India: Ladakh, la strada verso il cielo
La Grand Trunk Road corre da Kabul a Calcutta, toccando Islamabad e Lahore, prima di entrare nel paese dei Raja. dai silenzi e dalle solitudini in quota si plana nella confusione disordinata dell’India. Amritsar, capitale del Punjab, è il centro del credo sikh, che qui si incarna nei marmi, nelle cupole a cipolla e nelle lamine dorate del Golden Temple, da visitare alla sera, quando i suoi luccicanti rifessi indorano le acque della vasca che lo circonda. dal Punjab al Kashmir si affronta la terza catena montuosa dell’itinerario, lasciando Srinagar e inerpicandosi sui passi che portano a Leh, in Ladakh. ostico da raggiungere via terra, a causa dell’altitudine e di una strada impervia, che sfda a ogni curva le capacità del motociclista più provetto, il Piccolo Tibet è nascosto come uno scrigno tra le vette dell’Himalaya. A Leh buddhisti, musulmani, hindi e cristiani fanno fronte comune per avere la meglio sulla durezza dell’ambiente. e vivono insieme pacifcamente da sempre.
dalla città, proseguendo verso nord, una strada, inizialmente asfaltata, sale rapidamente di quota per raggiungere, tra buche e rocce, i 5.602 metri del Khardung La, il passo carrozzabile più alto al mondo. La via è popolata di pastori e operai, perennemente lordi di bitume, intenti a mantenere l’arteria sgombra dalle frane. Una tela di Penelope asiatica, una lotta senza fne tra la forza devastante degli elementi e la perseverante e indefessa opera ricostruttrice dell’uomo. Una dolce asprezza dove si annida la Nubra Valley. All’improvviso compaiono le dune di sabbia di Hundar e il monastero di Diskit. Imperdibile il suo gigantesco Buddha. Proseguendo verso est la strada
diventa una vera e propria sfda: tra convogli militari, fango e talvolta ghiaccio, disegna ardite linee sui fanchi delle montagne per raggiungere il lago Pangong, 4.000 e passa metri. Si arriva così a Spangmik: più che del villaggio, ha le fattezze di uno sperduto avamposto umano nel nulla. Qui i pastori changpa si dedicano alle capre pashmina, da cui ricavano la preziosa e richiestissima lana, quando non concedono per poche rupie un giaciglio ai viandanti motorizzati. e qui l’universo dello spirito apre le sue porte: da non perdere i monasteri buddhisti a Lamayuru, Alchi, Thiksey.
Il brivido fnale: la Leh-Manali Highway, teatro dell’ultimo ardito spettacolo offerto dall’Himalaya. Il silenzio mistico è rotto solo dal cupo borbottio del motore, che il vento disperde rapidamente nelle vaste praterie punteggiate di yak. Scollinando per l’ennesima volta oltre i cinquemila metri la strada, malconcia, moderatamente traffcata, diventa una galleria d’arte: quadri bucolici sono appesi sui passi e lungo le valli, esposti in una pinacoteca che non ha bisogno di pareti. La discesa verso Delhi riporta lentamente in una dimensione più terrena, fatta di traffco e promiscuità, che rappresentano l’essenza stessa della contraddittoria India. L’arrivo nella capitale, tra clacson strepitanti e una sterminata marea di veicoli, a motore o a propulsione umana e animale, avviene non senza fatica, tra rivoli di sudore monsonico e aria non propriamente salubre. Il giusto commiato da una strada che è un viaggio? Non può che essere ad Agra, rendendo omaggio alla candida maestosità del Taj Mahal. Fatto ciò, non resta che chiudere i bagagli e raccogliere i tanti momenti salienti tra i ricordi più belli. Gratifcati da un’esperienza esclusiva e coinvolgente. Un sogno che forse non incarna per tutti il viaggio della vita, ma sicuramente è un viaggio che la vita dovrebbe concedere, almeno una volta.