Dentro la materia oscura
Dopo aver trovato il bosone di Higgs, il LARGE HADRON COLLIDER, l'acceleratore di protoni più grande al mondo, riprende a sparare. Sotto terra, con un freddo bestiale, ora si scoprirà quello che non abbiamo mai immaginato sull'origine del nostro univer
I superlativi applicabili al Large Hadron Collider (LHC), il più grande acceleratore di particelle del mondo nei pressi di Ginevra, non mancano. Per cominciare, l’enorme struttura sotterranea che spara fasci di protoni uno contro l’altro a energie colossali si può senz’altro considerare il posto più freddo della Terra. Farli curvare in corsa, lungo i 27 chilometri dell’anello, richiede infatti migliaia di enormi magneti e molto, molto freddo: la temperatura viene portata fino a 2 gradi al di sopra dello zero assoluto sulla scala termodinamica, ossia –271° C, affnché le correnti elettriche possano fuire senza resistenza.
« Non esiste in natura un luogo freddo quanto L’LHC » , afferma Ray Veness, ingegnere veterano del CERN, il consiglio europeo per la ricerca nucleare. Paradossalmente, il collisore – utilizzato dagli scienziati per scoprire il bosone di Higgs nel 2013 – diventa, talvolta, anche uno dei luoghi più caldi della Terra: quando i fasci di protoni entrano in collisione, danno luogo a minuscole esplosioni simili a quelle che seguirono il “big bang”, dopo la creazione dell’universo. In alcuni casi, si arriva a temperature centomila volte superiori a quelle del nucleo solare, sia pure per una sola frazione di secondo e in una minuscola regione dello spazio.
Minuscole esplosioni simili a quelle che seguirono il “big bang”
All’interno del collisore c’è il vuoto. È l’ambiente più asettico mai creato dall’uomo: tutti gli atomi e le molecole sono stati aspirati dai tunnel – creando così un vuoto più puro di quello reperibile nello spazio intorno alla Terra nel raggio di milioni di chilometri – per evitare che anche il più pic- colo elemento possa ostacolare i fasci di protoni che sfrecciano a una velocità prossima a quella della luce. Il CERN, insomma, ha costruito la struttura più cool al mondo, ma talvolta anche la più hot, il cui contenuto è un vuoto più vuoto del vuoto interplanetario.
Un risultato pazzesco. Ma ancora non basta. Gli scienziati e i tecnici del Centro di Ginevra non si ritengono ancora soddisfatti e stanno mettendo a punto alcune modifche che permetteranno all’lhc di ricreare eventi di intensità superiore. «Il primo progetto, condotto tra il 2008 e il 2012, è stato una specie di battesimo, per il collisore», racconta Veness. «Da allora abbiamo apportato alcune migliorie, e adesso è pronto a mostrare a tutti le sue vere potenzialità».
Nel corso del progetto inaugurale, i protoni sono stati spa- rati all’interno dell’lhc a energie che raggiungevano anche i quattromila miliardi di elettronvolt (4 TEV). Entrando in collisione frontale, generavano esplosioni di energia fino a 8 TEV. Dai detriti subatomici prodotti dalle collisioni, gli scienziati sono riusciti a rilevare l’esistenza del bosone di Higgs. Le migliorie che il CERN ha quasi fnito di apportare al collisore di adroni consentiranno ai fasci di protoni di raggiungere i 6,5 TEV e di generare, collidendo tra loro, energia fno a 13 TEV. «L’LHC è praticamente diventata un’altra macchina, ora » , dichiara Frédérick Bordry, direttore degli acceleratori e della tecnologia del CERN.
L’opinione è condivisa da Dave Charlton, professore della Birmingham University e portavoce dell’esperimento “Atlas”, uno dei più importanti rivelatori incorporati nelL’LHC. «Con questi incrementi di energia riusciremo a creare un numero assai più consistente di particelle pesanti rispetto a tre anni fa. Potremo procedere in territori inesplorati: rispetto al progetto inaugurale dell’lhc – quando si sapeva che c’erano buone possibilità di rilevare il bosone di Higgs – ora è molto più dif ficile fare ipotesi su quel che fniremo per trovare. Questa volta ci aspettiamo di scoprire fenomeni fsici inediti, anche se qualche obiettivo l’abbiamo prefissato. Tanto per cominciare, uno dei nostri compiti principali sarà quello di tentare di appurare se l’ipotesi della “supersimmetria” è vera o no».
Il primo dei nuovi obiettivi: l’ipotesi della “supersimmetria” è vera?
