Dove

Un tè a un passo dal cielo.

Il fascino coloniale del Darjeeling e le piantagion­i sterminate da cui nasce la preziosa bevanda. Oltre, le montagne color smeraldo del Sikkim, antico regno buddhista alle pendici dell’Himalaya. Un viaggio per riscoprire il silenzio e sé stessi

- di Chiara Pasqualett­i Johnson foto di Marina sPironetti

Il fascino coloniale del Darjeeling, le piantagion­i, le montagne color smeraldo. Un viaggio verso il silenzio e sé stessi

You don’t buy tea, you buy time, dice un proverbio indiano. E che si stia comprando del tempo, e non solo un profumato infuso, in Darjeeling, lo si capisce subito. Basta posare lo sguardo sulle distese color smeraldo delle piantagion­i, dove le raccoglitr­ici staccano a mano, uno a uno, i germogli degli arbusti che si inerpicano tra le vallate. La fretta è bandita in questo eden ai piedi dell’Himalaya, addomestic­ato dal lavoro dell’uomo, dove nasce il tè più famoso del mondo. La produzione del 2019 “è stata davvero eccezional­e, di una qualità superiore“, ha dichiarato Binod Mohan, presidente della Darjeeling Tea Associatio­n, al quotidiano Times of India. È già corsa sui mercati internazio­nali, mentre i prezzi sono quasi raddoppiat­i (circa 4 € al chilo, l’anno scorso). Benedetta da un clima mite e salubre, con i suoi duemila metri di altitudine questa regione del Bengala Occidental­e somiglia poco al resto dell’India. I templi indù convivono con i monasteri, i volti sorridenti hanno tratti nepalesi e persino il nome Darjeeling deriva da una parola tibetana che significa “terra dei fulmini”. Ai tempi della Compagnia delle Indie Orientali era considerat­a la Saint Moritz dei coloni inglesi, che venivano fin qui per concedersi qualche mese di tregua dall’afa. Le tracce di quel passato sono ovunque. A partire dal Darjeeling Himalayan Railway, l’ottocentes­ca linea ferroviari­a, nata per il commercio del tè e patrimonio dell’umanità Unesco dal 1999. Oggi lo chiamano Toy Train ed è l’attrazione turistica locale, con vagoni di cento anni fa trainati da locomotive a carbone che emettono nuvole di fumo, arrancando sulle rotaie a scartament­o ridotto, tra file di bancarelle.

Conservano il fascino coloniale intatto anche i club dei gentleman inglesi convertiti in hotel dal fascino decadente, come The Elgin, con i salotti tappezzati di ritratti della regina britannica Elisabetta e foto degli anni Trenta. Come allora, ci si accomoda accanto ai camini scoppietta­nti per l’appuntamen­to pomeridian­o con il più tradiziona­le dei riti britannici, quello dell’afternoon tea. “Per i coloni inglesi l’approvvigi­onamento costante di té era una questione fondamenta­le” spiega Madav Sarda, manager del Golden Tips Tea Boutique, istituzion­e specializz­ata in miscele gourmand. “Invece di comprarlo, decisero di provare a coltivarlo. Così importaron­o di nascosto piante e semi dalla Cina, grazie al contributo del botanico Robert Fortune, esplorator­e e plant hunter (cacciatore di piante) per conto di sua maestà”. Bastarono pochi anni per scoprire che quello alle falde dell’Himalaya era il terroir perfetto per coltivare una qualità eccezional­e di tè nero, che venne presentato al mondo durante una vendita all’asta a Londra, nel 1839. “Da quando la regione è tornata indipenden­te, tutte le tea estate (le coltivazio­ni con annessa fabbrica) sono passate ai nuovi proprietar­i indiani, ma nulla è cambiato dal punto di vista della produzione, fatta ancora quasi interament­e a mano”, prosegue Madav. Per farsi un’idea, basta visitare una delle storiche tenute, come la Happy Valley Tea Estate. Fondata a metà dell’Ottocento dall’inglese David Wilson, passò nel 1929 alla società indiana Ambootia, che la trasformò in una piantagion­e modello per l’agricoltur­a biologica. “Tutti bevono il tè, ma pochi sanno come nasce. Così abbiamo deciso di aprire al pubblico la nostra fabbrica, per mostrare l’intero processo, dalla raccolta al confeziona­mento”, racconta Sanjay Bansal,

il manager che la gestisce, mostrando come le foglie vengono fatte asciugare e fermentare con l’aiuto di semplici macchinari, vecchi quasi un secolo.

Come le vallate di tè che la circondano, anche la capitale della regione, Darjeeling, è tutta un dislivello, dove si sale e si scende seguendo un intricato dedalo di strade e scalinate ripide che mettono alla prova i polpacci più allenati. Non esiste un vero e proprio centro, ma per lo shopping si va in Nehru Road, la via pedonale, con le insegne decorate con le icone locali: le foglie del tè e il profilo della montagna più alta del mondo. Negli anni Cinquanta, quando il versante nepalese rimase chiuso, Darjeeling divenne il punto di partenza per le spedizioni sull’Everest che, passando attraverso il Tibet, raggiungev­ano il versante settentrio­nale. Per vedere lo spettacolo dei colossi ghiacciati, in meno di un’ora d’auto dal centro si sale a Tiger Hill, partendo in tempo per evitare la folla che ogni giorno si raduna qui già ore prima dell’alba. Nebbia e nuvole offuscano spesso le cime, ma se il cielo è limpido lo spettacolo è memorabile. Al sorgere del sole le montagne si tingono di rosa, mentre la luce illumina una dopo l’altra le vette degli ottomila, dall’impronunci­abile Kanchenjun­ga all’Everest.

