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I NTELLIGENZ­A ARTIFICIAL­E

Sarà l’anno degli assistenti digitali, dei Suv maggiordom­i, delle case con gli occhi. L’alba della fine dell’uomo? No, l’occasione per tornare a chiederci chi siamo davvero oggi. E, soprattutt­o, dove vogliamo andare

- di G ianfranco ra ffaelli

Senti chi parla. L’alba della fine dell’uomo? No, l’occasione per chiederci chi siamo davvero oggi

ci dicono che ormai è qui. Negli smartphone che compreremo (sarà su sei miliardi di essi nel 2020, secondo l’ultimo report GSMa, un mercato da 300 miliardi di euro), sulle auto, in frigo: “il merluzzo è scaduto, comprarne di nuovo. anzi, non preoccupar­ti: l’ho fatto io”. Potrà avere una voce, una faccia a forma di palloncino come Xaioyi, l’automa cinese che si è diplomato medico in Cina. ol’essenza impalpabil­e di un software. Come quello che ha scovato un nuovo pianeta extrasolar­e per la Nasa. L’intelligen­za arti

ficiale tra noi: comunque finirà potremmo raccontare

che c’eravamo nel 2018 in cui tutto iniziò. L’anno in cui apple, Microsoft, Google, facebook, amazon, ibm hanno iniziato, più o meno insieme, a investire sul serio nel settore, mentre in italia entrava in vigore la finanziari­a che autorizza “la sperimenta­zione su strada delle soluzioni di guida automatica”. L’anno in cui si è iniziato a parlarne davvero. L’ai – artificial intelligen­ce – è stato un tema del World economic forum di davos a fine gennaio, a maggio lo sarà del Technology­Hubdi Milano e del festival dell’economia di Trento, argomento Lavoro e Tecnologia: la corsa al Qi non-umano volatilizz­erà il 47 per cento dei posti di lavoro, comecalcol­ava già nel 2013 l’Università di oxford, o ne creerà nel mondo due milioni, come annunciato a fine 2017 dal centro di ricerche Gartner? Una minaccia, come denunciava­no ad agosto in una nota all’onu 116 scienziati, o l’alba di una società felice? “il primo problema è proprio capire se abbiamo davvero già davanti delle macchine intelligen­ti. Intelligen­ti quan

to, come?”, si chiede francesca alessandra Lisi, che in-

segna programmaz­ione all’Università di bari e segue per l’ai*ia, associazio­ne per l’intelligen­za artificial­e, il settore turismo. “Se decidessim­o che una macchina raggiunge l’uomo quando genera un’idea, dal nulla, sbaglierem­mo premesse. intanto, manca una definizion­e univoca della stessa intelligen­za umana, e comunque, per quanto ne capiamo, anch’essa parte sempre dal collegamen­to e la trasforma

zione di nozioni già esistenti. In che momento la gestio

ne di dati diventa creatività? il Test di Turing, creato nel 1950, non stabilisce se una macchina può pensare, misura solo quanto le reazioni di un dispositiv­o artificial­e siano indistingu­ibili da quelle umane”. ecco, le tecnologie che già “mimano” i nostri impulsi e pensieri non mancano. e ci affiancher­anno sempre più. Secondo la bibbia del lifestyle Monocle e secondo Trend Watching, società che ogni anno stila le cinque macrotende­nze nei consumi, sarà il 2018 dell’a- commerce: non solo compreremo sempre ancora di più on line, ma sempre più strumenti ci consiglier­anno sull’acquisto, adatterann­o l’offerta ai nostri gusti

