un mondo di sorprese
terre vive.
Oasi naturalistiche, rifugi di artigiani,
fucine di creatività. Viaggio nelle perle dei laghi
italiani. Più dinamiche che mai
Imanuali di geografia non hanno fantasia. “Le isole – sostengono – non sono altro che terre circondate dall’acqua”. Quelle lacustri sono molto di più: abbordabili, facili da raggiungere, familiari. Mai troppo lontane da richiedere lunghe traversate e spaventare, così vicine da rassicurare. Mondi comunque a parte. Abitati da gente anch’essa speciale. Del resto, è cosa nota: gli isolani sono dei solitari. Con un sacco di amici.
Comacina
Ci si arriva in un attimo e già la parola taxiboat per raggiungerla pare un po’ enfatica. In effetti, vista da Ossuccio, l’isola lombarda è davvero uno scricciolo: sei ettari su una fiancata del Lario, a una distanza dalla riva che non deve superare i 200 metri. Eppure è sorprendente come in uno spazio così ridotto ci sia un patrimonio archeologico e storico tale da scomodare l’impegno dell’Accademia delle Arti di Brera e da giustificare l’esistenza di una Fondazione. Il nome pare un diminutivo: Comacina. E, dopo il pontile, un’infilata di sorprese: la chiesa di San Giovanni Battista con edificazioni dall’età romana al XVII secolo, i resti della millenaria basilica di Sant’Eufemia. Poi, i camminamenti dai nomi invitanti come il sentiero degli artisti eil viale del poeta, e i tanti rimandi ai Romani, ai Longobardi, alle vecchie ruggini con Como alleata al Barbarossa, perché Comacina a quei tempi stava con Milano. Giusto un anticipo.
Nel frattempo, l’isola è diventata un laboratorio sperimentale di didattica e creazione artistica, sempre grazie all’Accademia di Brera. E, periodicamente, sculture totemiche e installazioni allegoriche marcano il territorio senza mai violentarlo. Come un paio d’anni fa, quando sull’isoletta si notavano le lucciole di Wang Zhong Sheng che si accendevano all’imbrunire e le sfere galleggianti, ideate dalla giovane Giada Ambiveri, che s’illuminavano di notte. E così capita che l’escursione si accompagni alla possibilità di incontrare gli artisti che anche in questo scorcio d’anno stanno occupando le tre “residenze” in stile razionalista realizzate negli anni Tren-
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ta su progetto dell’architetto razionalista Pietro Lingeri: la pittrice italiana Roberta Montaruli, i belgi Elise Peroi e Klaas Verplancke. In questo settembre promettente, c’è pure un nuovo percorso artistico e fotografico en plein air di Segreta Isola. Tema allusivo: Cogli l’attimo.
Monte Isola
Il Lago d’Iseo ,o Sebino, non è decisamente un oceano. E tre minuti scarsi di traghetto non fanno certo una crociera. Ma l’impatto è imperioso. Un enorme panettone che tutti si premurano di presentare come “la più grande isola abitata dei laghi europei”. L’animazione delle giornate di fine estate attorno al molo di Peschiera Maraglio. E il viavai di un traffico che non conosce l’oltraggio delle vetture: tollera solo bici e motorini e affida a un minibus il compito di percorrere la strada ad aureola che tiene insieme frazioni e località. Il benvenuto a Monte Isola è esplicito. Anche nelle gigantografie che di fronte all’imbarcadero ricordano l’emozione del 2016, quando The Floating Piers, la passerella del guru della land art, Christo, aveva spinto oltre un milione e 200 mila persone a camminare letteralmente sull’acqua per incontrare 1.800 isolani e il loro mondo. Passati due anni, la visibilità mediatica non si è portata via l’anima della grande isola. Dove peraltro l’orientamento è l’ultimo dei problemi.
Si comincia col compiere il periplo che in sella a una bici prende due ore. Ci si attarda a Carzano, dove alcune donne confezionano fiori di carta, eredità del passato, quando possedere quelli veri era un lusso. E si finisce per affrontare sentieri e mulattiere che portano al punto più alto (599 m) e al santuario della Madonna della Ceriola, riferimento devozionale e mentale degli isolani, per poi ridiscendere e cercare i segni di attività che il tempo non ha banalizzato: la pesca e la lavorazione di reti ormai solo in piccola parte artigianale, l’essicazione delle sardine che penzolano su archetti per catturare il sole pallido dell’inverno; la produzione del salame tipico, tagliato a mano nelle cantine riscaldate con bracieri o aperte ai venti di traverso. Illuminante. Come la storia di Maurizio Ribola, capace di fare rinascere la produzione di olio extravergine del nonno e di allestire un piccolo oliveto dove ognuna delle piante – una quarantina – è abbinata a una poesia. O come l’incontro con Rosarita Colosio, ex insegnante e autrice di deliziosi libri su questo paradiso lacustre, “da cui è difficile andarsene, perché qualcosa ci trattiene”. Enigmi, misteri e proverbi abbondano. Ma a spiegare tutto c’è sempre lei, Rosarita. Come Alice, sull’isola delle meraviglie.
