Riccardo Lagorio
È una terra di storie ed eccellenze, non solo gastronomiche, spesso sconosciute. Ricca di luoghi immersi nelle tradizioni rurali, dove si mescolano idiomi croati e albanesi. In questo viaggio, ecco tutto il sapore dell'autenticità
Sarà forse perché il Molise non esiste, se tutte le volte che ci vado mi sento scaraventato in un sogno? Così mi travesto un po’ da Indiana Jones, alla ricerca di tradizioni e costumi sepolti dall’oblio, e un po’ in Harry Potter, alle prese con un mondo popolato da persone… meravigliose. E tutte le volte mi sento protagonista di un’esperienza davvero magica.
ilMolise non esiste. Sono gli stessi abitanti a citare scherzosamente questo tormentone, titolo di un libro del giornalista dell’ansa enzo Luongo (Natan edizioni, 2016) dedicato agli strafalcioni geografici e all’ironia sulla più giovane regione italiana, istituita nel 1963. È un motto che potrebbe materializzarsi durante il viaggio in un luogo dove, da centinaia d’anni, sembra non accadere nulla di eclatante e dove si parlano lingue che vengono dall’altra parte dell’adriatico.
il Molise, invece, esiste, eccome: è una regione di gente ospitale e operosa, come racconta in queste pagine il viaggio di Dove. a tavola qui si gusta la genuinità che in altri luoghi è andata perduta, frutto del lavoro di allevatori e pastori che presidiano un mondo a tratti aspro e difficile; nelle contrade si scoprono gli scampoli di un artigianato prezioso e pressoché sconosciuto; nelle parole degli abitanti si coglie la fierezza di chi ama questa terra. la pampanella di san martino in pensilis
dall’antico borgo marinaro di Termoli si scorgono le colline di San Martino in Pensilis, il balcone del molise. al tramonto, dal belvedere che si apre, superata la Porta San Martino, la brezza sale dai flutti di Campomarino e lo sguardo, attraverso ulivi e vigneti, si spinge anche oltre, verso il mare pugliese. Si accendono le luci del castello; fanno loro eco quelle della città e della bottega dei fratelli Muccillo, macellai da generazioni. È matteo a decantare la sua specialità: “La pampanella è l’orgoglio di San martino in Pensilis e deriva il nome dai pampini, le foglie della vite dove si conservava la carne di maiale. La tagliamo con cura e la conciamo con aglio, sale e una miscela di peperone dolce e piccante. inforniamo in teglie per due ore ad alta temperatura e all’uscita irroriamo con aceto di vino bianco”. il risultato è una ricetta per nulla piccante, che si conserva sottovuoto per mesi.
la pasta con il fuso di montecilfone
Lungo la statale, che corre quasi parallela al fiume Biferno, pascoli e prati accompagnano il viaggio verso il lago del Liscione; poi si lascia il fondovalle verso grovigli di cipressi e di ginestre, calanchi e fazzoletti d’ulivi fino a Montecilfone, custode di un’altra prelibatezza locale: la pasta artigianale. “Si prepara in casa con il fuso e viene chiamata droqe. Sulla porta delle abitazioni le donne infilzano anche fichi secchi con le mandorle e insieme lavorano l’uncinetto: è un modo per coltivare la gjitonia, le pratiche di buon vicinato, proprie delle antiche popolazioni albanesi, arrivate su queste colline cinque secoli fa”, racconta Candida Stellato, responsabile dello sportello linguistico e culturale del comune. Se a montecilfone si parla il dialetto albanese, a Montemitro sopravvive un gruppo che si esprime in croato (idiomi diversi di popoli in fuga dalla stessa invasione ottomana dei Balcani, nel Xv secolo). memorie e tradizioni che l’associazione KroaTarantata custodisce e tramanda in musica al ritmo di saltarello, mentre la Fattoria Sociale Il Giardino dei Ciliegi, un centro culturale in una contrada agricola, lo fa attraverso stoffe tessute con telai d’epoca.
il silenzio è l’unico compagno di viaggio mentre si percorre il selciato del centro per raggiungere Selo, paese quasi a picco sul fiume Trigno. Sul fondovalle
la strada segue il fiume, entra ed esce dalle montagne, attraversa colline e boschi fino a Pescolanciano, ricco di acque e sorgenti. dai 1.359 metri del monte Totila spira un’aria, ricca di ossigeno, che muove il cielo attorno alla torre del castello pentagonale. “il mastio dominava il percorso del tratturo, la strada delle transumanze delle greggi, oggi trasformata in un bel percorso da affrontare a piedi, in tutta tranquillità. il modo migliore per conoscere la nostra regione”, racconta Giovanni Di Salvo (tratturocoast2coast.org), che, con angelo Scacco, ha aperto in paese il birrificio artigianale La Fucina.
