FRIULI | LA NATURA LIBERA LA MENTE
Strade liquide, isole, canneti, voli di falchi e cormorani. La laguna di Grado è la piccola Camargue italiana, meta slow dove i paesaggi mutano con le maree
Acque chete. Nella laguna di Grado, nuova meta slow, dove il paesaggio cambia con le maree
Tra le foci dell’Isonzo e quelle del Tagliamento, lungo la costa occidentale del Friuli Venezia Giulia, la terra ha nomi volubili e dà spettacolo. Si chiama barena quando se ne sta allo scoperto, verde e piatta, a filo d’acqua; velma quando appare e scompare con le maree, mota allorché s’innalza abbastanza da formare un’isola. Imbrigliata nella zona umida più settentrionale del Mediterraneo, la laguna di Grado, con quella di Marano, sua naturale prosecuzione, disegna un arco di 32 chilometri e abbraccia un intrico di canali, isole, isolotti, valli liquide e canneti di 16 mila ettari.
Un arcipelago di dune sabbiose e bacini salmastri, bagnato da un mare appena addolcito dai fiumi, avvolto da una luce tersa, nordica. Un posto dove la marea ritirandosi lascia prati di limonia (il fior di barena) e pozze ricche di piccoli crostacei e molluschi, una fastosa tavola imbandita per uccelli stanziali e di passo: aironi, folaghe, germani reali, alzavole, cormorani, falchi di palude, oche selvatiche, cigni, morette grigie. Un ecosistema unico e fragile, protetto grazie a due riserve naturali (su 13 in tutta la regione): Val Cavanata e la Riserva della foce dell’Isonzo. Quest’ultima, 2.400 ettari lungo gli ultimi dieci chilometri del fiume, è una piccola Camargue di prati umidi, canneti e secche, solcata da sentieri da percorrere a piedi e in bici. In mezzo al fiume, riserva nella riserva, la piccola isola della Cona è il paradiso dei birdwatcher: rifugio per 300 specie di volatili, oltre che per i superbi cavalli bianchi portati qui dalla Camargue, che vivono liberi nella riserva. Il centro visite organizza incontri con ornitologi, escursioni con guide naturalistiche. Una meta perfetta per weekend con i figli, soprattutto in autunno, quando si assiste alla migrazione delle oche grigie.
IL FASCINO INDOLENTE DELLA NAVIGAZIONE
Si avvistano folaghe e anatre marine anche in Val Cavanata: 327 ettari di bacini salmastri, canali di maree e barene, dove d’inverno si rifugiano più di diecimila uccelli insieme a caprioli, lepri, faine, donnole, volpi, tassi e scoiattoli. Da marzo a ottobre si può dormire in un estroso boutique hotel, Le Oche Selvatiche: sette ecosuite con ampie terrazze sulla laguna, arredi in abete antico e cuoio. Il piccolo ristorante propone ricette con ingredienti a chilometro zero. Bisogna vagabondare sull’acqua, in motonave, canoa, barca a vela o a bordo di una batèla, caratteristica imbarcazione a fondo piatto e senza chiglia condotta da un rematore in piedi a poppa, come le gondole. Solo così si può godere a pieno il paesaggio indolente della laguna che, scriveva Claudio Magris, è “quiete, rallentamento, inerzia, pigro e disteso abbandono… ore che passano senza scopo e senza meta come le nuvole”, e dove l’acqua “sommerge, feconda, irrora, cancella”. E abbraccia isole mobili, terre sospese, santuari inondati dalla nebbia e dimore di canniccio, erette a filo della marea, circondate da un fazzoletto di terra coltivato a orto e riscaldate da un rudimentale focolare: sono i casoni dove abitavano un tempo i pescatori della laguna, ora gelosamente restaurati e conservati. In uno di questi, sull’isoletta di Mota Safòn, oggi trasformato in museo dall’associazione Graisani de Palù, si rifugiava Pier Paolo Pasolini per scrivere e disegnare, quando non s’aggirava per la laguna a caccia di set per la sua
Pasolini aveva un suo rifugio segreto per scrivere, disegnare, riflettere, sull’isoletta di Mota Sàfon
Medea, con Maria Callas, in parte filmata qui, a bordo dell’ Edipo Re, barca a vela che lo scrittore condivise per anni con il pittore Giuseppe Zigaina, trasformandola in studiolo e salotto letterario. Non lontano dal casone di Pasolini, sull’isoletta di Anfora la famiglia Tognon, nel ristorante Ai Ciodi, si cimenta con antiche ricette di laguna: l’otragano, un cefalo, sotto sale; gli spaghetti al ragù di cappelunghe (cannolicchi) e il tradizionale boreto alla gradese, zuppa di pesce in bianco con tanto pepe accompagnata da polenta. Per chi vuole fermarsi la notte, sull’isola c’è un piccolo albergo diffuso ricavato dalle vecchie aule della scuola.
I giri in barca della laguna finiscono tutti nel porto canale, lungo sentiero liquido sempre affollato di pescherecci carichi di sardoni (alici), sgombri, papaline, suri, aguglie, cefali e palamiti, che s’infila fin nel cuore antico di Grado, l’isola d’oro. Sorta di Venezia ante litteram, nata qualche secolo prima della Serenissima per fungere da porto alla città romana di Aquileia, è un groviglio di calli, campielli, ponti e case di pescatori in pietra con le finestre piccole, le scalinate esterne e impervie, i ballatoi e i fugher, i caratteristici comignoli. Un posto dall’alterna fortuna: ricca nel V secolo, quando vi si rifugiarono i cittadini di Aquileia invasa dagli Unni, sede patriarcale sino al XII secolo, poi dimenticata e rilanciata nell’Ottocento, come meta termale e di villeggiatura dell’impero austroungarico. Alla fine del secolo, però, di quell’antico splendore restava poco: “Quattro case corrose, strette a ridosso di due chiese, intervallate da poche calli, da quattro campielli odoranti di pesce fresco”, così appariva agli occhi del suo più celebre poeta, Biagio Marin, che la vide rinascere ai primi del Novecento, quando si arricchì di viali alberati, ville e una passeggiata a mare. Il piccolo centro storico custodisce splendidi monumenti come la basilica di Sant’Eufemia, cattedrale paleocristiana con superbi mosaici pavimentali; il battistero, la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Tra i vicoli si nascondono trattorie come Agli Artisti (imperdibile il boreto con le seppie) e raffinate tavole, per esempio L’Androna, che ripropone i piatti della tradizione rivisitati: da provare gli gnocchetti di polenta bianca e gialla con otragano fresco o i sandwich di sardoni impanati con radicchietto e fagioli. D’obbligo, a fine pasto, un bicchierino di santonego, digestivo di assenzio marino, piantina lagunare dal gusto amaro e dal profumo agrodolce. Sempre in centro, sul porticciolo, l’hotel Hannover offre camere moderne in un palazzo storico. Dietro il porto canale, verso il mare aperto, si allungano il lidi sabbiosi di Grado (che si è aggiudicata 30 bandiere blu, record italiano), con le loro geometrie di lettini e ombrelloni; in lontananza, dall’altro lato del golfo, gli alberghi multistelle di Lignano Sabbiadoro. Se si volta loro le spalle, lo sguardo fisso alla laguna, Grado offre ancora lo stesso paesaggio antico dei versi di Marin: “Vardo in giro comosso/ el biavo fâsse d’oro/ e l’oro fâsse rosso/ púo ‘l rosso fâsse moro./ E vien la note granda/ co’ le stele in colana/ e Galassia fa girlanda/ su l’isola graesana”.