Rijeka città aperta.
A un’ora dall’Italia, l’ex Fiume, Capitale europea della cultura 2020, si propone come il “porto della diversità”: un luogo di convivenza fra popoli e di sperimentazione
A un’ora dall’Italia, l’ex Fiume è un porto della diversità e luogo d’inclusione
Se si tenessero sempre gli occhi sui palazzoni che punteggiano le colline, sembrerebbe di stare ancora nel grigio agglomerato degli anni del generale Tito. Rijeka, la Fiume degli italiani, invece, è cambiata. Cambierà ancora. E quest’anno vuole farlo sapere al mondo. Libera e orgogliosa per costituzione, la città del Golfo del Quarnaro a un’ora dall’Italia ricorda, per le atmosfere, una Trieste in miniatura. Di qui sono passati romani, ungheresi, austriaci, italiani, senza intaccare la sua anima di frontiera d’acqua. Fino al nuovo millennio era questo il porto più importante dell’Adriatico. Partirono di qui per le Americhe il fisico Nikola Tesla, serbo-croato di Smiljan, e la madre di Andy Warhol, di origini slovacche.
TUTTI ALMOLO
Terza città della Croazia, Rijeka comprende in realtà due centri, da sempre divisi dal fiume Riecijna: una sponda storicamente italiana, l’altra, l’attuale Sušak, slava. “Con la chiusura dei cantieri navali”, spiega la giornalista Iva Pavletic, “la città ha perso la propria luce. E si è dovuta reinventare”. Capitale europea della cultura 2020 con l’irlandese Galway, Rijeka si apre all’Europa come porto delle diversità, luogo d’inclusione dove oggi vivono in armonia croati e serbi, bosniaci, italiani e sloveni. Per capirla bisogna seguire la legge dello scirocco che soffia dalle isole Quarnerine, lo jugo: se di sera spira forte è l’ora di chiudersi nei caffè, secondo l’uso balcanico; se c’è il sole si va al Molo Longo, nel porto, per lo Spritz. Come all’ora dell’aperitivo in una piazza di Padova o Venezia.
La mattina inizia invece a Placa, il mercato ittico, in un padiglione in stile Biedermeier, simile a un teatro. “Per noi è un posto speciale”, dice Ivan Sarar, capo del Dipartimento della cultura e già tastierista della rock band Let 3. “Qui si trovano i colori, gli odori, le tracce storiche e il vero spirito di Rijeka. Il mercato ha i suoi personaggi, i suoi banchi-leggenda, come Trajko, dove la vendita di radici e verdure sembra una performance”. Di fronte, ecco il Teatro nazionale
croato Ivan Zajc, tempio della lirica (in cartellone a fine aprile il Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel), ma anche della prosa italiana. A mezzogiorno i fiumani vanno nelle konobe, le locande, in cerca di marenda, sostanzioso spuntino di fine mattinata. Si inizia con il brodeto, zuppa di mare, seguito da un piatto di pescato del giorno. O con una pasta e fagioli seguita da capuzi e loganighe, crauti istriani con salsiccia, mentre dalla Bosnia arrivano i ´cevapc˘ic´i, polpette speziate, e le pljeskavica, hamburger di carni miste. Hannofacciate armoniose e colorate i palazzi lungo il Korzo, la via centrale dove è passata tutta la storia di Rijeka. Quasi di fronte alla torre civica, ecco le eleganti cromie di Palazzo Modello, quindi le forme classiche della sede di Radio Fiume: dal suo balcone parlarono Gabriele D’Annunzio, nei giorni dell’avventura fiumana del 1919-1920, Benito Mussolini e il maresciallo Tito. Sempre sul Korzo, ecco il Filodrammatica, miglior caffèlibreria della città.
Poco oltre si incontra l’Hotel Bonavia, moderno e squadrato, base per il primo presidente croato Franjo Tudjman, ma anche per la rockstar Tina Turner. Si sale un poco per giungere al palazzo del Governatore, tra le cui forme palladiane D’Annunzio celebrò, nei dieci mesi di Reggenza italiana del Carnaro, il patriottismo, il libero amore e la rivolta ai costumi borghesi. Oggi Museo storico e marittimo del litorale croato, propone una mostra sul Vate e l’esposizione dell’unico giubbotto sopravvissuto al Titanic in Europa. “Apparteneva al diciottenne fiumano Giuseppe Car”, racconta Andrea Samarzija, responsabile per l’educazione del museo. “È qui perché proprio da Rijeka partì, nell’aprile 1912, il Carpathia, prima nave a soccorrere i naufraghi del transatlantico”. Storie di ieri e cantieri di oggi. Da aprile, nel complesso Bencic di
fronte alla stazione, oltre al Museo di arte contemporanea, sarà visitabile il nuovo museo della città nell’ex zuccherificio. Nell’area del Delta, dove il Riecijna incontra il mare, tra aprile e maggio il progetto Dolce e salato rilancerà strutture e zone dismesse o poco battute, con idee come il padiglione multiconfessionale Ekumena, la teleferica urbana, i concerti e le mostre nell’ex fabbrica Exportdrvo. Appena oltre il fiume, è stato trasformato in sottopasso un bunker antiaereo a fianco della cattedrale di San Vito. Questi luoghi ospiteranno, da primavera, una miriade di piccole mostre, spettacoli e concerti dal jazz al folk. Con tutta l’energia e i colori dei Balcani. Si esce dal centro per vedere la città dall’alto. Si parte da piazza Tito, dove uno spunto di conversazione con i locali può essere il Galeb, la nave del generale padre della Jugoslavia: sarebbe dovuta diventare un museo per Rijeka 2020 (sarà pronto solo nel 2021). Si seguono poi il fiume e una scala fino a Trsat, o Tersatto, il borgo medievale. Dal suo castello di roccia chiara, a guardia della città dal XV secolo, il porto delle diversità si abbraccia in uno sguardo. Né asburgica né sovietica, e neppure italiana: quest’anno, Rijeka è di tutti.