agnone: mandorle, campane e tartufo
verso l’interno, da lontano, si percepisce il profilo di Agnone. La sera, grappoli di lumini accendono la montagna. Le chiese e le botteghe si rincorrono una dietro l’altra; i laboratori spandono il profumo dolce di mandorle confettate ricce, una specialità che prende vita da “un procedimento molto lento, unicamente con macchinari dell’ottocento e scegliendo le migliori mandorle di avola”, racconta Roberta Sabelli sul- la porta della Dolciaria Carosella, e delle “ostie, dal ripieno di miele e frutta secca”, incalza Manuela Di Lullo, del Panificio Alto Molise. dai sapori all’artigianato del rame battuto a mano per fabbricare le campane: “La Pontificia Fonderia Marinelli, attiva dal Trecento, è sempre stata a conduzione familiare. abbiamo allestito anche un museo, con una biblioteca e una videoteca, per farne un’officina di studio sull’arte campanaria nel mondo”, spiega Armando Marinelli, l’ultimo erede della dinastia.
Un altro prodotto molisano esportato ovunque è il tartufo. dopo avere camminato lungo i sentieri della Riserva della Biosfera Collemeluccio-Montedimezzo (riservamabaltomolise.it) si arriva nei boschi di cerri, carpini e noccioli di San Pietro Avellana per essere accolti da Alberto Frazzini, presidente dell’Associazione Tartufai Sanpietresi, e dal guaito del suo lagotto, antica razza di cane da riporto: “Qui si raccoglie il 40 per cento del tartufo bianco pregiato d’italia e il 60 di quello nero. a loro dedichiamo due grandi manifestazioni, in agosto e a novembre”. Chi vuole concedersi il profumo del tubero tutto l’anno, sotto forma di
Nei borghi senza tempo dell’entroterra si sono insediate,
da secoli, minoranze albanesi e croate
salse, creme, condimenti e carpacci, faccia una visita al Centro Tartufi Molise, a Castropignano. “Solo del nero lavoriamo a mano 30 tonnellate. e deteniamo il record del tartufo bianco più grande al mondo, circa un chilo e mezzo di peso, raccolto nel 2014”, spiega il titolare, Vittorio Palombo.
Per assaporare il fungo in cucina vale la pena di spingersi alle porte di Isernia, al ristorante Dora. Qui il cuoco Antonio Cozzolino propone un ottimo carpaccio di fassona molisana, con tartufo nero, e la fonduta di caciocavallo di agnone con tartufo bianco. “L’abbinamento ideale di questi due piatti è con la Tintilia, vino doc, di valerio Campi, prodotto a Monteroduni, a una decina di chilometri da qui”, suggerisce lo chef.
frosolone: coltelli artigianali e profumi
Isernia è un perfetto viaggio nel tempo che inizia 730mila anni fa presso lo scavo paleolitico a La Pineta e al Museo Nazionale di Santa Maria delle Monache, sull’antico cardo della colonia latina dal quale si diramano i caratteristici vicoletti. La città va ascoltata nel primo pomeriggio, quando dietro le porte le donne riproducono il suono delle nacchere con il ticchettio
Dai laboratori si spande il profumo dolce e inebriante di mandorle
confettate ricce, la specialità di Agnone
del lavoro dei fuselli. Fioriscono così i celebri merletti a tombolo, alcuni conservati nel Museo dei Costumi. anche lo scorrere dell’acqua della fontana Fraterna e il martellio sordo delle botteghe di pelle artigiane ne seguono il ritmo. Fuori da isernia ci si imbatte in un saliscendi di colline ricche di vegetazione spontanea, dove regna un silenzio ovattato, quasi irreale. Poi lo sguardo si allunga fino al Beneventano e alle terre dell’epopea sannita.
La vecchia strada che porta a Macchiagodena è il percorso ideale per chi ama le due ruote, ma anche per chi sceglie di muoversi a piedi. in primavera si perlu- stra il sentiero della Riserva della Lipu, lungo il Rio Secco, tra pascoli e un’immensità di farfalle. il profumo del pane cotto nei forni a legna sale fin quasi a Frosolone. il centro storico, dal selciato in pietra bianca, riporta ad altri ritmi, quelli dei forgiatori di lame. Qui vivono intere casate di coltellinai, come quella di Rocco Petrunti: “La mia famiglia produce lame e coltelli da cinque generazioni. È un mestiere che richiede molta pazienza, sia per creare le lame, sia per ricercare il corno o il legno adatto per fabbricare un tagliacarte o un coltello da prosciutto”. Un manufatto prezioso, di cui si ammirano oltre 500 pezzi nel Museo dei Fer-