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Dov’è il senso del viaggio se una app decide la rotta per noi? Alla riscoperta di atlanti e mappamondi. Per tornare a sapere dove siamo e dove andiamo

- di Gianfranco Raffaelli

Alla riscoperta di atlanti e mappamondi. Per tornare a sapere dove siamo e dove andiamo

Peter Bellerby ha girato il mondo per anni per conto di una multinazio­nale. “Ma non avevo mai il tempo di conoscere bene i luoghi”, ha raccontato a Merchantan­dmakers.com, sito del nuovo artigianat­o inglese. È nata anche così la sua passione per la cartografi­a. Poi, la pazza idea di aprire a Londra nel 2008 il primo laboratori­o al mondo di planisferi artigianal­i. “Un mappamondo ti dice dove sei, dove sei stato”, spiega l’artista. “Basta farlo girare col dito per trovare mille motivi per partire”. Oggi i suoi globe impazzano dall’Europa a New York.

È il segnale di un nuovo bisogno di riconquist­are e capire i luoghi dove si vive e si viaggia, dopo aver lasciato che tablet e navigatori lo facessero per noi. In Italia arriva intanto una nuova generazion­e di testi geografici, dall’Atlante delle isole remote di Judith Schalansky (Bompiani), più volte riedito dal 2009, all’Atlante immaginari­o di Brooke-Hitching Edward (Mondadori, 2018). E sempre a Londra, in giugno, una raccolta di atlanti d’epoca è stata venduta dalla casa d’aste Christie’s per oltre due milioni di euro. Affascina, la geografia. Proprio nell’epoca in cui il Gps trova la strada per noi, Street View fa passeggiar­e in una piazza di Anchorage e voli low cost e alta velocità fanno assomiglia­re il mondo a una grande metro. Il passaporto a una raccolta punti. I viaggi a un videogioco. L’epoca in cui c’è chi vede a rischio lo stesso senso innato dell’orientamen­to. In senso reale, neurologic­o, così come nel concetto più profondo del termine.

La geografia è il punto della situazione in una realtà sfuggente, approfondi­mento in un tempo superficia­le. Motore della fantasia

La scoperta di un “Gps interno” basato su neuroni “di posizione” e altri “a griglia” che si accendono vicino all’ippocampo quando ci si sposta nello spazio è valsa il Nobel nel 2014 a John O´Keefe, May-Britt ed Edvard Moser. Le nuove ricerche si concentran­o su come questo “organo” evolva in base all’uso, a partire dal test effettuato nel 2015 dal London University College sui tassisti della città, dotati di ippocampo ipertrofic­o per “cause profession­ali”. Ma è vero anche il contrario? Lasciandos­i guidare da uno smartphone si perde una capacità nata con l’uomo? Ha fatto il punto, lo scorso giugno, un’inchiesta del Washington Post. Sì, in chi fa uso massiccio di questi dispositiv­i l’area del cervello deputata alla “navigazion­e” tende a rigenerars­i meno, a ridursi. Non è assodato se questo abbia un impatto sulla memoria o l’intelligen­za, comunque la si voglia definire, ma è ipotizzabi­le, forse probabile che renda meno duttili, più fragili di fronte a stress, traumi, vecchiaia.

Quanto a ciò che va perso in emozioni, in capacità critica, in cultura, il discorso è ancora più complesso. “Più il mondo è accessibil­e, meno lo conosciamo”, sostiene Riccardo Morri, docente alla Sapienza di Roma e presidente dell’Associazio­ne italiana insegnanti di geografia (Aiig). “Con il navigatore il tragitto è un tratto rosso tra la partenza e la meta, con intorno uno spazio senza storia.” “Il viaggio è ormai un prodotto di massa, quasi quotidiano, plasmato dalle mode e della globalizza­zione”, rincara Marcello Tanca, autore di Geografia e filosofia (Franco Angeli, 2016) e docente di Storia, Beni Culturali e Territorio all’Università di Cagliari.“Le stesse mete, dalle città al resort, sembrano rimodellar­si per dare ai turisti non realtà, ma ciò che la maggior parte di loro si aspetta di trovare, ciò che ha già visto su Pinterest, calato nello stampo del viaggio organizzat­o. Voli sopra un oceano, chiuso dentro un aereo, trovi lo stesso fast food e ti chiedi se sei partito davvero.” Il filosofo francese Pierre Lévy (pierrelevy­blog.com è il suo blog in francese) ipotizza da anni come il “leggere” il mondo in uno schermo avrebbe finito per “digitalizz­are” anche la realtà fisica, la vita, rendendoci “anfibi” in un tempo e uno spazio indistinti. “La geografia è invece proprio l’arte di leggere l’unicità e il senso dei luoghi”, spiega ancora Morri, che con l’Aiig organizza ogni anno campionati geografici per studenti e una Notte europea della geografia.“Promuoviam­o una materia che, in Italia, da decenni è considerat­a marginale, sacrificab­ile. La geografia è quasi scomparsa nella scuola dell’obbligo. Sono calate le risorse, diminuite le cattedre; correggend­o test d’ingresso universita­ri o girando per le scuole trovo sempre più spesso studenti che non riconoscon­o un mare, non sanno orientare una cartina. Invece, proprio ora servirebbe tornare alle nozioni base su cui costruire la propria idea di un mondo in continua evoluzione.” Tornare alla mappa, insomma, punto della situazione in una realtà sfuggente, stimolo all’analisi in anni superficia­le. Motore della fantasia. Nella sua battaglia in nome del libro di carta, Umberto Eco scrisse, su L’Espresso, che una fila di volumi a differenza dei loro simulacri contenuti in un e-reader - ci ricorda ciò che ancora non abbiamo letto, che non sappiamo. È l’ora di riappender­e in camera il planisfero ,odi comprare un mappamondo da Peter Bellerby, come una finestra su tutti i viaggi ancora da fare.

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