DISCESE ARDITE E SLITTE CON GLI HUSKY
La neve ha l’aspetto di zucchero bagnato. Dura e resistente, è la palestra ideale per i neofiti dello sci largo, che a pochi passi dagli impianti di risalita si ritrovano nel wild più assoluto. Con la guida, dopo l’indispensabile test dell’ARTVA, la radiolina ricetrasmittente usata per la ricerca delle persone in caso di valanga, basta piegare a destra, a 20 metri dall’arrivo della seggiovia Vallalpe, per galleggiare sulla neve fresca. Si vola, pennellando il cristallo scintillante, morbido, ma portante, con curve larghe e leggere fino a un canyon che si insinua tra variopinte rocce calcaree - gialle, grigie, rosse –, uniche presenze in questo mare di neve vergine, percorrendo tutta la Valle dell’Alpe fino alla strada del Passo Gavia (inaccessibile, d’inverno, alle auto) e alle piste di Santa Caterina. “Sono 36 chilometri, con dislivelli alti e neve sempre bella grazie all’aria secca”, precisa Jacopo Compagnoni.
Dopo le Dolomiti, è l’Alta Valtellina a offrire il più esteso comprensorio sciistico italiano (115 chilometri di piste di discesa e 70 di fondo). Santa Caterina, Bormio, Livigno, San Colombano sono le quattro ski-area collegate via bus, accessibili con un unico skipass, a prezzi concorrenziali (40 € il giornaliero, in alta stagione; 208 € per sei giorni). Ma è Santa Caterina a sfoderare la pista più celebre, tagliata su misura per le gare di Coppa del mondo, dedicata all’atleta di casa, Deborah Compagnoni: un sentiero tra le rocce in quota, sul monte Sobretta, che si inoltra nel bosco fino al paese. Vario (due tornanti stretti, una serie di muri, la selva, la pista larga e filante), ripido (76 per cento, mille metri di dislivello), lungo (3.300 metri) e mai troppo affollato, ancora più emozionante sotto le stelle (2-16 febbraio; 2-9 marzo, 16 €, gratis con il Bormio skipass plurigiornaliero, per un minimo di sei giorni).
Nella soleggiata Valle dell’Alpe, all’arrivo dell’omonima cabinovia, la terrazza del gusto è quella del Sunny Valley Kelo Resort, rifugio a 2.700 metri. “Ho vissuto 30 anni in giro per il mondo. Poi arrivo qui e mi sembra l’Alaska; mai visto un simile corollario di montagne”, racconta Beppe Bonseri, il proprietario. Tra candidi valloni puntellati di sciatori, il resort, sotto il Sobretta e il Tresèro, guarda in lontananza il Cevedale e il Gran Zebrù. “Per costruirlo ho usato pietra locale e legno kelo, pino lappone cresciuto almeno cento anni, resistente al freddo. L’ho comprato al confine russo, l’ho trasportato fin qui, ho ingaggiato due squadre di sami per assemblarlo, a incastro. E ho puntato sulla cucina: Black Angus, formaggi delle valli, pizzoccheri e tagliolini fatti in casa, sciˆtt, i bocconcini di formaggio fritto, torte casalinghe. Il ristorante ruota intorno al gran camino per le grigliate e alla terrazza, davvero panoramica”.