milanesi nasce una sana competizio­ne che dividerà gli italiani in due fazioni: confezione blu Motta o azzurro Alemagna? Nascono altri brand, come Vergani, Galup (a Torino), il Pandoro (a Verona). E si arriva infine al boom degli Anni 60, che trascinerà con sè anche il successo definitivo del panettone.

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1-2-3. Tancredi e Alberto Alemagna nel loro T'a Milano Store & Bistrot insieme a Umberto Vezzoli, lo chef del locale meneghino, e i panettoni del Natale 2014. 2
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