VA D O N E L FUTURO E TO R N I O
Ragni metallici, macchinari incredibili: a fine marzo a Parma ritorna la fiera dell’alta meccanica, un paradiso per i maschi da garage. Qui la ripresa è iniziata da un bel po’
Per quanto la società si modernizzi, e anche nel nostro Paese mediterraneo uomini e donne siano meno i-maschi-di-qua-e-le-femminedi-là di un tempo, ci sono ambienti in cui la segregazione dei generi fa quasi ridere per quanto è assoluta. Frequentando abitualmente le fiere del settore dei videogiochi pensavo di essere vaccinato nei confronti di un padiglione pulsante di testosterone. Poi succede che lo scorso anno vado a visitare la fiera delle macchine utensili di Parma e sono costretto a ricredermi.
Il MECSPE (che sta per Meccanica Specializzata) è uno di quegli eventi nei quali i maschi sciamano, come le api quando inseguono la regina. Solo che qui non c’è nessuna regina: solo torni, presse, robot e pezzi di metallo (okay, c’erano alcune hostess, è vero, ma sembravano veramente una specie aliena). Tanti. Tantissimi pezzi di metallo. E, ad ammirarli, maschi come me: gente che passa delle mezz’ore a guardare le pinze dal ferramenta ogni volta che ci va per fare la copia di una chiave. E se siete così, se avete quel gene della meraviglia meccanica dentro di voi, in un posto come questo siete a Disneyland. Se già l’anno scorso il MECSPE non aveva l’aria di una fiera dove si respirasse preoccupazione, l’edizione 2015 (dal 26 al 28 marzo alle Fiere di Parma) si preannuncia ancora più all’insegna dell’ottimismo. Sarà un po’ lo spirito emiliano, sarà che al bar vendono panini con il culatello come se fosse una cosa comune, che si trova ovunque: fatto sta che la meccanica di precisione è uno dei settori in crescita dell’industria nazionale, con aumento del 3,4 degli ordinativi rispetto al novembre 2013, secondo i dati Istat più recenti. Per dare qualche numero, quest’anno saranno allestite 9 unità dimostrative, 11 quartieri merceologici, 9 saloni tematici e si terranno oltre 50 tra convegni e miniconferenze organizzati da aziende, università e istituti di ricerca.
E poi ci sono gli espositori: più di mille, il 20% in più rispetto al 2014. Sono loro la vera attrazione della fiera: ce ne sono tanti e di tanti tipi, ma i più nerd di tutti sono i “makers”, quelli che costruiscono cose dal niente usando una stampante 3D. Il fenomeno ha in qualche misura il sapore della cospirazione carbonara votata al bene del mondo; forse c’è anche l’impressione che uno possa farsi le cose in casa mantenendo un’aura di vaga scopabilità, cosa che noi maschi, sugli hobby, tendiamo a perdere. I “makers” propongono macchine diverse ma tutte simili: delle specie di forni a microonde che realizzano piccoli oggetti dove prima non c’era niente, usando un filo plastico colorato. Macchine molto più grandi di queste costruiranno un giorno le case usando degli impasti indurenti al posto del filo. Ma per ora non ce ne sono.
Il primo incontro con le macchine avviene davanti a una teca di vetro che contiene il manipolatore Kawasaki YF003N, costituito da un corpo superiore che ha qualcosa di ragnesco, e tre doppi bracci snodati che convergono sull’oggetto da manipolare. Lo vedo muoversi con una velocità e una precisione infallibili, inesorabili mentre sposta dei piccoli oggetti o si muove nel volume della teca come se danzasse su un piano invisibile. Per la prima volta provo la sensazione fisica della superiorità spaventosa della macchina, quella dei film di
fantascienza dove gli automi si ribellano. Se questo manipolatore decidesse di fare qualcosa di spiacevole alla mia faccia, sarebbe davvero spiacevole e molto, molto veloce. La fiera, mi sono reso conto presto, è tutta così: con un po’ di fantasia si può immaginare una specie di Skynet (la rete di macchine ribelli di delle linee di montaggio.