Secondo la supersimmetria, le particelle che costituiscono la normale materia possiederebbero anche versioni speculari o supersimmetriche. Esisterebbero, dunque, i quark supersimmetrici ( chiamati “squark”) e gli elettroni supersimmetrici (i cosiddetti “selettroni”). «Il problema è che la supersimmetria ipotizza l’esistenza di queste entità, ma non spiega a quali livelli di energia siano rilevabili » , continua il professor Charlton.
I fsici del CERN ipotizzano che esse possano trovarsi entro i livelli di energia prodotti dalle collisioni all’interno dell’lhc potenziato. Se davvero riuscissero a individuarle, si risolverebbe forse uno dei più grandi misteri dell’universo: quello relativo alla natura della materia oscura, che in teoria pervade il cosmo, conferendo alle galassie una massa di gran lunga superiore a quella che è costituita dalla “norma-
« C R E E R E MO UN NU MERO ENORME DI PA R T I C E L L E
PESANTI»
le” materia fatta di protoni, neutroni, elettroni. La sua esistenza, però, è ancora tutta da dimostrare: nonostante decenni di tentativi, gli scienziati non sono ancora riusciti a osservarne nemmeno la più piccola unità: il nuovo LHC potrebbe cambiare le cose.
«Il modello attualmente più accreditato per la spiegazione della materia oscura è quello dei Wimp, sigla che sta per “Weakly Interacting Massive Particles”, cioè “particelle pesanti debolmente interagenti”», aggiunge Charlton. «Non è escluso che sia proprio il tipo di particelle che riusciremo a rilevare con L’LHC».
E poi, il secondo obiettivo: osservare il cosiddetto “quark beauty”
La probabilità di rilevare le particelle supersimmetriche all’interno dei collisori dell’lhc nei prossimi due o tre anni è considerata molto alta anche dal professor John Ellis, teorico di punta del CERN e docente al King’s College di Londra: «La mia opinione è che un possibi- le costituente-base della materia oscura sia proprio una delle particelle supersimmetriche più leggere», afferma.
«Perciò, ci sono buone probabilità che la materia oscura si manifesti nei rilevatori dell’lhc nel prossimo paio d’anni o poco più, anche se ovviamente non si manifesterà in modo diretto. Per sua stessa natura, la materia oscura non interagisce quasi con quella ordinaria, sicché non potrà essere individuata dai nostri rilevatori se non come evento caratterizzato da una mancanza di energia e di quantità di moto. Sarà così che sapremo di aver creato la materia oscura».
L’enorme struttura di Ginevra è progettata per soddisfare molteplici esigenze scientifiche, tra cui quelle del professor Guy Wilkinson e dei suoi colleghi, che hanno installato uno spettrometro LHC-B nel tunnel dell’lhc. L’oggetto principale delle osservazioni della sua squadra è il cosiddetto “quark beauty”, una particella il cui comportamento è ritenuto essenziale per la soluzione di un altro grande interrogativo rela- tivo al nostro cosmo, ovvero: perché in esso domina la materia e non l’antimateria?
Dal “big bang” ebbero origine, infatti, uguali quantità di materia e di antimateria, ma quest’ultima – nonostante gli sforzi degli astronomi – oggi è rilevabile solo attraverso la sua assenza. Questo dominio della materia sull’antimateria, secondo la comunità scientifca, è l’effetto di un processo noto come “violazione della simmetria CP”, anche se questo fenomeno non è ancora stato adeguatamente compreso.
« Vogliamo capirci di più » , aggiunge il professor Wilkinson. «Il punto cruciale è che il “quark beauty” e il suo equivalente di antimateria si scompongono in un numero molto vario di modi, quando li si crea all’interno di un grande collisore come questo. Sono proprio queste diverse modalità di decadimento a consentirci di studiare il comportamento di un tipo di materia ordinaria, per contrasto con il suo corollario di antimateria. Speriamo di riuscire a individuare in questo modo l’esatto meccanismo che, alla fne, ha fatto prevalere la materia sull’antimateria nel nostro universo».
«Dopo due anni di chiusura, spingeremo la tecnologia ai suoi limiti»
Insomma, si attendono grandi novità dall’lhc, al termine del lungo biennio di chiusura della struttura, che ha coinciso con il suo riadattamento. «La messa a punto della macchina ha richiesto due milioni di ore di lavoro», prosegue Wilkinson. «Con L’LHC, si tratta sempre di spingere la tecnologia fno ai suoi limiti estremi, ma adesso riteniamo di essere pronti: nelle prossime settimane ricominceremo a sparare protoni. Il collisore tornerà operativo a pieno ritmo nel giro di qualche mese. E a quel punto ci sarà davvero da divertirsi».
DUE MILIONI
DI ORE DI L AVO R O P E R LA ME SSA A
P U N TO