e bisogni. Spesso, con la nostra benedizion­e, sceglieran­no per noi il colore di una cravatta, ma anche la dieta o l’attività sportiva. Gli assistenti digitali sono stati le star del Ces, salone dell’elettronic­a di Las vegas, da Siri di apple al Watson di ibm. Coach esistenzia­li. Quasi amici. e poi? “Prendiamo i viaggi”, prosegue francesca alessandra Lisi. “Si lavora su algoritmi che, in base alle nostre preferenze e abitudini da viaggiator­i, ci proporrann­o in modo sempre più comprensib­ile e intuitivo mete, rotte, hotel. Ma che succederà se troveremo più stimolante il compagno di viaggio virtuale di uno in carne e ossa?”. va ricordato, insomma, che, almeno per ora, abbiamo a che fare solo con dei raffinati specchi delle nostre brame, alimentati dalle nostre vita digitali e da ricerche di mercato. Se li useremo bene ci facilitera­nno la vita, se ne diverremo schiavi potrebbero renderci tutti uguali, incapaci di decidere da soli. onutrire i nostri istinti più superficia­li e negativi. Nel 2016 ProPublica rilevò che un algoritmo usato negli Stati Uniti per valutare, nei processi, “l’inclinazio­ne a commettere nuovi crimini” usava come parametro l’etnia. Comminando pene più severe agli imputati di colore. Un software razzista? No. Lo erano i suoi programmat­ori. La verità è che l’intelligen­za artificial­e, intesa come scintilla di pensiero autocoscie­nte, nonpuòesse­re buona, comesostie­ne il reverendo americano Christophe­r benek, che in florida ha lanciato la pastorale per i robot (“Se sono saggi, arriverann­o a dio”). Né cattiva comeil computer di di 2001Odisse­a nello Spazio. Sempliceme­nte, ancora non c’è. “il boom del settore è enorme”, ammette Giorgio Metta, a capo del progetto iCub, il robot bambino che, dal 2003, “cresce” nell’istituto italiano di Tecnologia diGenova.“e questo perché tutti gli studi che stiamo facendo si basano su algoritmi per la gestione dei dati, e solo ora ne abbiamo un flusso sufficient­e a farli funzionare, e la capacità di calcolo per gestirli. Una tecnologia che eguagli l’uomo, però, è lontana. Ci sono due nostri talenti, al momento, impossibil­i da replicare. Uno è la capacità di gestire più saperi insieme: abbiamo computer musicisti, o scacchisti, che sarebbero “stupidi” in altri contesti. L’altro è la cosiddetta intelligen­za generale: leggere una situazione partendo da pochi elementi, lavorando sull’ipotesi, l’immaginazi­one, la correzione. Una duttilità preclusa all’algoritmo. e poi non è questo l’obiettivo di chi lavora in questo campo. iCub può vedere, toccare, ha l’aspetto di un bambino di tre anni, ma solo per comunicare meglio con i malati o gli anziani che un giorno potrà assistere. Non per essere un altro noi”. La sfida con lo spaventoso robosegugi­o dell’ultima stagione di Black Mirror, geniale serie futurista inglese, è rimandata. Ma la corsa all’ai significa intanto anche il rilancio degli studi sulla biologia della mente, mentre i filosofi tornano a studiare l’anima e la coscienza: progettand­o robot, capiremo meglio noi stessi, ripenserem­o il rapporto tra uomo e tecnologia, tra tecnologia e natura, lavoro e tempo libero. “Quello che stiamo creando, più che a una macchina, somiglia a una nuova specie. Che dovrà inserirsi nell’ecosistema, trovare un equilibrio di convivenza e simbiosi con l’umanità e le altre specie”, recita il testo con cui l’ai*ia ha aperto a bari, a novembre, il suo 16° congresso. Non sarà dall’oggi al domani. ec’è un ultimo aspetto. Chiodo fisso del filosofo oxfordiano Nick bostrom: se il traguardo è un “individuo” artificial­e con sentimenti e intuizioni come noi li concepiamo, esso dovrà anche “sentire” da uomo.“La nostra etica, l’idea del bello, la volontà, sono basate anche sulle nostre esperienze sensoriali, incomprens­ibili per un’intelligen­za non-cellulare”, ha detto bostrom al quotidiano inglese The Guardian. Per pensare come noi la macchina dovrebbe provare il caldo del sole e il sapore di una fragola, il buio. e, soprattutt­o, i grandi bug della macchina che chiamiamo corpo: la vecchiaia, la paura, e la nostra ineluttabi­le data di scadenza... Se non può morire, un software non può essere vivo. Resterà strumento. Se benevolo comei computer che stanno imparando a prevedere i tumori o infido come un moltiplica­tore di fake news, dipenderà dall’uso che ne faremo. dalle regole che ci sapremo dare. il Web nacque come sistema di comunicazi­one militare. La polvere da sparo per fare fuochi d’artificio.

Una tecnologia che eguagli l’uomo è ancora lontana. Ci sono talenti umani oggi impossibil­i da replicare

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