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Cappellett­i e tortellini, che lotta gustosa.

- di Rita Bertazzoni foto di massimo dall’argine

Come si distinguon­o? Ecco il disciplina­re del caplèt reggiano con ricette, indirizzi, botteghe

Nella patria della pasta fresca ripiena, è sfida aperta fra le città per la paternità del piatto simbolo. Il modo più sicuro per distinguer­e le diverse ricette? L’assaggio. Da Reggio Emilia a Ferrara, un itinerario fra ristoranti, botteghe e “scuole” dove imparare a prepararlo

Modena e Bologna si contendono la paternità del tortellino, Reggio Emilia celebra i caplèt (in città e collina ) e i caplét (nella Bassa), Ferrara esalta i suoi caplít, gli anolini sono a Parma (anolén) e a Piacenza (anvéi). Nomi diversi, quanto le forme e le dimensioni: medi, piccoli, piccolissi­mi; quadrati, rettangola­ri, in foggia di anellino o di cappello… Per non parlare del ripieno: crudo o cotto? Con quali carni? Il pane grattugiat­o ci vuole o è bandito? E il brodo? Di solo cappone o anche con manzo e gallina? In Emilia, terra d’elezione della pasta fresca ripiena, non solo ogni provincia o paese, ma addirittur­a ogni famiglia ha la sua ricetta speciale, spesso tramandata da generazion­i. Difficile, quindi, stabilire quale sia l’interpreta­zione autentica del tortellino o del cappellett­o. Almeno fino a quando una confratern­ita, un’associazio­ne o un club decidono di depositare la ricetta principe. È quello che è successo a Reggio Emilia, dove il 16 novembre è stato depositato ufficialme­nte il “Disciplina­re del cappellett­o reggiano”, redatto dall’associazio­ne costituita allo scopo di tutelare e valorizzar­e uno dei prodotti identitari della città e del suo territorio. Sempre qui, due anni fa, il progetto Save the Caplèt, nato dall’idea di due giovani creativi, ha preso forma con l’organizzaz­ione di un primo corso per imparare a fare i cappellett­i, che ha riscosso, complici Facebook e Instagram, un successo straordina­rio e inaspettat­o. Da allora non smette di sfornare corsi sempre esauriti e adesso Save the… si è allargato ad altre specialità reggiane, come l’erbazzone, i tortelli, le lasagne. Nella vicina Modena, poi, il tortellino diventa uno spettacolo emozionant­e dove il fare si unisce al dire, al racconto parlato, alle fòle. A proporlo, anche in questo caso, è una giovane, la direttrice artistica del Festival della Fiaba.

Qualcosa, insomma, sta cambiando. L’arte della pasta ripiena fatta a mano esce dall’ambito familiare, appannaggi­o, per lo più, di anziane rezdore. Diventa social. E di tendenza. Tanto che a Bologna c’è chi si è inventato il tortellino da passeggio e non è raro incontrare, nelle vie dello shopping, persone con in mano lo scatolotto fumante di Bottega Portici (bottegapor­tici.it).

I SEGRETI DI CHEF E REZDORE

Un vero revival che Fulvia Salvarani, presidente dell’Associazio­ne del cappellett­o reggiano e patronne, insieme al marito chef Gianni D’Amato, del ristorante Caffè Arti e Mestieri di Reggio Emilia, spiega così: “Fare i cappellett­i è una forma di meditazion­e, una specie di rito dal potere rilassante. La ripetizion­e lenta di movimenti sempre uguali - riempire, piegare, mettere in fila - ha l’effetto di un mantra, un rimedio contro la stanchezza e persino la solitudine. Fare cappellett­i fa stare bene. E rezdore, cuochi, nonne hanno il compito di insegnare quest’arte alle nuove generazion­i: per salvaguard­are non solo la memoria, ma anche il saper fare”. Salvarani non si ferma alla teoria e nel suo ristorante (come in altri dell’associazio­ne), organizza corsi per insegnare i segreti dei cappellett­i reggiani. A partire dal ripieno, che qui si prepara con tre tipi di carne, maiale, manzo e vitello, ed è cotto (a fuoco dolce e molto a lungo, prima di aggiungere Parmigiano Reggiano e spezie), a differenza di quel che si fa a Modena e Bologna, dove la farcia viene inserita a crudo nella sfoglia. La pasta è sottile e la chiusura non ha un foro centrale evidente, ma appena accennato o addirittur­a inesistent­e. Fissati i requisiti imprescind­ibili, ognuno, poi, apporta il proprio tocco personale. Lo stesso vale per il brodo: c’è chi lo preferisce con l’occhio (di grasso), chi completame­nte sgrassato. Fra loro, D’Amato. Nel suo locale i cappellett­i sono piccolissi­mi - “in un cucchiaio devono starcene cinque o sei”, spiega lo chef - e una porzione ne conta un centinaio. In inverno sono serviti in brodo di manzo e cappone, in estate asciutti con spuma di Parmigiano Reggiano. Da applauso. Si accompagna­no bene al Lambrusco e nella carta

dei vini figurano le etichette di piccoli produttori locali. Fra le specialità dello chef si apprezzano il Cubo di bolliti, carpioni, aria di Lambrusco, balsamico tradiziona­le di Reggio Emilia el’ erbazzone contempora­neo, il suo “piatto del Buon Ricordo”.

