LIPSIA
Era la città più inquinata della Germania. Oggi Lipsia, piccola, green, giovane, creativa, è un laboratorio dove si sperimenta la cosa più diffcile e sfuggente: la qualità della vita. Senza fretta
Al ritmo giusto. Era la città più inquinata della Germania. Oggi è green e creativa
C’è una città, in Germania, che ha rubato il palcoscenico e l’anima a Berlino: Lipsia. Piantata in mezzo alla Sassonia, nel cuore della vecchia DDR, a poco più di un’ora di treno dalla capitale tedesca, proprio come lei un ventennio fa è piena di appartamenti e magazzini che costano poco, di giovani artisti e designer che hanno colonizzato ex fabbriche, di studenti che affollano teatri e locali underground, di aziende made in Germany che aprono qui le loro sedi. Il nomignolo di Nuova Berlino però le sta stretto. Non ha il paesaggio urbano, verticale e drammatico, della città ricucita dopo la caduta del Muro, non ha l’aura ampollosa da capitale ritrovata e soprattutto, è morbida, rilassata, aristocratica. Il posto ideale per ritrovare un umanesimo del tempo, per riconciliarsi con i ritmi giusti della vita. Perché Lipsia è piccola (basta una bicicletta per attraversarla tutta), è creativa (non solo artisti ma stilisti, artigiani, web designer…), è giovane (l’età media è di 40 anni, e nei quartieri emergenti come Plagwitz e Südvorstadt scende a 37, quasi un record nella vecchia europa), è verde (quello che un tempo era un territorio inquinato e pieno di miniere ora è ricco di parchi e laghi). Insomma, se non fosse vietato usare luoghi comuni (ma a volte ci stanno), si potrebbe dire che è una città a misura d’uomo.
Ma, come Berlino, Lipsia è una metropoli rinata. Prima della Seconda guerra mondiale aveva 700 mila abitanti, nel periodo della ddR ne contava 500 mila e, dopo la caduta del Muro, oltre centomila persone la lasciarono e presero la via dell’Ovest alla ricerca di lavoro e di una vita migliore. Nei primi anni Novanta era una città fantasma, con centinaia di edifci vuoti e interi quartieri abbandonati come il distretto industriale di Plagwitz (allora inquinatissimo), che fece dire all’architetto capo della città “È irresponsabile che ci sia gente che ancora ci abita”. Si pensò di raderlo al suolo e invece è proprio da Plagwitz che è partita la rinascita. Simbolo del rinnovamento è la Spinnerei (Leipziger Baumwollspinnerei), gigantesca ex flanda (era la più grande d’europa). “Non si sapeva che farne di uno spazio del genere, sarebbe stato perfetto per loft di lusso, ma a Plagwitz c’erano troppi edifci vuoti e nemmeno le banche se la sentivano di investire qui” racconta Michael Ludwig, del centro visitatori dell’ex cotonifcio. Questi immensi capannoni di mattoni rosso sangue, con le loro grandi vetrate attirarono un artista tedesco, il pittore Neo Rauch, alla ricerca di uno studio a basso costo. dopo di lui arrivarono i suoi compagni del movimento della Neue Leipziger Schule e altri artisti, poi la prima galleria, la Eigen+Art di Gerd Harry Lybke.
Nella ex filaNda atelier, musei, locali
oggi la Spinnerai conta 120 atelier d’arte, undici gallerie, laboratori, residenze per giovani artisti di tutto il mondo, un’area no-proft per produzioni artistiche d’ogni tipo e una lunga lista d’attesa per affttare uno spazio (che non è certo ridotto: occupa 90 mila metri quadrati). e non basta. Ci sono anche un bar, il Cafè Versorgung, un cinema (il Luru), un piccolo museo che raccoglie memorabilia del cotonifcio e negozi di design, moda, artigianato. Come il Salon 21_Spinnerei dove Angela Wandelt e Heike Müller realizzano abiti e cappelli dal design originale. o il Porzellanatelier di Claudia Biehne, che crea lampade, sculture e oggetti d’arredo lavorando la porcellana come se fosse carta o stoffa. “Ho cominciato qui, undici anni fa” racconta Claudia “e ho visto la Spinnerei crescere e cambiare. C’è qualcosa di esotico in questo luogo che mette insieme galleristi grandi e piccoli, artisti per mestiere o per hobby, gente che viene da ogni angolo del mondo o che è nata qui come me. Mi piace molto Berlino, lì c’è tutto, ma per lavorare ho bisogno di Lipsia, dove non devo correre continuamente da un luogo all’altro e ho tempo per inseguire le mie idee”.