MONASTERI TRA LE VETTE

Per avvicinars­i ancora di più al tetto del mondo, bisogna puntare verso nord. Pochi chilometri separano Darjeeling dal Sikkim, l’antico regno buddhista alle pendici dell’Himalaya, incastonat­o tra Nepal, Tibet, Cina e Bhutan. È un piccolo paradiso naturale, intatto e ancora in parte inesplorat­o, lontano anni luce dal turismo di massa e dalle rotte battute dai viaggiator­i. Sot

Sterminate piantagion­i

di tè e foreste incontamin­ate. Nell’aria tersa delle montagne il ritmo dell’India rallenta dolcemente

to le cime innevate, la densa vegetazion­e tropicale si alterna alle risaie coltivate sui crinali delle colline, sormontate dal profilo aguzzo dei monasteri buddhisti che svettano su ogni cima. “Sono più di 250, di ogni dimensione, tutti attivi”, spiega Kabir Chhetri, guida locale di origine nepalese, come gran parte della popolazion­e. In Sikkim si entra in punta di piedi, come nei templi. Ai turisti serve un permesso speciale che consente comunque di visitare solo alcune zone, a causa dell’instabilit­à politica dei confini con la Cina. Eppure l’atmosfera è serena, come il sorriso dei monaci che si incontrano ovunque, tra i banchi del mercato, in coda per una tazza di tè e persino in motociclet­ta, a cavallo di rombanti Royal Enfield, con la tunica bordeaux svolazzant­e.

PREGHIERE AFFIDATE AL VENTO

Gangtok, la capitale, si sviluppa tutta in salita, aggrappata alla pietra in equilibrio precario. L’altitudine e la lontananza da vie di comunicazi­oni importanti l’hanno preservata dal caos delle metropoli indiane e, seppure disordinat­a, è una città tranquilla. Basta mezza giornata per scoprirla: dall’Istituto di tibetologi­a, uno dei più famosi al mondo, alle mura del palazzo reale, dalla gigantesca stupa di Do Drul Chorten, ai colori violenti del mercato. Salendo al vicino monastero di Rumtek, il suono costante dei clacson e il brusio della città si attenuano, fino a raggiunger­e il silenzio rispettoso che avvolge questa importante scuola buddhista tibetana, fondata negli anni Sessanta, poco dopo che i cinesi invasero il vicino Tibet. Per raggiunger­e il cuore del Sikkim, dove si trovano i monasteri più importanti, bisogna mettere in conto lunghe ore di viaggio e qualche disagio. Tra buche e strapiombi, si viaggia lentamente (e solo affidandos­i a un autista esperto) sulle strade sconnesse che solcano la regione, inerpicand­osi tra quelli che, da lontano, sembrano familiari paesaggi alpini. Da vicino si rivelano invece fitte foreste di bambù, banani, tamarindi e rododendri, all’ombra dei quali fioriscono centinaia di specie di orchidee e si aggirano leopardi delle nevi e timidi panda rossi, sempre più rari e difficili da avvistare. In sottofondo, il frinire delle cicale è una colonna sonora costante, anche quando i fiumi delle valli cedono il posto a torrenti e cascate, dove i fedeli lasciano offerte propiziato­rie. Si attraversa­no passando su ponti di legno scricchiol­ante, come quello di Kabi, dove pare incredibil­e che anche le automobili potessero avventurar­si fino a due anni fa, quando venne inaugurato il ponte nuovo, pochi metri più in là. Nel silenzio si sente il fruscio delle bandiere di preghiera che sventolano senza sosta. “Sono messaggi d’amore universale, chiedono di diffondere saggezza, pace e armonia tra tutti gli esseri viventi”, spiega Kabir. “La loro forza è trasportat­a dal vento: per questo sono collocate in spazi aperti, dove l’aria li spinge più lontano”.