Isola dei Pescatori
La luce giusta. La cercava Giuseppe Tornatore durante alcune riprese del film La corrispondenza (2016). La cercano anche i mattinieri che si alzano all’alba per arrivare all’isola dei Pescatori, sul lago Maggiore, quando l’assalto dei turisti deve ancora iniziare e ad assediare la più autentica delle Borromee sono solo barche e battellini colmi di tutto ciò che serve: acqua e vino, verdura, carne, frutta. È la vita ordinaria il vero spettacolo di questa piccola striscia di terra piemontese, al largo di Stresa e Baveno, dove vivono stabilmente una ventina di persone e dove, il 7 e 8 ottobre, si terrà la prima edizione di Gente di lago e di fiume, due giorni di enogastronomia con street food (anche di chef stellati), musica, laboratori per promuovere e tutelare il patrimonio delle acque dolci (lagentedilago.com).
La luce, certo. Ma anche il buio. “Ci sono giovani che giocano a pallone alle tre di notte: fatelo in città, se avete coraggio”, commenta Stefano Ruffoni, che con il fratello Paolo è l’icona dell’attività ittica locale, perché in barca si esce sempre: il pomeriggio per gettare le reti e molto prima dell’alba per recuperarle, per poi portare coregoni e bondelle nella pescheria di famiglia vicino alla chiesa di San Vittore. Per i quarti di nobiltà, meglio visitare l’Isola Bella che è a fianco, sontuosa ed esagerata come ilP alazzo Borromeo che la sovrasta e i giardini terrazzati all’italiana. Merita una visita anche l’Isola Madre, forse più amata dai botanici che dai pittori. E per una visione d’insieme del lago Maggiore, ma anche di Alpi e Prealpi, niente di meglio di una comoda salita, in funivia, al Sasso del Ferro (funiviedellagomaggiore.it), 1.100 metri sopra Laveno-Mombello, sponda lombarda, con tanto di ristorante e hotel panoramici.
La vera vita isolana è quella che si ammira sull’angolo più plebeo dell’arcipelago del Verbano. Piatta e allungata, due lunghe strade parallele che si percorrono solo a piedi. E un’infinità di botteghe, locande e caffè
che tendono a sparire con l’avvicinarsi dell’inverno. Per un attimo di tregua c’è sempre quella che qui chiamano “la coda”, sulla punta settentrionale, postazione perfetta per ammirare il tramonto. E per la gentilezza, c’è Margherita Racchelli, dell’hotel Verbano, camere con vista sull’Isola Bella e balconi cari ad Arturo Toscanini, che qui veniva a comporre. Sull’isola dei Pescatori, le storie sono decisamente più interessanti dei monumenti.
San Giulio
L’aforisma stampato su una targa che penzola sul bordo della Via della Basilica è esplicito: “Se arrivi ad essere ciò che sei, sei tutto”. La scritta di benvenuto davanti all’unico negozio dell’isola è anche invitante: “La mia casa è sempre aperta al sole, agli amici, agli ospiti”. E le due sole donne che risiedono sull’isola di San Giulio sono ispirate: Gabriel Griffin, gallese naufragata sul lago d’Orta una trentina d’anni fa, è scrittrice; Antonietta Villa, che vende souvenir e oggetti di artigianato, è una biblioteca vivente. Un’evidenza: la più fotogenica delle isole lacustri italiane è la più gentile, discreta e mistica. A San Giulio, in effetti, c’è anche una comunità di monache di clausura dedita alla preghiera, al ricamo e al silenzio. Nemmeno tanto piccola: nel ’75, al loro arrivo, si contavano solo cinque sorelle, oggi sono una settantina. Annuisce anche Antonio Giacomini, barcaiolo che ha portato su e giù i passeggeri da Orta all’isola per 45 anni, terza generazione di un lavoro nobile che adesso è diventata la quarta grazie al figlio Matteo. E una volta su San Giulio, l’arcano di svela: un’unica strada ad anello che molti chiamano “via del silenzio e della meditazione”, residenze private lungo il perimetro e, al centro, l’imponente monastero con la foresteria per i pellegrini e l’abbazia, gioiello del romanico. Raccoglimento, devozione e sobrietà. Aiutano ad affrontare anche i ricordi dolorosi: come quello di Antonietta per il fratello Angelo, sacerdote con la passione per il canottaggio, annegato in una maledetta giornata di vento del 2004, mentre cercava di raggiungere la riva con la sua piccola barca. Sulla scalinata della basilica, la domenica, c’è sempre una monaca che si congeda dai passanti con un sorriso: “Che Dio vi benedica”. E chi l’ascolta deve sempre decidere tra uno scaramantico “speriamo” e un più educato “grazie”.