Alla Spinnerai si può anche passare la notte: le
“Se Lipsia fosse un quadro sarebbe una tela a tratti colorata e a tratti grigia, un affresco storico e incompiuto perché c’è sempre qualcosa di nuovo da aggiungere”. Riassume così la sua città titus schade, classe 1984, pittore allievo di neo rauch che lavora alla spinnerai ed espone alla galleria eigen+art. “È una città piccola, ma con una storia importante, una grande tradizione culturale, una nota scuola d’arte. Insomma, è perfetta per un artista. Non c’è la confusione di Berlino e ci sono posti unici come la Spinnerai dove puoi trovare tutto quel che serve: studio, materiali, galleristi e altri artisti”. A chi vuole scoprirla consiglierebbe una passeggiata in centro per farsi un’idea del passato e una gita ai parchi e ai laghi alle porte della città come i Leipziger neuseenland perché “è difficile credere che questa, un tempo, fosse la città più inquinata della Germania”. D’obbligo poi un giro nei quartieri occidentali “un vero concentrato di locali interessanti come il reinhard tempel, in Merseburger Str. 46 a Plagwitz”. Meisterzimmer sono quattro appartamenti nel cuore dell’ex fabbrica dallo stile un po’ austero con sofftti alti, grandi fnestre, quadri e graffti alle pareti, arredi vintage e di recupero, wi-f gratuito e bici a noleggio. si dorme circondati dall’arte anche alla Galerie für Zeitgenössische Kunst (GfZK, Galleria d’Arte Contemporanea), che espone opere realizzate dopo il 1945. La galleria ospita due camere d’artista. La prima, Paris Syndrom, del cinese Jun Yang, è un’ironica rappresentazione della sindrome che colpisce i giapponesi in visita alla capitale francese: l’incapacità di conciliare la Parigi del loro immaginario con quella reale. La seconda, frmata dall’americana Christine Hill, Volksboutique Hotel, è un divertente apologo del fai da te: tappezzeria, pa- vimenti, bagno, mobili sono creati con un mix di pezzi differenti, un campionario (con tanto di marchio di fabbrica e prezzo) di materiali da costruzione e d’arredo. Griffato anche il bar della GfZK, che viene completamente rifatto ogni due anni; la versione attuale (è del 2014), il Cafè Bau Bau, è opera di Céline Condorelli.
Biergarten e case Di moDa
A Plagwitz gli stabilimenti industriali dismessi riconvertiti in fucine d’arte sono molti. L’ex fabbrica di carta da parati Tapetenwerk: oggi ospita atelier di artisti, designer e architetti. “È un’impresa privata che vive grazie agli introiti degli afftti, non si regge su fnanziamenti istituzionali o donazioni” spiega la proprietaria Jana Reichenbach-Behnisch. “Per questo non abbiamo fatto grandi interventi di ristrutturazione e, ora, siamo autosuffcienti. riusciamo anche a mantenere bassi i prezzi: qui sono la metà di quelli medi”. Un posto perfetto per i giovani artisti. “Qui posso permettermi uno studio grande e luminoso e ho tutto quello che mi serve: visibilità, spazi per esporre, eventi e altri artisti con i quali scambiare idee o prendere semplicemente un caffè” racconta la pittrice Hjördis Baacke. La vicina Westwerk è più poliedrica: qui convivono atelier, laboratori artigianali, una casa di moda, una libreria di seconda mano, un affollato pub e un biergarten. L’anno scorso la designer francese Catherine Chalk ha aperto qui un piccolo opifcio tessile: “Creiamo circa 300 tipi di tessuti che poi
1. Lipsia è piccola:
basta una bici per girarla tutta
senza fatica. 2. dr. seltsam, caffè, birreria, officina e bike store (seltsamleipzig.com). 3. goldstein interieur, fabbrica
laboratorio di mobili di recupero
(goldsteininterieur.com). È stata ricavata da un vecchio
magazzino abbandonato. vendiamo a stilisti o agli interior designer”. dall’altro lato del cortile arrivano le note di un clarinetto e di una fsarmonica: sono i Klezmer Muskelkater, un gruppetto di musicisti che vengono dai quattro angoli del mondo (Italia, repubblica Ceca, Germania, Iran) uniti dalla passione per le melodie ebraiche dell’europa orientale che hanno al Westwerk il loro studio. Un paio di strade più in là c’è Chinabrennen, uno dei ristoranti più amati del momento: il proprietario, Thomas Wrobel, ha importato dalla regione cinese dello Sichuan una serie di ricette che ripropone, in versione rivisitata, in questo grande locale ricavato da un’ex fonderia.
