L’eleganza del Nord.
Capitale mondiale del design, Lille ha trasformato i vuoti urbani in poli della cultura. E lungo la Côte d’Opale ci si rilassa al mare
Centro mondiale del design, Lille ha trasformato i vuoti urbani in poli culturali
Una seconda vita e pure una terza. Perché non c’è nulla di più intrigante dei luoghi condannati all’oblio che ricominciano ad avere una funzione. E non c’è nulla di più loquace di vecchie manifatture che la contingenza produttiva ha svuotato, reso tristemente inutili e riempito di ruggine. Basta occuparle, riempirle di idee e il gioco è fatto: il loro decoro grezzo e la loro estetica spoglia risultano perfetti nell’abbinamento con opere d’arte contemporanea e installazioni tecnologiche e digitali. E a Lille è diventato un concept, un format. Era già successo nel 2004, quando il ruolo di Capitale culturale d’Europa l’aveva spinta a valorizzare opifici e lanifici dismessi ospitando performance e mostre degne di tanto evento. Succederà anche quest’anno, perché la bella smart city della Francia settentrionale è stata eletta Capitale mondiale del design, vincendo la concorrenza di Sydney, prima città d’Oltralpe ad aggiudicarsi questo privilegio, del resto meritato per la sua capacità di attirare imprese digitali, marchi creativi e per la sua invidiabile vocazione di crocevia dell’alta velocità: è a 55 minuti da Parigi, 80 da Londra, appena 35 da Bruxelles.
Progetti Per un anno
Come dire: sarà un 2020 speciale, cadenzato da una cinquantina di concerti e appuntamenti culturali e, da fine aprile, da una ventina di esposizioni a tema. Come la mostra Les Usages du Monde, sui rapporti fra design e viaggio, dal 29 aprile alla Gare Saint-Saveur. Coinvolgerà non meno di 1.500 designer, locali e internazionali. Metterà sotto i riflettori oltre 500 progetti presentati da associazioni, università, startup e ispirati a modelli produttivi e di consumo rispettosi del pianeta. Non solo. Renderà omaggio anche alla street art, che ha dato impulso all’innovazione urbanistica nella capitale delle Fiandre francesi. E
proporrà una nuova versione dello slogan Changer la ville (cambiare la città), che aveva già prodotto ottimi effetti nel decennio scorso: affidare al design il compito di migliorare il quotidiano; offrire soluzioni nuove a temi di forte attualità, come l’economia circolare e la sostenibilità; diventare un motivo d’interesse per i tanti viaggiatori che a Lille amano attardarsi nel centro storico, accomodarsi ai café della scenografica Grande Place, cercare la Vecchia Borsa o la casa natale del generale de Gaulle, immortalare gli edifici futuristi del quartiere finanziario Euralille firmato da Jean Nouvel, Rem Koolhaas e Christian de Portzamparc, stupirsi di fronte ai volumi colorati del complesso Stéphane Hessel di JDS Architects. E che magari affollano, nel primo weekend di settembre, la Braderie de Lille: con oltre diecimila espositori, lungo un centinaio di chilometri di marciapiedi, e due milioni di visitatori, è di gran lunga il più grande mercato delle pulci d’Europa.
Un anno non è un attimo fuggente. E sarà appunto il design a fare da filo conduttore dell’esplorazione urbana, viaggio fisico ma anche mentale nei luoghi più emblematici di Lille: dalla fotogenica stazione merci di Saint-Saveur, trasformata nel principale incubatore culturale della città, al Tripostal, ex magazzino postale prestato alle installazioni artistiche, diventato uno dei dieci luoghi di Francia più fotografati e immortalati su Instagram.
i luoghi dell’arte
Senza dimenticare la digressione nella vicina Villeneuve-d’Ascq per visitare il LaM, unico museo al mondo a presentare simultaneamente l’arte moderna, quella contemporanea e quella grezza. E la sosta doverosa a Roubaix, vera e propria Manchester francese, che ha fatto della riconversione delle sue manifatture un’ossessione e non si merita certo una puntata frettolosa. Una metamorfosi di successo: la splendida piscina Déco, creata nel 1932 per le famiglie degli operai, è diventata un museo d’arte moderna di rara suggestione. I capannoni in disarmo ospitano atelier di dan
za, studi di grafica, bistrot gourmet. E la filatura Cavrois-Mahieu, a Croix, che un tempo dava lavoro a 1.200 persone, è ormai una sede gettonatissima per mostre ed eventi culturali, tra pareti rivestite di bobine, matasse, etichette, vecchi bidoni di stoccaggio della lana che celebrano l’epopea della piena occupazione e la memoria collettiva.
una terra osPitale
L’istinto: scrutare l’orizzonte per verificare se davvero le White Cliffs che si intravedono dall’altra parte della Manica siano quelle di Dover. Certo che lo sono. Semmai, a colpire è la tozza montagna di gesso bianco che si getta in mare a Cap Gris-Nez, giusto per ricordare che in questo punto tutto finisce: la regione settentrionale Hauts-deFrance, ma anche la stessa Europa, che si era illusa di abbattere le frontiere e, davanti all’Inghilterra che se ne sta a soli 30 chilometri, invece se le ritrova, oggi - Brexit oblige - anche più di prima. Tant’è. La strada che da Lille punta alla costa si fa largo in una campagna piatta, dove l’idioma francese è infarcito di termini fiamminghi e a Bergues rende omaggio a un film - Bienvenue chez les Ch’tis, tradotto in Italia con Giù al Nord - che ha costretto i francesi a rivedere i loro pregiudizi: sul Nord, triste, freddo e grigio, come le tante miniere che da queste parti un tempo davano da vivere a migliaia di gueules noires, le “facce nere”; sul suo clima nefasto, con il sole che deve spesso combattere con una coltre di nuvole basse; e su quella parlata poco elegante che sconcerta i parigini più snob. In realtà, le belle giornate abbondano, specie tra fine primavera e inizio estate. La gente delle Fiandre francesi è comunque cordiale e amichevole, più di quanto appa
ia nella soleggiata e ricca Costa Azzurra. E lungo la bellissima e rude Côte d’Opale, specie nella bassa stagione, tra i 21 chilometri che separano Boulogne-sur-Mer e Calais c’è il vero lusso: uno stato di sospensione che avvolge tutto, le piccole stazioni balneari incorniciate da ville aristocratiche e cabine bene allineate e decorate con gusto, le scogliere color grigio-perla opalescente e le spiagge frequentate da fanatici del kitesurf e appassionati di aquiloni. Scorci da “fine del mondo” a sole tre ore d’auto da Parigi. Ed è il fascino di questa lontana contrada francese che ha sempre addomesticato la realtà con quello che aveva a disposizione: i grandi spazi, lo spettacolo giornaliero delle maree, l’immaginario che prende il largo. Nei dintorni di Cap Blanc-Nez nidificano cormorani, fulmari glaciali, pulcinella di mare e si danno appuntamento decine di foche grigie. Mentre ad Audinghen gli umani cercano coccole golose tra i tavoli del ristorante La Sirène, rifugio rassicurante dopo ore di cammino lungo il sentiero GR120 che percorre il litorale, davanti al viavai di navi dirette nel Regno Unito, nel punto esatto in cui la Manica va a sbattere contro il vicino Mare del Nord. In effetti, si vedono le scogliere bianche di Dover. Così vicine. Diventate, loro malgrado, così lontane.