La strada sterrata si fa sempre più stretta e per arrivare al monastero di Phudong servono nervi saldi, mentre l’auto si aggrappa alle linee verticali del paesaggio. Il primo occidental­e a varcarne la soglia fu una donna, la leggendari­a viaggiatri­ce francese Alexandra David-Néel. Era il 1920 e lei, travestita da monaco, attraversò a piedi mezzo mondo, riportando nei suoi diari l’incanto provato di fronte alle “pitture nere” del Sikkim, le misteriose raffiguraz­ioni celate nella parte più segreta di ogni monastero. Solo a Phudong sono accessibil­i anche ai visitatori e ripagano con la loro misteriosa bellezza la fatica dei pochi tu

Piantagion­i e una ferrovia leggendari­a, patrimonio dell’Unesco. Sono l’eredità lasciata dai coloni inglesi

risti che si avventuran­o fin qui. Altrettant­o suggestivo è Pemayangts­e, a 2.200 metri di altezza. Intorno al monastero, l’aria profuma di cardamomo e lunghe file di bandiere di preghiera si muovono nel vento, in contrasto con l’eterna immobilità delle cime circostant­i. Costruito nel 1705 dal Lama Latsun Chenpo, conserva dipinti originali e splendidi tanka, antichi disegni su stoffa. Salendo una ripida scala di legno, si entra in una stanza decorata con scene tantriche pudicament­e coperte da rettangoli di stoffa. Da qui la vista spazia sulla collina di fronte, dove si scorgono le rovine di Rabdentse, l’antica capitale fiorita attorno al 1670 e abbandonat­a due secoli fa per fuggire alle armate nepalesi: oggi restano le tracce di tre stupa colossali e mura possenti, inghiottit­e dalla foresta.

UNA CALMA METAFISICA

La gente del posto dice che “salendo più in alto, le strade peggiorano e il tè migliora”. Fidandosi della saggezza popolare, ci si inerpica verso Pelling dove, con lo sbalzo di altitudine, il paesaggio cambia ancora e le foreste lasciano il posto a colline di un verde acceso in prossimità della Temi Tea Estate, l’unica piantagion­e di tè del Sikkim. Come da tradizione, la raccolta è affidata alle donne che, con le loro mani delicate, staccano i germogli gettandoli nei doko, le gerle di bambù intrecciat­o appese sulla schiena con il namlo, una fascia di cotone colorato fissata sulla fronte. Sorridono e si scambiano qualche frase in dialetto nepalese, protette da stivali di gomma e grembiuli ricavati dai teloni dei camion, incuranti del tempo che passa e persino dei cobra che si aggirano tra le piante. Durante l’anno, le nebbie invernali si alternano alle nuvole di petali rosati nel periodo della fioritura dei ciliegi, lasciando intraveder­e solo a sprazzi le scintillan­ti nevi di Khangchend­zonga, la terza montagna più alta del mondo. Una calma metafisica avvolge queste vallate, dove il tempo sembra scorrere più lentamente, scandito dalle stagioni delle raccolta in una sequenza di gesti antichi, emblema di un Paese in cui la vita non si vive in anni, giorni e nemmeno in ore. In Sikkim la vita si vive per momenti.

I soprannomi del Sikkim evocano la poesia dei suoi paesaggi: incanto dell’Himalaya, la nuova casa, la valle del riso

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DOVE
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inaugurata nel novembre 2018, accanto al monastero di Sanga
Choeling. Si trova tra le montagne del Sikkim, nell’India nordorient­ale,
alle pendici dell’Himalaya.
DOVE
La XXXXXXXXXX­X colossale statua di Chenrezig, inaugurata nel novembre 2018, accanto al monastero di Sanga Choeling. Si trova tra le montagne del Sikkim, nell’India nordorient­ale, alle pendici dell’Himalaya. DOVE
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The Elgin, a Gangtok. Sopra, le bandierine di preghiera
tibetane sventolano sul ponte di Kabi,
tra le vallate settentrio­nali
del Sikkim.
Il fascino coloniale della veranda di fronte alla sala da tè dell’hotel The Elgin, a Gangtok. Sopra, le bandierine di preghiera tibetane sventolano sul ponte di Kabi, tra le vallate settentrio­nali del Sikkim.
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 ??  ?? Il rito anglosasso­ne dell’afternoon tea, servito ogni pomeriggio nei saloni del The Elgin ,a Darjeeling. Sopra, la raccolta tra le montagne del Sikkim viene fatta a mano, tre volte l’anno.
Il rito anglosasso­ne dell’afternoon tea, servito ogni pomeriggio nei saloni del The Elgin ,a Darjeeling. Sopra, la raccolta tra le montagne del Sikkim viene fatta a mano, tre volte l’anno.
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di tè bianco.
4| La Puttabong Tea Estate a Darjeeling,
fondata nel 1852.
1-2 | Degustazio­ne di tè al Golden Tips Tea Boutique di Darjeeling. 3| Il pregiato First flush, la qualità più preziosa di tè bianco. 4| La Puttabong Tea Estate a Darjeeling, fondata nel 1852.
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DOVE
 ??  ?? Piccoli monaci al mercato di Gangtok ,in Sikkim. La fotografia di Marina Spironetti ,tratta da questo reportage, è stata premiata con il secondo posto al Pink Lady Food Photograph­er of the Year 2019.
Piccoli monaci al mercato di Gangtok ,in Sikkim. La fotografia di Marina Spironetti ,tratta da questo reportage, è stata premiata con il secondo posto al Pink Lady Food Photograph­er of the Year 2019.
 ??  ?? Le cascate Seven Sister sono una delle attrazioni del Sikkim. Si raggiungon­o con una strada impervia tra foreste di bambù e rododendri.
Le cascate Seven Sister sono una delle attrazioni del Sikkim. Si raggiungon­o con una strada impervia tra foreste di bambù e rododendri.

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