GQ (Italy)

D O R M I T E DA M E ?

- Testo di PHILLIPPE LAURENT

Da un piccolo sito web per

affitti tra privati al gigante globale AIRBNB. La storia di

BRIAN CHESKY (e dei suoi due soci) che, partendo da una scatola di corn flakes, è diventato il primo miliardari­o

della “sharing economy”

Una videocasse­tta riesumata dagli archivi della Scuola di design del Rhode Island, non lontano da New York. Dentro c’è un video, girato alla consegna dei diplomi del 2004. Brian Chesky è incaricato di tenere il discorso. Moonwalk, tocco accademico che vola, “high five” ai professori... A quell’epoca, il futuro creatore di Airbnb, muscoli prominenti sotto il completo bianco, è il funny guy del suo corso.

Dopo sette anni, la sua idea vale sette miliardi di euro

Ma dopo qualche minuto di barzellett­e goliardich­e, il suo discorso assume un tono di straniamen­to quasi profetico. «Compagni!», esclama, «oggi ci separeremo. Sarà dura, ma io ho una soluzione: la “Soluzione Chesky”. Quando passeremo per New York, Parigi, Chicago o per la California, dovremo andare a trovare i vecchi compagni, perché abbiamo tante cose in comune».

A dieci anni da quel video, la soluzione Chesky si chiama Airbnb e ha un valore stimato di 7 miliardi di euro, secondo il Wall Street Journal. Al livello della catena di alberghi Hyatt. Lo studente che faceva sorridere ha aperto nel 2008 un semplice sito per l’affitto di appartamen­ti tra privati. Ma il sito era così ben progettato, con pagine chiare, grandi foto profession­ali e un efficace sistema di annotazion­i, da trasformar­si nella seconda maggiore startup non quotata al mondo, alle spalle di Uber e delle sue auto con autista (12,5 miliardi di euro). Nei server di Brian ci sono più di 600.000 abitazioni da affittare, tra cui 17.000 ville, 640 castelli, 300 bungalow e anche la casa di Ronaldinho a trenta minuti dal Maracanã (costa 11.000 euro a notte, però...).

L’anno scorso, 15 milioni di persone hanno dormito a casa di un locatore sconosciut­o in 190 Paesi. Airbnb ha tenuto per sé 183 milioni di euro in commission­i (3% a carico del proprietar­io, dal 6 al 12% a carico del locatario). «Il nostro mondo è social eppure, paradossal­mente, le persone non sono mai state così sole, così noi proponiamo loro di tornare alla realtà, di incontrare il prossimo condividen­do quello che hanno», dice sulla scia dei buoni sentimenti. Airbnb è in effetti diventato l’emblema della sharing economy, del consumo cooperativ­o. Chesky, che ha 33 anni e non è hippie neanche alla lontana, è diventato il portavoce di questo grande ritorno alla vita comunitari­a, suo malgrado, in una certa misura.

I genitori, di origine polacca, abitavano in una piccola città a nord di New York e lavoravano nei servizi sociali. L’avrebbero visto bene nel ramo delle assicurazi­oni. Brian ha una sorella minore, Allison, che fa la giornalist­a di moda a Manhattan. Lui nutre più ammirazion­e per Steve Jobs – a sua volta un ex designer diventato miliardari­o – che per John Lennon. Ciononosta­nte, il giovane imprendito­re ha deciso di abbracciar­e l’idea sottesa alla sua startup.

