Paolo Galliani
Trent’anni fa Nantes era sull’orlo del baratro. Oggi è una metropoli vivace, giovane (un abitante su tre ha meno di 25 anni), dinamica. Segreti di un miracolo riuscito
A Nantes scopro che in un vecchio biscottificio lungo la Loira qualcuno ha pensato bene di deporre 10mila oggetti per farne un “granaio del secolo”. Un luogo della memoria da tenere sbarrato per 100 anni e da consegnare ai posteri, insieme a peluche, foto di Michael Jordan, lettere d’amore, ricette, kit per depilarsi e tanti altri reperti. Io non ci sarò più nel 2100. Ma Nantes mi ha allungato la vita.
Una buona abitudine che aveva contagiato le famiglie di Nantes: prima o poi, ai piedi dell’azienda Lefèvre-Utile ci andavano tutti, papà, mamme e figli, per inalare il profumo dei famosi Petits Beurre appena sfornati e che in Francia deliziavano la colazione di intere generazioni. Un giorno arrivò l’amaro annuncio: “Il biscottificio chiude per trasferirsi altrove”. A molti sembrò un oltraggio ai ricordi infantili di chi era cresciuto con quelle buone cialde tonde e calde. Tant’è. È rimasto l’acronimo LU. E una quindicina d’anni fa, qualcuno ha avuto anche l’idea di trasformare la storica fabbrica dolciaria in un Lieu Unique, luogo unico nel titolo e nella sostanza: un’improbabile fucina dell’immaginario dove ospitare concerti, mostre, poi una libreria, una brasserie, un hammam. Geniale: poesie e idee al posto di farine e calorie. Progetto forse azzardato: difficile dare un’anima alle putrelle metalliche, a capannoni industriali, a macabre volte di ferro e cemento. Jean Blaise, occhi piccoli e grandi idee, sorride. L’agitatore culturale che a Parigi aveva inventato la Notte bianca, scatenando l’invidia delle altre capitali europee, guarda la sua città d’adozione dalla finestra dell’ufficio e risolve l’arcano sfoderando un aforisma: “Se una città non si sente bella, cerca almeno di essere intelligente. Benvenuto a Nantes”.
Già, Nantes. A vederla nei primi anni Novanta aveva l’umore pessimo degli ipocondriaci, con il distretto portuale dell’Île de Nantes che sembrava una bocca sden- tata. La chiusura dei cantieri navali era stata uno choc: come togliere la familiarità con l’oceano a un città che aveva costruito la sua fortuna sul commercio via mare? Poi era arrivato l’architetto Alexandre Chemetoff a sostenere che era il momento di recuperare hangar e moli dell’Île de Nantes, la tozza isola fluviale della Loira che aveva vissuto prima il trionfo, in seguito la decadenza dell’attività portuale. “Se ci sono edifici dismessi, meglio abituarsi a guardarli con occhi nuovi”, ripeteva. E intanto Jean Blaise aveva già diffuso il suo verbo da visionario: “L’arte non deve essere confinata nei musei. Portiamola all’esterno, trasformiamo la città in un’interminabile galleria contemporanea a cielo aperto”. Profetico: oggi qui si rigenerano edifici, si ridisegnano gli spazi e la cultura è nell’aria, nelle cose, nei gesti della gente, tornata a riconciliarsi con il suo passato e negli occhi dei visitatori, sorpresi di scoprire una città che oggi contende la vetrina a Parigi e ai castelli della Loira.
DALLA CRISI ALLA RINASCITA
“Vernice fresca, fate attenzione”, recita un cartello alle spalle del nuovo tribunale firmato da Jean Nouvel. Banale, ma a ben guardare è il paradigma di una città che gli anni Ottanta avevano condannato a un graduale declino e che una dozzina d’anni fa ha invece trovato nel recupero urbanistico dei moli e dei cantieri dismessi il pretesto perfetto per intervenire sull’intera area urba-
na: inserire opere d’arte contemporanea dove non ci si aspetta di vederle, aprire locali e ristoranti negli edifici in disuso, sfruttare l’estetica persino della ruggine, perché ha un fascino pazzesco, anche se celebra la caducità. Prima le sfilate delle marionette giganti di Royal de Luxe agli inizi degli anni Novanta, poi l’apertura del Lieu Unique, una quindicina di anni fa, e l’avvio di una serie di operazioni per animare i quartieri, migliorare l’arredo urbano, stimolare il senso di appartenenza alla collettività. Dove c’era la classe operaia sono comparsi designer e creativi; dove si costruivano navi e bastimenti sono sorti laboratori, atelier, gallerie d’arte sperimentale. I nuovi guru dell’urbanistica hanno continuato a censire terreni incolti, attracchi dimenticati, capannoni, sognando di ridare loro una speranza di recupero e trovando una città disposta a investire: sul verde, sulle energie rinnovabili, su tramvie ecologiche, sulla mobilità dolce e sulla cultura come leva per un nuovo e diverso boom economico. Con tanto di reputazione ritrovata. “La più bella del reame”, sentenziano da oltre un decennio i settimanali che stilano le classifica dei centri urbani transalpini più vivibili. Nel 2004, Time la elegge “città più piacevole d’Europa” e nel 2013 l’Express la indica come la preferita dalle giovani famiglie con figli.