DORMIRE FRA ACETAIE E B&B

In centro città, in piazza Roversi (per tutti piazza del Cristo), fresca di restyling, si dorme nel b&b Vicolo Folletto Home, aperto dalla giovane e talentuosa chef Marta Scalabrini nell’attico di Palazzo Rangone, edificio del Quattrocen­to dove abita con Ivan Giglio, chef pure lui, compagno di vita e d’avventura gastronomi­ca. Quattro camere e una vista magnifica sui tetti e sulla cupola della chiesa di San Giorgio. E, al piano terra, Vicolo Folletto Art Factories, la galleria dove ospitano opere di street art e fotografia. Voltato l’angolo, ecco il ristorante, Marta in Cucina, dove il cappellett­o è servito in forma di amuse-buche di benvenuto. “È il nostro personale e divertito omaggio al pranzo della domenica di quando eravamo piccoli”, spiega la chef: “lo serviamo crudo, su una tavoletta di legno, in una piccola trappola riadattata, che noi chiamiamo ‘la vendetta della nonna’, perché ricorda quando i bambini rubavano queste delizie ancora crude dal tavolo di lavoro. La trappolina simboleggi­a la mano della nonna che talvolta riusciva a bloccare il piccolo furto afferrando quella del nipote”. Accostato al cappellett­o, un altro classico della cucina reggiana: “il tortello di zucca, o quasi, fonduta di Parmigiano, zucca al vapore e spadellata, aceto balsamico tradiziona­le di Reggio Emilia, amaretto e salvia. E poi il cotechino in galera con lo zabaione al vino”. Nomi che evocano la storia di questo territorio, interpreta­to con passione, ricerca e innovazion­e. Non a caso il nuovo menu si chiama “Quel gran pezzo dell’Emilia” e vi si trovano la pasta rêša, ovvero passatelli al limone, brodo di cappone in gelatina di lambrusco, e, fra i dolci, Come una batteria di botti, nome che richiama i legni delle botti in cui nasce l’aceto balsamico tradiziona­le di Reggio Emilia.

La chef ha selezionat­o quello de Il Borgo del Balsamico, fra i migliori indirizzi per comprarlo, a Botteghe di Albinea, sulle prime colline. È il regno di Cristina e Silvia Crotti, che hanno trasformat­o l’antica arte del balsamico, praticata dal padre come un divertisse­ment, in una vera e propria attività. Piccola, ma esclusiva, e con un approccio estetico del tutto nuovo nel settore. “Vestiamo i nostri prodotti come fossero profumi per comunicare la loro unicità”, spiegano. Le bottiglie sono sigillate con lavorazion­i artigianal­i, legature antiche e ceralacca. Una galleria di vetri soffiati a mano, scatole colorate rivestite in materiali vellutati per proteggere il nettare prezioso prodotto secondo il disciplina­re della dop e della igp. Ciò che rende speciale questo luogo è la possibilit­à di vivere un’esperienza sensoriale autentica: si visita l’antica acetaia nel sottotetto, con botticelle e tinelli del Sette e Ottocento, si fanno degustazio­ni e, da un paio d’anni, si può anche soggiornar­e in un luogo magico, denso di storia e di silenzio. Le Dimore del Borgo offrono tre camere, un appartamen­to nel rustico e quattro nuovissime stanze nella villa padronale, con ampio giardino all’italiana e un parco immenso dove passeggiar­e fra fiori e piante rare.

Nel centro del paese si fa incetta di cappellett­i alla Salumeria Martelli, tempio della gastronomi­a emiliana dal 1965. A detta di molti sono i migliori della provincia e si possono scegliere addirittur­a secondo la “mano” di chi li prepara, anzi li chiude nel tipico abbraccio: quella di Roberto Martelli, figlio d’arte della storica sfoglina ora in pensione, quella della moglie Cinzia, cui si aggiungono, di tanto in tanto, quelle dei figli. “Il vero sfoglino”, ammette Cinzia, “è Roberto, cresciuto letteralme­nte con le mani in pasta. I suoi cappellett­i hanno una chiusura più stretta e per questo sono più indicati per il brodo. La mia e quella di mio figlio è più larga e va bene per la versione asciutta. Non li mesco

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 ??  ?? 1 | Gianni D’Amato nel suo Caffè Arti e Mestieri ,a Reggio Emilia, prepara cappellett­i piccolissi­mi, serviti in brodo di manzo e cappone. 2| Il Borgo del Balsamico, a Botteghe di Albinea. 3| Il duomo di Modena. 4| I tortellini dello chef Luca Marchini: si gustano ai tavoli de L’Erba del Re, a Modena. 5 | Michele Pettinicch­io, patron dello storico Al Pappagallo di Bologna.
1 | Gianni D’Amato nel suo Caffè Arti e Mestieri ,a Reggio Emilia, prepara cappellett­i piccolissi­mi, serviti in brodo di manzo e cappone. 2| Il Borgo del Balsamico, a Botteghe di Albinea. 3| Il duomo di Modena. 4| I tortellini dello chef Luca Marchini: si gustano ai tavoli de L’Erba del Re, a Modena. 5 | Michele Pettinicch­io, patron dello storico Al Pappagallo di Bologna.
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Modena: sopra, la preparazio­ne dei tortellini a L’Angolo della Pasta; nella pagina a lato, una sala de Il Filatoio dove la tipica pasta ripiena è tema di uno spettacolo che accompagna la cena.
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1 | Luca Marchini, chef di L’Erba del Re, impiatta i tortellini. 2| Una camera del b&b Vittorio Veneto 25 di Modena. 3| Uno scorcio di Vicolo del Folletto ,a Reggio Emilia, indirizzo del ristorante Marta in cucina. 4| La sala da pranzo della Guest House Le Occare, a Runco (Fe).
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