Ammira più Jobs di Lennon e non ha un ufficio per sé

Ha passato nove mesi a dormire a casa di membri di Airbnb, continua a farlo ogni volta che viaggia e mette sempre in affitto il proprio divano sul sito. L’estate scorsa ha fatto traslocare i 450 dipendenti della sede centrale (su un totale di 1.000 nel mondo) in un magazzino del vecchio quartiere industrial­e di San Francisco, suscitando l’invidia dei dipendenti di Google e di Facebook, che pure non sono messi affatto male nei loro campus alberati. Chesky non ha un ufficio personale; le sale riunioni sono repliche di appartamen­ti di Parigi o di Copenaghen, e tutti pranzano in una grande mensa gratuita. Un po’ dapper tutto, nell’open space, si rischia di inciampare nei cani. « Li si può portare senza guinzaglio, a patto che siano tranquilli » , spiega un giovane sviluppato­re accarezzan­do il suo labrador meticcio. « Veniamo inviati a comportarc­i come se fossimo tutti padroni di casa».

Finita l’università, Chesky va a lavorare a Los Angeles in uno studio di design industrial­e, dove progetta in 3D oggetti assurdi tipo cuscini rinfrescan­ti, radio finte per bambini – scelte come miglior giocattolo del 2006 da Child Magazine – e... delle toilette che eliminano i microbi. «C’è poco da ridere. Ha lavorato a fondo su questo progetto! » , ricorda Matt Lazich, che all’epoca era il suo superiore. « Aveva la stoffa dell’imprendito­re, anche se, francament­e, non aveva niente a che fare con la Rete né con questa moda della condivisio­ne. L’idea dev’essergli venuta dopo, a San Francisco».

Brian Chesky, in effetti, a un certo punto decise di accogliere gli inviti di un compagno di studi, Joe Gebbia, secondo cui era a “Frisco” che succedeva tutto. Quando posa le valigie al 19 di Rausch Street, a casa del vecchio amico, ha in tasca mille dollari, e 1.300 dollari da pagare per l’affitto.

Chesky, però, è uno di quelli che hanno un’idea al minuto. In città si tiene un grande convegno sul design, e gli alberghi sono tutti al completo. Tilt: perché non affittare il divano e il materasso gonfiabile di Joe, aggiungend­oci una prima colazione? Aprono online il sito Airbedandb­reakfast.com, tramite il quale trovano tre partecipan­ti al convegno, ricavandon­e mille dollari in una settimana. I due amici, che hanno frequentat­o per qualche mese la Business School del MIT, capiscono di avere per le mani un affare facile facile. Convocano Nathan Blecharczy­k, un ex coinquilin­o di Joe che è passato per Harvard e per Microsoft. E si lanciano.

Grazie ai fiocchi d’avena, lo notò il re delle startup

Il nome del sito viene abbreviato in Airbnb. Il motto è: “Viaggia come un essere umano”. Il concetto, però, fatica un po’ a prendere piede. Al South by Southwest di Austin, niente. Alla Convention democratic­a di Obama, a Denver, una settimana di chiacchier­e e poi più nulla. «Tu non sei un imprendito­re, sei un disoccupat­o», gli ripetono i genitori. I tre soci restano senza soldi.

«A quel punto mi è venuta l’idea dei cereali», spiega Chesky: normali corn flakes re-inscatolat­i a mano e ribattezza­ti “Obama O’s” e “Capitan Mccain’s” che i tre soci rivendono a 29 dollari a pacchetto, approfitta­ndo del clamore che circonda le elezioni presidenzi­ali. Accumulano, in questo modo, un bottino di 21.000 dollari. Il colpo seduce Paul Graham, direttore del famoso

« I L MO N D O È SOCIAL, MA N O N S I A MO M A I STAT I COS Ì S O L I »

“accelerato­re” di startup Y Combinator, che tuttavia è poco affascinat­o dall’idea di Airbnb. «Voi siete come gli scarafaggi: non volete morire!», dice scoppiando a ridere.

All’inizio del 2009, Graham chiede ai tre soci di concentrar­si sui proprietar­i degli appartamen­ti e li spedisce a New York. Dopo tre mesi di porta a porta, l’attività decolla. Sequoia Capital (Apple, Google) investe 430.000 euro. In meno di un anno, tutti gli Stati Uniti sono coperti. L’effetto rete funziona alla perfezione: i locatari diventano spesso locatori. Il trio si divide il lavoro – aspetti tecnici, design, amministra­zione – e si mette al lavoro. «Ancora oggi, Nathan è il cervello, Joe il cuore e Brian i coglioni», riassume crudamente uno dei primi dipendenti assunti.

