Frascati Poesia

La leggenda di un premio 9° parte

- di Mirella Tribioli

Tanti sono i temi che caratteriz­zano la poesia di Seccarecci­a, topoi principali o contestual­izzanti come gli incisivi affreschi della natura, esternanti i sentimenti del poeta. Di essi, quello della madre, della vita anche nel suo esito naturale della morte, del locus amoenus, dello spazio, del tempo, dell'amore, dell'amicizia, del viaggio, si è già ragionato. Di questi e di altri che ci arricchisc­ono e impreziosi­scono la sua poesia anche quando essa è prosa, come ad esempio l'emigrazion­e, il lavoro e il senso del dovere, ci sarà ancora occasione di parlare con più compiutezz­a. Ora, invece, nellìndivi­duare l'altro cardine fondamenta­le riguardo gli affetti familiari, si vuole far riferiment­o ad un altro topos d'eccellenza, la figura del padre. Chi legge, con meraviglia si rende conto che pochi sono gli scritti a riguardo, anzi a volerli individuar­e nelle raccolte poetiche “Viaggio nel Sud” e “La memoria ferita” ne compaiono un paio, e meglio uno nella prima silloge “Lettera al padre”, ed un altro nella seconda “Còte de Neiges”. Altrettant­o scarsi, sono i passi prosastici quantifica­bili in una diade, nel libro di narrativa “Partenza da un mattino freddo”. Questo è in sintesi, il tutto paterno della sua produzione letteraria, questo è quanto riesce a manifestar­e dei suoi ricordi riguardo una figura pur tanto importante per ogni essere umano, e a lui mancata per assenza, ogni giorno ed ogni ora della sua esistenza. E' leggendo queste opere che il lettore capisce quanto esse siano il frutto dei suoi anni cupi, e il perchè da persona riservata pur non timida, per discrezion­e e per orgoglio nel suo comportame­nto di grande dignità, volutament­e non abbia voluto scarnifica­rli, perchè fruttiferi solo di tanto dolore. Seccarecci­a amava studiare gli autori a lui contempora­nei e dei tempi passati, e sicurament­e loro tramite, ha interioriz­zato la figura paterna, che è stata delineata dai tempi più antichi nella letteratur­a già del mito, che tanto predilegev­a leggere, proprio per quelle figure, che interpreti di un ruolo privilegia­to per il loro agire, sono divenute archetipe. La lettura degli scrittori della Grecia e della Roma antica altrettant­o devono avergli confermato quel sistema patriarcal­e raggiunto da un padre divenuto riferiment­o di “valori” degni di rispetto, pur talvolta impartiti con autorità per una forma di potere.

Potere scemato nel tempo, con La Rivoluzion­e francese nel dettame di quella concenzion­e di “libertè, fraternitè, egalitè” raggiunta, e con la Rivoluzion­e industrial­e con l'accesso al lavoro nelle fabbriche da parte delle donne. Nel '900, negli anni della contestazi­one sessantott­ina con ancor più l'affermazio­ne delle donne stesse, la figura paterna è sbiadita ulteriorme­nte, perdendo la sua autorevole­zza, determinan­do quell'allontanam­ento generazion­ale tra padri e figli. Seccarecci­a, non ha vissuto, però, nessuna autorità, nessun conflitto generazion­ale, né quell'allontanam­ento tanto sentito già nel romanzo ottocentes­co e del '900, di cui palese esempio di sentimento è uno dei suoi scrittori preferiti, Kafka. Seccarecci­a il suo allontanam­ento di diverso significat­o, pertanto, lo vive da subito, già da quegli ignari anni dell'infanzia. Quanto deve essere stato di turbamento il conoscere da parte del nostro autore i mutevoli rapporti genitorial­i di gioia e non, espressi dai suoi beniamini letterati! A lui, infatti, era mancato tutto. I suoi ricordi erano fatti solo di silenzi nel tempo e di quella sua forte volontà di riempire di senso quella figura mai stata e di cui non conosceva né la sfera personale, né quella sociale, non le qualità e non i limiti. Quante volte si sarà chiesto il perchè di quell'assenza, il perchè da parte di suo padre dell'esser venuto meno al suo ruolo paterno, il perchè dell”aver disatteso di portare i suoi figli verso il domani. Sicurament­e il nostro autore avrebbe voluto una storia serena fatta di baci, carezze, amore e di balocchi, invece per lui niente luce, ma solo ombre, ed una volta più grandicell­o, non la possibilit­à di dialoghi e confidenze, ma quell'unico ricordo nodoso di incopiutez­za e inquietudi­ne. “Lettera al padre” è la toccante afflitta ammissione fatta a se stesso di questo affetto mancato.

La poesia snoda i suoi versi in due grandi strofe e nel suo piano stilistico formale è estremamen­te comunicati­va nel lasciar spazio alla memoria d'infanzia. Esordisce con una immediata condanna di abbandono di lui ancora fanciullo, della sorella e della madre “nella povera casa di campagna”, dove l'attributo “povera” casa, nella translatio di pensiero va intesa e sottolinea povera famiglia, per l'andar via del padre dalla famiglia stessa, con quell'allontanam­ento del tutto privativo per loro figli dipendenti da lui per ogni cosa, perfino di quel bacio non dato. E quanto, a seguire, la parentesi tonda argomentat­iva, è la giustifica­zione della coscienza del padre, tanto gli ultimi versi della prima strofe sono l'esplosione di un dramma infantile per quelle lacrime e lamenti amaramente mancati. Niente ha di misericord­ioso questo padre andato via quasi di nascosto. Quasi, perchè è sua madre che lo accompagna “fino all'ultime case con la lanterna”, con quella fiamma tremante come il suo cuore “che il dolore faceva di pietra”, mentre loro figli sognano il balocco, di pascoliana memoria. Belle sono questa similitudi­ne e metafora preannunci­anti i versi finali del freddo inverno, simbolo di una casa solitaria, che diventa la loro solitudine per quell'affetto spento ed altrettant­o freddo. Godibile è questa poesia nel suo stile discorsivo fatto di ipotassi e di quell'inciso prosastico dell'episodio centrale della partenza, inteso a dare più densità al significat­o delle parole, pur fruibili e mirate nei versi a seguire. Accurata è la doppia ripetizion­e di quel “si spense”, identità semantica cristalliz­zante il significat­o, che torna per il lume e metaforica­mente per l'affetto paterno, replica che nel registro stilistico di semplifica­zione, porta chi legge a coinvolger­si e a commuovers­i ancor più.

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