Non sono l’unico ad avere questa sensazione inebriante. «Fa paura!», dice un tizio, con gli angoli della bocca abbassati nell’ammirazione. «È una bestia», gli risponde il compare soddisfatto, senza girarsi a guardarlo. Siamo davanti a un tornio Okuma: un apparecchio grande come una stanza dove succedono cose che non so descrivere, anche se qualcosa nei miei cromosomi le riconosce come molto belle. Altro scenario fantascientifico possibile, viste le rispettive corporature, è la guerra tra robot: i robot di produzione spaccheranno le ossa a quelli di misura che fanno il controllo della qualità, schiavi del padronato umano: i primi sono dei colossi concreti, mentre i secondi sono dei braccetti precisissimi che passano intorno alle cose e le verificano.
Accanto a questa meraviglia per il progresso, che lascia tutti a bocca aperta, anche qui alla fiera, esiste un mondo più tradizionale e rassicurante che è fatto sostanzialmente di cose, oggetti solidi e riconoscibili. L’officina Meccanica Zielo cav. Lino, per esempio, espone viti in acciaio lunghe metri, del diametro di una spanna. Non so cosa debbano tenere insieme, ma sono contento che lo facciano loro. Di tanto in tanto, camminando per gli stand, accanto a minuterie metalliche che espongono microscopici rivetti di ottone simili a bacche di una spezia rarissima o pietre molto preziose, ci si ritrova ad ammirare blocchi di ghisa grandi come bauli. Un po’ come l’allevatore che contempla il posteriore di una vacca, si è soddisfatti della stazza. Parliamo chiaro: sono quei casi in cui le mani, spontaneamente, si spostano dietro la schiena, nella tipica postura di chi contempla i lavori in corso.
Non tutto quello che si muove da solo suscita timore reverenziale, soprattutto dopo qualche ora di frequentazione. Un grande tornio giapponese Mazak ha qualcosa di erotico, e ricorda quel video di Björk in cui le macchine e le morbidezze di un corpo diventano la stessa cosa. Certo, non ci sono, perché qui siamo nel mondo reale, i robot del cinema, quelli alla Philip K. Dick, che si mescolano agli umani e hanno dei sentimenti. Qui è il regno del metallo, del trattamento della limatura, delle teste di frese, dei mandrini, della lamiera. Baldoni, che taglia tubi e lamiera con il laser, espone un calcio balilla e un ponticello con laghetto, tutto in acciaio. I Fratelli Lamière invece sono dei diplomati simpatici dell’accademia Naba di Milano e presentano prototipi di mobili in lamiera colorata.
«Si vede che l’economia riparte: ci sono le hostess fighe»
Chi espone delle macchine in funzione produce piccoli oggetti durante tutta la fiera, davanti a visitatori paralizzati nell’ammirazione, come Negri Bossi che ha una pressa a iniezione e fa bicchieri da osteria in policarbonato: due alla volta, ogni mezzo minuto. Il premio dei più tradizionali e curiosi ce l’ha Jonplast, che realizza ancora i prodotti sanitari in lattice di gomma, tra cui perette di qualsiasi misura, boule dell’acqua calda e clisteri di ogni tipo, con confezioni anni Cinquanta fascinosissime.
Comau, il ramo robotico del gruppo FIAT, ha capito che il timore è un elemento centrale del fascino dei robot antropomorfi, cioè i bracci snodati. Il loro Racer è rosso, e si muove in un ring in penombra, mentre degli altoparlanti diffondono Inertia Creeps dei Massive Attack. Un approccio del tutto opposto è quello di Wittmann Battenfeld, i cui robot giocano a basket. Non per finta. Sono bracci meccanici che, in un campetto, gestiscono un pallone da basket: lo palleggiano o se lo passano tenendolo fermo con l’aspirazione, e fanno anche canestro.
Sto quasi per andare via quando mi imbatto nel mio oggetto preferito della fiera. È un grosso cilindro idraulico in acciaio realizzato dalle Officine Rm di Modena, pesa quattro tonnellate, e vi serve se dovete fare a pezzi un’automobile (o qualsiasi oggetto meccanico semovente sfuggito al controllo). Incamminandomi verso l’uscita mi ritrovo accanto due tizi: «Si vede che l’economia sta ripartendo», dice uno dei due. «Da cosa?», gli chiede l’altro. E lui: «Ci sono le hostess fighe».