Isola Bisentina
Da lontano può ricordare la sagoma di un felino in posizione di attacco per tenere lontano i curiosi. E in
Concerti, performance, laboratori didattici ed eventi enogastronomici. Ogni isola è un mondo di sorprese
effetti, da un po’ di tempo, la più fascinosa delle due isole del lago di Bolsena ,in Lazio, è inaccessibile. Stato di abbandono, degrado, incertezze sul futuro. E dopo tanto declino, finalmente un progetto ambizioso per salvare la Bisentina: l’intervento della Fidim, la holding della famiglia Rovati che l’anno scorso l’ha rilevata acquistandola dai suoi ultimi proprietari, i Del Drago. Passaggio provvidenziale per questa isola stupenda, di volta in volta dominio di famiglie nobili, di duchi, di ordini monacali, dello stato pontificio e con un concentrato di edifici sacri, opere architettoniche di pregio e bellezze naturalistiche senza analogie dalle parti del Bolsena e della Tuscia: la chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, il convento francescano con il chiostro, i sette oratori del XV e XVI secolo. Bella e vulnerabile. La Fondazione Rovati ha così promesso il suo “Rinascimento”. La Bisentina presto tornerà a rivivere come location per le esibizioni di musicisti e orchestrali internazionali e come residenza d’artista per pittori, scultori e poeti in cerca d’ispirazione. Non solo. Aprirà a un turismo colto ed esigente. Come era successo il marzo scorso quando il Fai, per le Giornate di Primavera, era stato autorizzato a organizzare un’escursione, che peraltro verrà riproposta tra settembre e ottobre. Sul lago di Bolsena c’è una storia a lieto fine: il brutto anatroccolo tornerà a essere un cigno!
Isola Maggiore
Se ne sono andati in tanti. Maria Pia Scarpocchi lo ricorda con malcelata nostalgia: “Negli anni Cinquanta c’erano ancora 250 abitanti”. Oggi sono molto meno i residenti stabili dell’isola Maggiore: 13, per l’esattezza. E se in questo caso non pare un numero fortunato, è comunque una conferma: lontano dall’assalto estivo e dai fine settimana, è un trionfo dell’insularità questa perla umbra che galleggia sul Trasimeno, che in bassa stagione ritrova il silenzio, riscopre il bello delle notti stellate, perché l’inquinamento luminoso è nullo e invita a percorre i sentieri calpestati otto secoli fa da san Francesco. All’arrivo, l’effetto è speciale: alberi secolari, la lunga via Guglielmi pavimentata con mattoni rossi e incorniciata da dimore in pietra e vecchie case dei pescatori, il palazzo del capitano del popolo, dai tratti gotici, e la chiesa del Buon Gesù. La sorpresa: il museo che ricostruisce la passione tutta locale per il merletto “a punto Irlanda”, arte importata dalla marchesa Elena Guglielmi all’inizio del Novecento, e che le donne del posto avevano adottato. Lo è anche Polvese, l’altra grande isola del Trasimeno, con la sua anima più naturalistica e la vocazione di quello che è ormai un parco scientifico didattico, pur
non mancando di attrazioni più materiche: i resti di un castello medievale; la chiesetta di San Giuliano, affrescata; il millenario complesso monacale di San Secondo. La stessa sostenibilità che sulla terra ferma si ritrova nell’oasi La Valle. Quasi un precetto. Sul Trasimeno c’è da mettere sempre un passo dopo l’altro. Dopotutto, l’uomo ha conquistato la luna, camminando.
Isola del Garda
È l’apostrofo del più grande dei laghi italiani. Ed è una meraviglia che la bella stagione consegna al piacere delle visite guidate. Perché l’Isola del Garda è una proprietà privata, il privilegio di una famiglia, quella dei Cavazza, che da qualche anno ha preso una buona abitudine: aprire al pubblico questo frammento lacustre che ingentilisce il golfo di San Felice, sede conventuale fino al 1789, luogo di spiritualità francescana, bene personale del conte Luigi Lechi nel 1817 e poi patrimonio del duca Gaetano De Ferrari, lo stesso che arricchì l’isola, sulla parte orientale, di un maestoso palazzo gotico veneziano ispirato dall’eclettico architetto Luigi Rovelli. Un tocco di Belle Époque in mezzo al Benaco, come viene anche chiamato il Lago di Garda, che gli attuali proprietari hanno riempito di attenzioni aristocratiche, di giardini all’italiana e all’inglese, palme delle Canarie e kaki, rose Lady Hillingdon e Banksia. E anche di un tocco di democrazia.
Un’isola che ovviamente non ama il turismo mordi e fuggi e che pone i suoi vincoli: la prenotazione della visita e la puntualità all’imbarcadero da dove parte il piccolo battello che la famiglia Cavazza si premura ogni volta di allertare. Con tanto di drink di benvenuto. E di accoglienza culturale. Anche in questo passaggio tra l’estate e l’autunno: un Concerto alla luna, il 16 settembre, e un omaggio a Strauss il 6 ottobre. L’apostrofo del Garda è diventato il suo accento.
L’isola Bisentina è stupenda, ma in abbandono. Presto tornerà a rivivere come residenza artistica