Sfidati da un imitatore, hanno conquistat­o l’europa

Tutto si ingarbugli­a all’inizio del 2011, quando Wimdu, una copia conforme di Airbnb, si lancia sul mercato europeo con 90 milioni di euro di finanziame­nto. Alle sue spalle c’è Rocket Internet, la fucina di startup dei fratelli tedeschi Samwer, che creano cloni di imprese di successo per poi rivenderli ai giganti americani (ci sono riusciti, per esempio, con Groupon). Oliver Samwer, il più tignoso dei due fratelli, atterra una sera a San Francisco e concede ventiquatt­ro ore a Brian Chesky per decidere se rilevare la loro società.

L’americano è spiazzato, non è pronto. All’epoca, per compensare la sua mancanza di esperienza, si avvaleva dei consigli di un coach, Ren. Questi gli pone una domanda molto semplice: «Che cosa ti dice l’istinto? » . Risposta altrettant­o semplice, e testuale: «Uccidilo, cazzo!». Nei mesi seguenti, Chesky raccoglie 73 milioni di euro, apre sei uffici in Europa, assume due “killer” della Rete e lancia la controffen­siva. «L’europa è in breve diventata maggiorita­ria nell’attività», rivela Olivie Grémillon, responsabi­le per il Vecchio Continente, «e Parigi è la prima città». Wimdu viene in breve sbaragliat­a, e Airbnb esplode. Brian, l’ex spiantato di Rausch Street, che aveva finito per cibarsi dei suoi famosi cereali, ha ora problemi da ricchi.

Alcuni cattivi utenti del servizio saccheggia­no ogni tanto gli appartamen­ti o vi organizzan­o delle orge. «Cose del genere capitano, ma sempre meno», precisa Chesky. In molte città, soprattutt­o a New York (20.000 alloggi in affitto) e a Parigi, la legge non vede di buon occhio l’affitto di stanze tra privati. Le autorità preferireb­bero appli- care le imposte di soggiorno, verificare la regolarità degli affitti o sempliceme­nte proibire l’affitto di breve durata. Si dice di voler evitare che interi immobili si trasformin­o in hotel non dichiarati.

Quando si dirige una ditta che vale miliardi, si tengono gli occhi puntati all’orizzonte. «Non possiamo ancora parlarne troppo, ma rivoluzion­eremo un bel po’ di cose nei prossimi mesi», confida un dirigente. Allude a un “memo” con il quale Chesky illustrava i suoi piani per la “conquista del pianeta” e che tiene sulle spine tutta la Silicon Valley. La strategia è semplice. «Airbnb ha una base enorme di clienti affezionat­i, di cui conosce abitudini e bisogni, e può vendere loro altre cose». Prima, lo scambio di chiavi, le faccende domestiche, il bucato, i kit di benvenuto. Poi guide turistiche (già fatto), caffè associati (in fase di sperimenta­zione), ma anche un servizio di trasporto dagli aeroporti.

Con lungimiran­za, Brian Chesky ha investito a titolo personale svariati milioni in Flightcar, una startup che propone di lasciare l’auto all’aeroporto quando partite, per poi noleggiarl­a a chi atterra, mentre voi siete via. Chesky continuerà dunque a dar fastidio ai giganti dell’industria alberghier­a Hilton e Accor. Del resto, ha scritto di recente un post su Frontback, una app tipo Instagram di cui la sua bella fidanzata è community manager, in cui diceva: «In culo agli hotel!».

«DEI TRE SOCI, BRIAN È Q U E L LO

CO N I CO G L I O N I » Airbnb ha una base enorme di clienti da e per

l’italia. Per l’expo, le richieste sono a palla

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