Argomenti che fanno proseliti. Nantes viene scelta come “Capitale verde d’Europa 2013”, s’impone tra le agglomerazioni d’Oltralpe che fanno registrare il più alto tasso di crescita demografica, vantano bassi livelli di criminalità e attirano giovani da ogni parte del Paese (un abitante su tre ha meno di 25 anni). Nel frattempo, decine di aziende di biotecnologia, ricerca e informatica aprono le loro sedi qui. E migliaia di parigini decidono di spostare la residenza, perché la qualità della vita è garantita, nelle banlieue non si trovano casermoni, ma vigne del Muscadet a perdita d’occhio. Non c’è nulla di più gradevole di una città a misura di grandi e piccini, che non soffre di obesità, a due passi dall’oceano e a 2 ore di Tgv dalla Ville Lumière.
UNA LINEA VERDE DI 15 CHILOMETRI
Ascoltate lo spazio: era il titolo di un opuscolo invitante. Anni fa lo distribuivano gli studenti di architettura sollecitati a presentare proposte per migliorare Nantes. Ed è diventato istigazione pura all’esplorazione. Meglio di una caccia al tesoro in una città che è un’antologia del passato remoto e del futuro prossimo. Con tanto di linea verde, discreta ma ben visibile, che la attraversa come un filo di Arianna di 15 chilometri e connette monumenti ed edifici storici con una quarantina di installazioni e opere contemporanee. Non che servano pretesti. Il Castello dei Duchi di Bretagna ha trovato nell’interattività la maniera per trasformareo la sua immagine di severo monumento in quella di living-room per artisti e visita- tori. Il vicino Jardin des Plantes è un sorprendente polmone verde arricchito di opere di Land Art: panchine esagerate, pulcini giganti sdraiati sui prati e strane creazioni oniriche. Il centro storico sfoggia eleganti piazze all’italiana accanto a stradine pedonali incorniciate da caffè, terrazze, negozi ricercati. La città si è perfino riconciliata con l’ingombrante grattacielo La Tour Bretagne, che negli anni Settanta ne aveva stravolto la sobria omogeneità: oggi è uno dei siti più visitati, perché all’ultimo piano, il 32esimo, hanno aperto un locale avveniristico, Le Nid, rifugio allegorico di un uccello gigante il cui corpo diventa il banco delle ordinazioni e le uova altrettante sedie e tavoli a cui accomodarsi, tra pareti rivestire di citazioni poetiche e una balconata che regala il miglior panorama sulla città. Suggestivo.
Eppure il meglio deve ancora venire. Ed è sempre lì, sull’Île de Nantes. A cominciare dalle navate gigantesche dove François Delarozière e Pierre Orefice co-
struiscono il loro enigmatico bestiario, le ciclopiche Machines, per poi proporle tutti i giorni a una folla in attesa di qualcosa che deve succedere. E che puntualmente arriva: un gigantesco pachiderma di 48 tonnellate in legno e acciaio esce dal suo rifugio e comincia a muoversi e a barrire rumorosamente portandosi sul dorso decine di persone; un’enorme giostra dei mondi marini di 25 metri, a tre piani, dove trovano posto calamari a retropropulsione, pesci degli abissi, serpenti di mare dal bollente alito a vapore. Presto ci sarà anche un albero tentacolare (altezza 35 metri, diametro 50), con i rami sormontati da due enormi aironi. Lo spettacolo continua più in là, con i 18 anelli colorati di Daniel Buren, l’azzardato edificio Idm rivestito di lame d’acciaio, l’impressionante cubo della Fabrique, polo sperimentale per musicisti e studiosi di arte digitale. Si continua con l’Istituto di ricerca cibernetica, che sta perfezionando il celebre umanoide e robot Nao, i caffè e gli spazi espositivi ricavati nei vecchi hangar delle banane e gli atelier occupat dai giovani manager di web e start-up che hanno fatto di Nantes una sorta di Palo Alto dell’Ovest francese. E poi le passerelle pedonali, gli attracchi per le imbarcazioni da diporto e per le crociere fluviali, i tavoloni per happening di socialità e gastronomia. Sul tetto di un edificio affacciato sulla Loira, il maxibarometro al neon firmato François Morellet, dopo il tramonto, annuncia in anticipo se arriveranno nuvole, pioggia o sole. Mentre il volto di Laetitia Casta galleggia ogni sera sulle acque del canale Saint-Félix, a pochi metri dalla bella torre Art Nouveau del Lieu Unique. Adesso, tra inizio luglio e fine agosto, Voyage à Nantes di Jean Blaise