Più a nord, appena dopo il canale che divide il centro da Plagwitz, c’è un luogo che, da solo, racconta un pezzo importante della storia di Lipsia, il Museum für druckkunst: un centinaio di macchine, tutte funzionanti, che ripercorrono la storia della carta stampata (a Lipsia sembra sia stato pubblicato, nel 1640, il primo quotidiano al mondo). “Un museo che è anche una sorta di laboratorio: organizziamo corsi di incisione e di litografa per i visitatori” dice la direttrice Susanne Richter “ma soprattutto cerchiamo di spiegare perché questa una volta era la Città dei libri”.
Nella sua storia Lipsia si è guadagnata molti sopran- nomi, ma quasi tutti l’hanno fraintesa. Goethe, nel Faust, la defnisce la Piccola Parigi (ma non ne ha né la grandeur né la presunzione), poi fu detta la Venezia del Nord (ha la stessa vocazione mercantile ma è lontana dal mare). d’altra parte Lipsia è molto terragna. È una città piena di buchi. Lasciati dalla guerra, dalle fabbriche dismesse, dalle miniere di carbone abbandonate. buchi riempiti ma ancora ben visibili. dove caddero le bombe ci sono bei palazzi di vetro e acciaio privi però dell’arroganza dei grattacieli. se ne stanno spalla a spalla con le vecchie case Gründerzeit, ne ricalcano mole e proporzioni, raccontano una nuova Lipsia dall’architettura minimalista mentre rispecchiano sulle loro vitree facciate i giochi barocchi e i fasti di quella vecchia. Le ex fabbriche hanno conservato la loro ossatura e quella presunzione d’essere città nella città, un tempo fucine della rivoluzione industriale, ora di quella artistica. Le statue barocche guardano compiacenti quelle in stile realismo socialista e perfno i Plattenbau (i prefabbricati della ddr) non assomigliano ai loro fratelli d’altre città: alcuni sono pieni di cortili, fregi e d’una anacronistica eleganza borghese, altri sfoggiano colori arditi (rame, oro, argento) e si circondano di parchi. dove la terra aveva crateri, lasciati aperti dopo la chiusura delle miniere, ora ci sono laghi cinti da un paesaggio bucolico.
stile guglielmino e archistar
strana architettura quella di Lipsia, dove convivono senza scosse quartieri di un’eleganza antica (il Waldstrassenviertel con le sue ville in stile guglielmino, i canali, i giardini, i locali art nuoveau) e i futuristici edifci frmati da archistar come il quartiere feristico o le nuove sedi di Bmw (progettata da Zaha Hadid) e Porsche (di von Gerkan Marg). dove il piccolo centro storico mette insieme, in armonica confusione, settecenteschi cortili dei commercianti come il barocco Barthels Hof, antichi caffè-museo ( Zum Arabischen Coffe Baum), modernissimi musei tipo quello delle Arti Figurative.
Anche gli alberghi qui mescolano epoche e gusti di-